Violetta Valery | Cristina Ferri |
Flora Bervoix | Miria Adriani |
Annina | Emanuela Martelli |
Alfredo | Giorgio Casciarri |
Giorgio Germont | Sergio Bologna |
Gastone | Luigi Maria Barilone |
Barone Douphol | Giorgio Carli |
Marchese D'obigny | Pier Paolo Stahnke |
Dottor Grenville | Bernardino di Bagno |
Direttore | Claudio Micheli |
Regista | Dario Micheli |
Maestro del Coro | Renzo Renzi |
Orchestra del Teatro |
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Del Giglio di Lucca |
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Coro Ass. Europa In Musica |
CARRARA - È stata una Traviata senz’anima, quella andata in scena a Carrara e ancora in replica sabato sera 2 agosto, alle 21,15, nella suggestiva via del Plebiscito. Il pubblico ha appaludito e incoraggiato un po’ tutti, ma senza entusiasmo. I cantanti hanno fatto la loro senza però rischiar mai nulla, concedendosi con parsimonia. Il tempo per primo aveva reso insicuro lo svolgimento dell’opera all’aperto. Ma lui poi ha retto e, a parte un breve accenno di pioggia nell’intervallo tra il secondo e il terzo atto, ha continuato a scorrere tranquillo e ritmato come sempre. A non volerne sapere, invece, di tempo è stato il direttore Claudio Micheli, che ha scelto di introdurre questa Traviata con l’incombenza di una morte lenta che raggiungerà Violetta, infatti, soltanto tre ore dopo l’attacco del Preludio (bravo! Ha battuto il record di Giulini). Le intenzioni di Micheli sono state comunque rispettate da tutto il cast, con rari momenti d’insofferenza. Bravi quindi i cantanti a sapersi sottomettere alle dilatazioni senza senso, ai colori cupi e grigi di un’orchestra (era annunciata quella del Giglio, ma mi piacerebbe tanto sapere quanti ve ne fossero realmente di loro e se vi fosse qualche prima parte) che non ha saputo restituire un’atmosfera, una, all’opera che rivelò Verdi come il maestro della melodia moderna. Un opera, Traviata, perfetta per chiarire quanto il ruolo dominante della melodia dovesse esser funzionale al canto ma anche proprietaria, dietro quei temi impossibili da non fischiettare ad ogni intervallo, di una struttura musicale ben più complessa di quanto non appaia talvolta. Cosa che il Micheli non ha assolutamente inteso, appiattendo col suo gesto ogni effetto foss’anche il più estrinseco in partitura (non v’è cenno della frizione dissonante compiuta dal clarinetto mentre i legni sostengono la melodia del canto di Alfredo in «Parigi, o cara», ma non vi sono nemmeno quei momenti di rarefazione degli archi nell’«Addio del passato», perché i celli o il contrabbasso che suonano il pizzicato, come per incanto spariscono, dopo aver dominato in lungo e in largo fino a quel momento). Vi è una totale mancanza di senso in questa direzione che non chiede mai il rispetto delle dinamiche, mai rivendica il diritto ad usare il «magistrale pennello» attribuito all’autore di Traviata già nei tempi in cui l’opera si era chiamata «Violetta». Che aspettarsi allora da quanti volessero andare sabato sera in via del Plebiscito? Di ascoltare una buona voce, innanzitutto, che grazie ai suoi soli trent’anni si pensa cresca fino a diventare il personaggio stesso interpretato a Carrara. Violetta è Cristina Ferri, perché le sue corde sono quelle richieste dalla vocalità suggerita dal pentagramma. È leggero, agile quanto basta e frizzante e sottile il primo atto della Ferri. Il suo mi bemolle è preciso, appoggiato quel poco che basta per sostenersi senza patemi. Il suo secondo atto è da ricordare per il duetto con il Germont padre di Sergio Bologna, l’altro protagonista positivo della serata da cui aspettarsi un’interpretazione un po’ gigiona (rallenta addirittura il mortòrio imposto da Micheli) ma corretta. E se negli anni ’20 si facevano ore di viaggio scomodo per ascoltare anche soltanto il «dite alla giovine» cantato da Nellie Melba, agli inizi del Duemila vale la pena passare una serata a Carrara per non perdersi quello della Ferri: assolutamente indimenticabile. Così, l’«Addio del passato» sarà più doloroso che mai, perché anche sabato ci preannuncerà la morte della nostra eroina. Ma l’opera è così, si sa: come nella vita muoiono i migliori. Tacere ho taciuto del fortunato amante che, nelle sembianze d’Alfredo, veste Giorgio Casciarri. Lisca di pesce a scivolar le pronunce e panico evidente per tutto il primo atto, migliora andando avanti ma raggiungendo, secondo me, una sufficienza stiracchiata che lo consegna al novero dei cantanti in necessario miglioramento. Il suo registro centrale è debolissimo e piatto, e lo trova sovente in difficoltà d’intonazione. Il suo cambio di registro è indolore ma poi sembra scurire un poco il colore proprio laddove, là nella zona acuta, sembra cantare meglio. Bernardino Di Bagno, basso, è un dottore dalla professionalità accertata. Ma se si parla di lui prima di aver accennato a Flora, il mezzo Miria Adriani, la cosa si fa triste. Come per lei il velo del silenzio riguarderà tutti gli altri comprimari, mai ascoltabili. Il coro ha latitato in diversi punti ma se l’è cavata nei momenti di maggior protagonismo. La regia… c’era? Le scene sono tradizionali e hanno il pregio di essersi trovate in un luogo davvero bello. All’impresario Raffaele Guerra e al Comune di Carrara vanno comunque i ringraziamenti per avere realizzato un allestimento e un cast originali che hanno portato Traviata in una città che ha risposto con il tutto esaurito alla prima delle due rappresentazioni programmate. descrizione foto partendo dall'alto: 1)Cristina Ferri è Violetta a Rieti dopo la sua vittoria del premio Mattia Battistini (il tenore è Daniele Zanfardino, alle sue prime interpretazioni) 2)ritrae Cristina Ferri nel ruolo di Violetta a Madrid 3)Cristina Ferri, soprano senese, a Torre del Lago sotto una “testa” di Igor Minorai.
David Toschi