Direttore | Zubin Mehta |
Violino | Lana Trotovšek |
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino | |
Programma | |
Ludwig van Beethoven | Ouverture da Egmont op.64 |
Ludwig van Beethoven | Concerto in re maggiore per violino e orchestra op.61 |
Ludwig van Beethoven | Sinfonia n.7 in la maggiore op.92 |
Continuano le serate di grande valore artistico al Festival di Lubiana.
Dopo Il Trovatore, Zubin Mehta e l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino hanno affrontato in concerto un programma interamente dedicato a Beethoven insieme alla bravissima violinista slovena Lana Trotovšek, più volte vista al festival e recensita su queste pagine.
La prima considerazione è forse scontata per chi conosce Mehta, ma credo valga la pena sottolineare che il grande direttore ha diretto a memoria tutto il concerto dalla prima all’ultima nota, il che a me pare davvero straordinario.
La serata è principiata con una splendida esecuzione dell’Ouverture dall’Egmont, classica pagina musicale da concerto in cui sin dalle prime note si entra in quel mondo meraviglioso e austero che è la musica di Beethoven. Definirei “maschia” l’interpretazione di Mehta, che ha colto perfettamente la fierezza e la nobiltà del brano che sfiora tematiche care al Compositore, come l’anelito alla libertà e il contrasto all’oppressione. Ottima la risposta dell’orchestra, con fiati e legni in grande spolvero.
È stata poi la volta di un unicum della produzione di Beethoven, il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op.61, pagina musicale celeberrima oggi ma che stentò a diventare popolare a suo tempo per motivi che esulano dal contesto di una recensione.
Contrariamente a molti altri concerti per violino, qui non c’è antagonismo o prevalenza del solista sull’orchestra, anzi, il dialogo deve essere costante e partecipato.
Lana Trotovšek, che all’inizio mi è sembrata piuttosto emozionata alla presenza di Mehta, è stata al solito interprete eccellente e credo anche che questo brano le sia particolarmente congeniale perché l’artista ha potuto esprimere un’espressiva passionalità intrinseca nei numerosi passaggi lirici e cantabili del brano. Certo, soprattutto nei concerti per violino il virtuosismo è molto scoperto ed evidente, ma anche le parti più coinvolgenti in questo senso sono state affrontate con una compostezza ed eleganza non comuni dalla bravissima solista la quale, tra le altre qualità, vanta un fraseggio e un legato di alta scuola.
Classicamente strutturato in tre movimenti, il concerto offre anche all’orchestra spazio per emergere e così è stato anche in questo caso, con Mehta che con gestualità prudente ha costruito una trama morbidissima sulla quale legni e archi hanno tessuto arabeschi preziosissimi.
Sollecitata dallo stesso Mehta, Lana Trotovšek ha concesso un bis bachiano dopo aver raccolto un grandissimo successo personale.
Quella “gestualità prudente” di cui sopra mi è sembrata caratterizzare anche l’esecuzione della successiva Sinfonia n.7 in la maggiore op.92 e mi piace pensare, un po’ per vecchi ricordi un po’ forse per suggestione, che il Beethoven di Mehta sia diverso, oggi, da quello spesso baldanzoso e adrenalinico di molti anni fa. Credo che i grandi musicisti invecchino bene e trasmettano sensazioni di serenità e pacatezza che solo col passare degli anni possono maturare.
Ammesso che sia vero, tutta l’interpretazione ne ha beneficiato nonostante l’assenza del classico tempo lento, che di solito consente una pausa emotiva in tutte le sinfonie.
E, per una volta e lo dico da wagneriano fradicio, mi sembra che la definizione della Settima quale “Apoteosi della danza” del buon Richard non sia una delle sue consuete sparate stravaganti da egoriferito insanabile.
Rendimento dell’Orchestra del Maggio eccellente, in cui – senza togliere nulla alle altre sezioni – gli archi gravi si sono distinti in modo particolare.
La concomitanza del concerto con la semifinale degli Europei di calcio ha probabilmente diradato il pubblico, peccato per chi ha fatto la scelta sbagliata. I presenti hanno tributato un trionfo straordinario alla serata e a Zubin Mehta, patrimonio di umanità.
La recensione si riferisce alla serata del 9 luglio 2024
Paolo Bullo