Juditha | Sonia Prina |
Abra | Miriam Carsana |
Holofernes | Francesca Asciotti |
Vagaus | Shakèd Bar |
Ozias | Federica Moi |
Maestro concertatore e direttore | Carlo Ipata |
Regia | Deda Cristina Colonna |
Scene e costumi | Manuela Gasperoni |
Light designer | Michele Della Mea |
Maestro del Coro | Marco Bargagna |
Orchestra Auser Musici | |
Coro Arché |
Siamo nell’agosto del 1716, i Veneziani sconfiggono gli Ottomani a Corfù: un ultimo rigurgito di gloria per una Repubblica ormai non troppo lontana dal suo triste epilogo, ma al contempo ancora tronfia del proprio valore e certamente memore dell’impresa di Lepanto.
Per celebrare l’evento Vivaldi scrive la Juditha Triumphans, unico oratorio a noi pervenuto, intessendo un chiaro parallelismo fra la vicenda di Giuditta che libera Betullia e le imprese della città lagunare. Per comporre l’opera egli si avvale della collaborazione delle "pute" dell’Ospedale della Pietà, centro cardine di tutta la sua attività produttiva, il quale, forse mai come in questo caso, si rivela essere luogo vivacissimo di sperimentazione musicale, laboratorio di novità e di invenzioni ritmiche.
Di grande gusto e raffinatezza lo spettacolo pensato da Deda Cristina Colonna, che si serve per scene e costumi dell’aiuto di Manuela Gasperoni. Una serie di veli sottili domina lo spazio scenico, a ricordo delle tende dell’accampamento, mentre alcuni elementi lignei modulari consentono di mutare rapidamente le varie ambientazioni. Gli splendidi costumi, tutti giocati su varie tonalità di rosso e di viola, rimandano certamente al colore caratteristico dell’abbigliamento delle "pute", ma anche, nel caso di Giuditta e Abra per le quali si aggiungono ricami dorati, ai colori della bandiera veneziana. A donare eleganza allo spettacolo contribuisce senza dubbio l’abbondante ricorso della regia a una certa staticità dei personaggi e ad una gestualità misurata che imprimono solennità senza per questo precludere la scorrevolezza dell’azione. A completare il tutto le ottime luci di Michele Della Mea che creano un clima di soffuso notturno, anticipatore del delitto finale
Di altissimo livello la lettura musicale di Carlo Ipata alla direzione dell’Orchestra Auser Musici: l’equilibrio fra le parti è misurato, il sostegno alle voci costante, le sonorità particolarmente incisive, il tutto nell’ottica di un attento lavoro filologico, mai però fine a se stesso. Splendido nel momento della decapitazione di Oloferne il suono delle viole da gamba che ben sottolinea lo strazio del momento, indicandone al contempo la sacralità. Efficace l’idea di far salire sul palco, abbigliati con vesti di scena, gli strumentisti dialoganti in assolo con i cantanti
Sonia Prina è una Giuditta volitiva, ma con tratti malinconici. L’interpretazione è intensa e tocca il suo vertice nell’aria “Transit aetas” di cui ella offre una lettura davvero seducente; qualche leggero affaticamento vocale nella prima parte viene ampiamente compensato dalla magistrale cura del fraseggio.
Nell’Oloferne di Francesca Ascioti prevalgono i tratti dolci e languidi dell’uomo invaghito su quelli duri del guerriero: lo strumento ha uno splendido colore ambrato, l’emissione brilla per omogeneità, il suono è sempre ben misurato.
Bravissima Shakèd Bar nelle vesti di un Vagao che si distingue per timbro luminoso e per l’abilità nel canto di coloratura; l’aria “Armatae face et anguibus” viene eseguita con la giusta veemenza e sciorinando le agilità con estrema naturalezza, così da meritare un caloroso applauso da parte del pubblico.
A completare il cast la volitiva e precisa Abra di Miriam Carsana e l’Ozia dalla bella voce scura e ricca di armonici di Federica Moi.
Buono, se si eccettua l’intervento iniziale un po’ sotto tono e privo di pathos, il contributo del Coro Archè.
Teatro purtroppo non privo di posti vuoti, nonostante l'indiscutibile valore dello spettacolo. Pubblico entusiasta e prodigo di applausi.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 22 settembre 2023.
Simone Manfredini