Eurinda | Silvia Frigato |
Floridoro/Feraspe | Danilo Pastore |
Lucinda | Margarita Slepakova |
Lindora | Eleonora Filipponi |
Filandro | Matteo Straffi |
Fiorino | Federico Fiorio |
Rodrigo | Masashi Tomosugi |
Direttore | Andrea De Carlo |
Ensemble Mare Nostrum | |
Violino I Violino II Tiorba Arciliuto/Chitarra barocca Arpa tripla Viola da gamba Violoncello Contrabbasso Clavicembalo e Organo |
Gabriele Pro Domenico Scicchitano Elias Conrad Jadran Duncumb Margherita Burattini Marc de La Linde Thomas Chigioni Amleto Matteucci Lucia Adelaide Di Nicola |
Alessandro Stradella ebbe vita avventurosa e non lunga; trascorse a Genova i suoi ultimi anni e vi fu assassinato nel febbraio del 1682. L’anno precedente aveva ricevuto un ampio libretto d’opera da un suo mecenate, Flavio Orsini duca di Bracciano e “capo del partito filofrancese a Roma”. Il musicista spedì la partitura nel novembre, ma non ebbe mai modo d’ascoltarla. Qualcuno afferma che raggiunse la scena nel 1695, ma lo stesso Orsini, pubblicando il proprio libretto, scrisse che la musica era d’un genere che ormai non interessava più il pubblico. L’opera Moro per amore ci è giunta manoscritta: un codice, conservato a Torino, è per circa due terzi autografo di Stradella. Ne esistono poi una copia a Vienna e un'altra a Modena, il cui duca amava collezionare musiche del Nostro. Un’esecuzione romana risalente a trent’anni fa è documentata in CD e comprende circa tre ore e un quarto di musica composta per il libretto.
Andrea De Carlo, musicista versatilissimo, dirige dal 2018 un Festival Barocco intitolato a Stradella, che ha luogo annualmente nel Viterbese, zona d’origine del compositore (nato però, secondo l’atto di battesimo ritrovato di recente, a Bologna, dove la sua famiglia si trovava nell’estate del 1643). Già nel 2005 De Carlo aveva fodato l’Ensemble Mare Nostrum, con il quale sta realizzando un ampio programma di registrazioni, The Stradella Project, nell’ambito del quale sono stati finora pubblicati quattro titoli operistici e tre oratori. Fondamento del progetto è la ricerca dello stesso De Carlo sulla “relazione tra fonetica italiana e tecnica ed estetica della musica vocale e strumentale del secolo decimosettimo, dalla quale sono derivate conseguenze sorprendenti e rivoluzionarie per l’interpretazione di questo repertorio”. Nel campo strumentale, Stradella fu l’inventore della differenziazione tra “concertino” e “concerto grosso”; in quello del teatro precorse nuove forme come l’“aria con da capo” e sviluppò la pratica dell’“aria bipartita” che sarà la base della contrapposizione aria-cabaletta del melodramma romantico.
Nel 2021, la ricerca sul Moro per amore portò De Carlo a un’esecuzione concertante di ampi estratti dell’opera, per circa due ore e mezza di musica. Quest’anno, con interpreti in parte diversi e in un’altra sala dello splendido Palazzo Farnese di Caprarola (prototipo cinquecentesco degli edifici pentagonali) ne è stata compiuta la registrazione, seguita da un concerto in cui sono stati eseguiti poco più d'un centinaio di minuti di musica ritagliati con grande coerenza drammaturgica anche se a prezzo d’inevitabili semplificazioni degli sviluppi psicologici che si possono cogliere nel dramma completo. Se per una disamina approfondita delle intenzioni e dei risultati interpretativi di De Carlo appare quindi opportuno attendere la pubblicazione dei CD, già evidenti e innegabili sono risultati la forza e l’equilibrio dell’esecuzione, qualità del “fare musica insieme” di De Carlo che già abbiamo avuto modo d’apprezzare a fondo lo scorso dicembre nell’esecuzione genovese dell’oratorio San Giovanni Battista, il lavoro oggi forse più conosciuto di Stradella.
L’impianto esteriore della vicenda drammatica del Moro per amore (o anche di Moro per amore, ricorrendo queste parole in un lamento cantato nell’opera) è quello, da sempre ben collaudato, di “travestimenti, amori incrociati, equivoci e gelosie”, ma sia l’ambientazione che oggi diremmo “fantastorica” (una progettata invasione cipriota della Sicilia), sia il progressivo stabilirsi e ingigantirsi della propensione d’una figura di rango regale, Eurinda, per una persona in veste di servo moro (Feraspe, che solo alla fine si scoprirà essere Floridoro, erede al trono di Cipro), sia la capacità di “accontentarsi” che le due altre figure femminili, anch’esse invaghitesi, invano, di Feraspe, dimostrano accoppiandosi alla fine con persone più consone al loro rango, tutto questo conferisce al libretto dell’Orsini un interesse e un significato non effimero. Si vuole anzi vedere in Eurinda, protagonista della vicenda, un omaggio del librettista alla propria seconda moglie, donna di grande carattere e spiccate capacità amministrative e politiche.
Come sempre nel teatro d’opera, sono però la musica e la sua realizzazione che rendono vivo e attuale il dramma. La partitura di Stradella, anche nella forma molto abbreviata assunta in quest’occasione a Caprarola, dimostra una coerenza capace di creare un cosmo d’affetti e situazioni. Le arie, numerosissime e quasi sempre piuttosto brevi, si distinguono per la grande varietà e, diversamente da quel che avverrà nell’opera seria fino alla riforma gluckiana, per la funzione per così dire “propulsiva” della vicenda: non pause d’evasione individuale, e tantomeno occasioni di mera esibizione virtuosistica, ma definizione dei caratteri e snodi dell’azione.
Sin dall’inizio della breve “sinfonia” che prelude all’opera si è colpiti dalla vivacità e dall’icasticità dell’amalgama sonoro. Gli strumentisti convocati da De Carlo sono di straordinaria bravura, ma è soprattutto la chiarezza omogenea del fraseggio che dà vita all’insieme. Il basso-baritono giapponese Masashi Tomosugi, nelle vesti d’un Rodrigo consigliere, unico personaggio estraneo all’incalzare delle passioni amorose, presenta con sicurezza vocale il quadro della vicenda, e alla fine ne spiegherà lo scioglimento in un esteso recitativo. È poi immediatamente la volta di Silvia Frigato, la “primadonna” Eurinda, per la quale non possiamo che ripetere quanto già detto lo scorso dicembre: un mezzo vocale molto ricco di colore e condotto con un’intonazione esemplare rende con accattivante pienezza sia il testo letterario, sia la sua veste musicale. Il suono sempre poderosamente “immascherato” contribuisce, insieme all’intelligenza dell’interprete, alla creazione d’un personaggio di grande realismo psicologico.
Nel ruolo epònimo, il timbro “siderale” di Danilo Pastore si lega a un legato di grande sottigliezza espressiva. Il suo personaggio è, a dispetto del travestimento, sé stesso fin dall’inizio, perché giunge alla corte di Eurinda con un fine ben chiaro, che sarà perseguito in modo costante. Il contraltista torinese sa rendere bene, con la sicura correttezza vocale che lo distingue, il trascorrere del personaggio dalla circospezione alla gioia, mantenendo sempre una distaccata superiorità da principe ereditario, che scenderà per li rami dell’opera settecentesca sino al mozartiano Tamino.
Margarita Slepakova controlla molto bene una voce potente e disegna una Florinda che, non cedendo mai alle lusinghe della delusione, appare naturalissima nell’accettazione finale delle profferte di Filandro. Questi, cantato dal tenore Matteo Straffi, è il personaggio forse più naturale e diretto della vicenda. L’indubbia bellezza della voce non spinge mai l’interprete a strafare e crea, in un certo senso, l’attesa del suo successo finale. Straffi s’avvale d’una tecnica d’emissione impeccabile.
La galleria dei personaggi prosegue con Lindora, nutrice di Eurinda, che ripete i tratti di comico “appetito” e robusto buon senso ben noti agli spettatori della Poppea monteverdiana e di tanti titoli del Cavalli. Le ha dato voce, con idonea e piacevole ma ben controllata salacità, Eleonora Filipponi. A Fiorino, il servo di Floridoro che non deve apparire servo di Feraspe ma non può non rispettarlo (altro topos drammaturgico ricorrente, che ci ha fatto pensare a Dandini), Stradella dà una voce che si muove prevalentemente nella quarta ottava. Lo ha interpretato con bravura Federico Fiorio, la cui voce sopranile suona priva d’ogni opacità.
La Sala di Giove, a livello del cortile del Palazzo Farnese, s’è rivelata un ambiente acusticamente molto felice, seppure in sé meno affascinante delle grandi sale del piano nobile, quelle dei Fasti e del Mappamondo. Vi hanno trovato posto circa centoventi ascoltatori, che alla fine hanno tributato un successo intenso, unanime e prolungato ai diciotto artisti che hanno ricreato l'opera. La serata era a ingresso gratùito, ma su prenotazione.
La recensione si riferisce al concerto del 31 agosto 2022.
Vittorio Mascherpa