Il duca di Mantova | Marco Ciaponi |
Rigoletto | Amartuvshin Enkhbat |
Gilda | Federica Guida |
Sparafucile | Christian Barone |
Maddalena | Rossana Rinaldi |
Giovanna | Elena Borin |
Il conte di Monterone | William Allione |
Marullo | Stefano Marchisio |
Matteo Borsa | Marcello Nardis |
Il conte di Ceprano | Juliusz Loranzi |
La contessa di Ceprano | Emanuela Sgarlata |
Un usciere di corte | Lorenzo Sivelli |
Un paggio della duchessa | Agnes Sipos |
Direttore | Gaetano Lo Coco |
Regia | Leo Nucci |
Regista collaboratore | Salvo Piro |
Scene | Carlo Centolavigna |
Costumi | Artemio Cabassi |
Luci | Michele Cremona |
Maestro del coro | Corrado Casati |
Orchestra Filarmonica Italiana | |
Coro del teatro Municipale di Piacenza |
Nella stagione 2003-2004 il Teatro Municipale di Piacenza aveva affidato la messinscena di Rigoletto a Marco Bellocchio, che proiettò la vicenda nel periodo del secondo dopoguerra (dettagliato era il riferimento del primo quadro al Martedì Grasso del 1948) e rese indimenticabile uno spettacolo musicalmente di second’ordine. Un commento nel Forum di questo sito fu tanto sintetico quanto per me condivisibile: “È così bella una regia moderna, con qualche idea nuova, che si fonde perfettamente con testo e musica, facendo a sentire a proprio agio lo spettatore”. Non saprei dire se quella regia sia mai stata ripresa.
Nella stagione 2022-2023, Piacenza ha coprodotto il titolo con Ferrara. Per l’aspetto visivo, lo spettacolo porta la firma d’uno dei più celebri baritoni del recente passato, Leo Nucci, e del “collaboratore” Salvo Piro, con le scene realistiche, in sé non belle né brutte, di Carlo Centolavigna, e i costumi, anticheggianti ma che non definirei “d’epoca”, di Artemio Cabassi. Le luci, curate da Michele Cremona, propongono qualche timida variazione dal blu prevalente al sanguigno violetto, ma generalmente si limitano a rendere più o meno visibili personaggi e scene.
Se per “regia” s’intende la movimentazione dei corpi sul palcoscenico in modo da non intralciare apprezzabilmente le funzioni vocali degl’interpreti, siamo di fronte a un caso quasi ideale di innocuità (sarebbe stato anche meglio, quindi, evitare del tutto gl’inginocchiamenti). Non vanno cercati, invece, a mio parere, tentativi apprezzabili d’aggiungere un’efficacia visiva a quella sonora. In questo senso erano probabilmente intesi il riutilizzo, in una diversa disposizione, degli elementi scenici che costituiscono l’abitazione di Rigoletto per creare quella di Sparafucile, l’uso d’un disegno simile per la casacca del giullare e la gonna di Maddalena, l’idea di fare uscire, in apertura del secondo atto, un’elegante signora molto irritata (forse la duchessa, o forse no) dalla porta dell’appartamento principale del duca (l’incontro con Gilda avrà luogo, ovviamente fuori scena, sul lato opposto). Caratteristiche, all’inizio dell’opera e nell'episodio, molto statico, del rapimento, anche le aperture su tableaux vivants: il colloquio di Rigoletto con i tre cortigiani ha luogo, infatti, davanti al comodino calato (ovviamente per permettere la formazione del tableau), come già quello con Sparafucile e poi il bis della “Vendetta”, indubbia componente della regia.
Più felici, grazie anche un buon istinto d’attrice e alla personalità dell’interprete, i momenti in cui Gilda, all’inizio del “Caro nome”, si sbottona e lascia cadere l’abito in cui era chiusa durante i duetti che precedono e, prima di “Tutte le feste al tempio”, abbandona a terra il mantello che il duca indossava all’inizio del secondo atto ed evidentemente le aveva poi messo sulle spalle per “congedarla”. La ragazza resta in una pudicissima sottoveste, ma forte è la sensualità che riesce a comunicare con questi due semplici gesti. Per contro non convince, anche se non nuovo, il suo abbraccio affettuoso con Rigoletto alla fine del secondo atto, quando non solo le parole cantate sembrano rendere del tutto ovvia la divergenza anche fisica tra i due personaggi, ma soprattutto la robusta linea interpretativa di Federica Guida è incompatibile con questo rifugiarsi nelle braccia del padre.
La venticinquenne cantante palermitana ha costituito, per me, l’elemento più interessante di questa realizzazione di Rigoletto. La voce è robusta, molto timbrata e coinvolgente all’ascolto. Nei duetti che aprono il suo controverso e ostico ruolo non m’era sembrata del tutto esente da qualche difficoltà nel passaggio di registro, che l’aveva portata a un paio d’emissioni in acuto non scorrette ma non compiutamente gradevoli. Nella cavatina, invece, ha saputo coniugare nel modo migliore agilità e carnalità (indimenticabile il “pal-pi-tar” poco dopo l’inizio, con prese di fiato appena accennate tra una sillaba e l’altra, e intelligente la scelta di non tentarlo uguale nella ripresa). La lunga forcella alla fine dalla cadenza è stata mozzafiato e impeccabile il diminuendo sul trillo conclusivo. L’applauso lungo e fortissimo, a mia impressione il più intenso dell’intero pomeriggio, che l’ha accolta è stato pienamente meritato.
Quest’immagine di Gilda come ragazza non ingenua ma consapevole della propria prorompente femminilità è stata confermata sia dalla straordinaria seconda strofe di “Tutte le feste al tempio”, sia dall'inciso “per l’amato ti chiedo pietà!” alla fine della “Vendetta” (che per Piave e Verdi è rivolto non al padre ma a un “gran dio”, rendendo quindi ancor meno giustificata la scelta registica di cui sopra). Anche nella seconda parte del quartetto il ruolo del soprano è apparso dominante, e piena di rimpianto per una felicità terrena appena assaporata è stata la conclusione del duetto finale.
Al di là del grato elogio per questi risultati, mi sembra doveroso raccomandare alla Guida di non eccedere negl’impegni e dedicare tutto il tempo necessario a perfezionare uno strumento vocale che, se non sfruttato in modo maldestro, potrà offrire a lei alti onori e grandi gioie a chi l’ascolta.
Nel ruolo del titolo, Amartuvshin Enkhbat ha sfoggiato la voce potente e bella che ne ha fatto in pochi anni uno dei beniamini del pubblico italiano. Il suo Rigoletto è senza dubbio “più vendicatore che padre” (come lessi nel Forum di questo sito dopo le recite piacentine). L’invettiva è stata condotta con grande efficacia dall’inizio alla fine, e accolta con grande plauso dal pubblico. Un consenso molto più trattenuto era seguìto al colloquio con Sparafucile nel secondo quadro e anche “Pari siamo” (sfociato senz’interruzione nella scena seguente) m’era sembrato richiedere un maggiore approfondimento. È bene ricordare, del resto, che l’esplodere della fama di Enkhbat in Italia fu dovuto allo straordinario Carlo dell’Ernani novarese, quando era sul podio uno dei maggiori direttori verdiani in carriera. L’età più matura del baritono renderebbe improprio rivolgergli suggerimenti, ma anche in questo caso sarebbe un peccato se lo sfruttamento del mezzo vocale fosse sbilanciato rispetto alla sua conservazione e ancora possibile miglioramento. Seppure non accattivante, Enkhbat s’è mosso sulla scena con quella certa pesante goffaggine richiesta dalla tradizione del personaggio, ma che il regista di oggi evitava nelle sue sulfuree serate d’un tempo.
Marco Ciaponi, interprete del duca di Mantova, mi ha lasciato a un tempo soddisfatto e perplesso. Per correttezza di cronaca non possono essere taciuti un paio d’incidenti nell’ultimo atto, ma la mia perplessità nasce non tanto direttamente da essi, quanto dall’impressione che il tenore se li sia, come si dice, andati a cercare. Il duca di Mantova non è di certo, come fu detto sessant’anni fa a carico d’un cantate celeberrimo, “un sergente”, e Ciaponi ha interpretato con encomiabile finezza sia il duetto con Gilda, sia il recitativo e l’aria del secondo atto. La cadenza della canzone e una delle sue parziali riprese hanno invece visto il cantante “forzare”, con l’esito che ho riferito.
Tra i personaggi “minori” s’è distinto, a mio gusto, il Monterone di William Allione, cantato senza terribilità ma con profondo senso del dolore e dell’oltraggio: il “non strafare” ha contraddistinto i suoi due interventi. Sparafucile è stato Christian Barone (già Monterone a Piacenza) e una Maddalena vocalmente più invaghita che sfacciata ha offerto Rossana Rinaldi. Il cast era completato, in ordine di locandina, da Elena Borin (Giovanna), Stefano Marchisio (Marullo), Marcello Nardis (Borsa), Juliusz Loranzi (Ceprano), Emanuela Sgarlata, che ha cantato con buona intensità le frasi della Contessa di Ceprano, Lorenzo Sivelli (Usciere) e la disinvolta Agnes Sipos (Paggio).
Preciso il Coro del teatro Municipale di Piacenza prearato da Corrado Casati.
L’impostazione musicale di questo Rigoletto porta la firma di Francesco Ivan Ciampa, che l’aveva diretto lo scorso dicembre a Piacenza, quasi integralmente con gli stessi interpreti. “Per un’improvvisa indisposizione”, a Ferrara è stato sostituito sul podio dal Direttore musicale di palcoscenico, Gaetano Lo Coco. Superato il preludio, tutto è andato correttamente, con qualche passo notevole: segnalo l’ostinato orchestrale alla fine del primo atto tra “Sono bendato!” e “Ah, la maledizione!”, l'accuratezza dell'accompagnamento alla scena del duca nel secondo, lo scultoreo attacco dell’invettiva e l’ottima intesa con la Guida nei punti d’eccellenza di questa, ricordati sopra. Insolita per l’efficace ricerca timbrica l’introduzione orchestrale all’ultimo atto. Anche l’Orchestra Filarmonica Italiana ha sonato con concentrazione crescente nel corso del pomeriggio.
Successo ottimo, con pochi e isolati contrasti.
La recensione si riferisce alla replica del 16 aprile 2023.
Vittorio Mascherpa