Direttore | Sir John Eliot Gardiner |
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino | |
Felix Mendelssohn-Bartholdy | Sinfonia n. 3 in la minore op. 56, Scozzese |
Antonín Dvořák | Sinfonia n. 8 in sol maggiore op. 88 |
Se un concerto diretto da Sir John Eliot Gardiner è di per sé un evento, la sua prima salita sul podio del Teatro del Maggio è qualcosa che merita attenzione. E questo “debutto” non avrebbe potuto ricevere miglior accoglienza di quella tributata dal folto pubblico: entusiasmo, calore e incessanti applausi al termine dell’esecuzione della Sinfonia “Scozzese” di Mendelssohn e dell’Ottava di Dvořák.
La scelta del programma si è dimostrata particolarmente felice, eppure avrà di certo sorpreso più di uno spettatore: è facile gioco abbinare il nome di Gardiner al repertorio barocco, tuttavia è bene ricordare che Mendelssohn è davvero molto presente nel catalogo discografico del direttore britannico (le cinque Sinfonie, le ouverture Meeresstille, Hebriden e Ruy Blas, il Concerto per violino e il Sogno di una notte di mezza estate) e che anche Dvořák è territorio tutt’altro che inesplorato, basti ricordare la Sinfonia n. 7 diretta solo un anno fa a Santa Cecilia. Alla fine, che si tratti di Barocco, Romanticismo o Novecento, la sua firma è inconfondibile, il suo pensiero non è meno complesso, la sua tempra non è meno sanguigna, la sua agogica non è meno raffinata e perfetta.
Ecco che, sotto la bacchetta del Direttore, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino evoca due strutture sinfoniche dove fuoco e lirismo si intrecciano in un dialogo di rara seduzione e intensità. La Sinfonia n. 3 di Mendelssohn acquista finalmente quella patina di nostalgia, di impeto romantico e di morbida luce scozzese che alcuni si ostinano ancora oggi a intendere tenacemente come fedele ritratto della nazione che tanto colpì il compositore ventenne nel viaggio del 1829 (un equivoco che permane anche nell’Italiana). La direzione di Gardiner, infiammata ma attenta anche all’accento più lirico, chiarisce con disarmante semplicità che l’orchestra restituisce semplicemente l’impressione ricevuta da Mendelssohn in relazione al microcosmo scozzese, ove vengono giustapposti senza logica e soluzione di continuità elementi naturali e antropici, passando da una scena di ballo a impetuose folate di vento. L’Orchestra del Maggio si dimostra in questo frangente estremamente duttile nel seguire tanto le indicazioni del direttore quanto le necessità della partitura; certo, esistono alcune trascurabili sbavature (in generale, il pizzicato talvolta non è davvero insieme e in velocità i legni che raddoppiano gli archi potrebbero essere più uniti), ma il risultato è davvero eccellente proprio in virtù della capacità dell’orchestra di saper trasmettere genuinamente la visione di Mendelssohn, dall’elegiaco e turbolento primo movimento, a quel caos ordinato che è il secondo sino al maestoso finale in cui pareva di udire due orchestre distinte, una che intona il corale e l’altra che prorompe in risposte fragorose.
Interessante (e intelligente) la decisione di chiudere con la Sinfonia n. 8 di Dvořák, in quanto i due lavori sono davvero vicini nello stato d’animo; inoltre la Scozzese presenta nel secondo movimento dei curiosi punti di contatto con il compositore ceco. In entrambi i lavori esiste una importante componente nostalgica, di stampo più - romanticamente - storico in Mendelssohn, di indole più intima in Dvořák, una nostalgia squarciata da slanci emotivi (primo e terzo movimento) e battute di spirito o sortite grottesche (movimenti secondo e quarto). Gardiner esalta queste sfumature ulteriori, trasformando la nostalgia in memoria: emblematico il secondo movimento, in cui gli interventi dei singoli gruppi di strumenti ricordano scambi di battute tra vecchi musicisti. Ciò che è davvero ragguardevole è la tensione emotiva che Sir John riesce a costruire con naturalezza - un esempio su tutti la grande frase in si maggiore del primo movimento - e la nonchalance con cui gestisce i motti di spirito e le esplosioni del quarto movimento, con quell’inizio ironico che parodizza in tonalità maggiore la stessa frase d’incipit della sinfonia e la muta come in una sorta di gustoso tema con variazioni. Interessante anche il trattamento degli ottoni, decisamente più enfatico di quanto non si senta usualmente, ma anche molto più aderente alla partitura. Sorprendente la decisione di rallentare leggermente la frase in la bemolle del quarto movimento (presentata prima dai flauti e poi dai tromboni) rendendola quasi caricaturale e ancor più grottesca.
L’approdo gardineriano al Maggio Musicale Fiorentino non avrebbe potuto essere salutato da un successo più fulgido, in cui ogni possibile preconcetto è stato spazzato via da scoppi pirotecnici e maestosi corali, vale a dire da una serata di grande musica. C’è da augurarsi che questa sia la prima di numerose salite sul podio del maggio da parte di Sir John Eliot Gardiner.
La recensione si riferisce al concerto del 26 settembre 2020.
Luca Fialdini