Floria Tosca | Veronika Dzhioeva |
Mario Cavaradossi | Murat Karahan |
Il Barone Scarpia | Ivan Inverardi |
Cesare Angelotti | Francesco Leone |
Il Sagrestano | Angelo Nardinocchi |
Spoletta | Safa Korkmaz |
Sciarrone | Francesco Musinu |
Un carceriere | Alessandro Frabotta |
Un pastore | Andrea Rossino |
Direttore | Beatrice Venezi |
Regia | Pier Francesco Maestrini |
ripresa da | Daniela Zedda |
Scene e proiezioni | Juan Guillermo Nova |
Luci | Pascal Mérat |
riprese da | Jean Paul Carradori |
Costumi | Marco Nateri |
Maestro del coro | Giovanni Andreoli |
Maestro del coro di voci bianche | Francesco Marceddu |
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari | |
Coro di voci bianche del Conservatorio Statale di Musica “Giovanni Pierluigi da Palestrina” di Cagliari |
In occasione delle celebrazioni per il Centenario della morte di Puccini, il Teatro Lirico di Cagliari ripropone l’allestimento di Tosca già andato in scena nel 2019, con la regia di Pier Francesco Maestrini (ripresa in questa occasione da Daniela Zedda), le scene e le proiezioni di Juan Guillermo Nova, le luci di Pascal Mérat (riprese da Jean Paul Carradori). Trattandosi di uno spettacolo già recensito in occasione della sua precedente rappresentazione, possiamo in questa sede concentrare l’analisi sulla componente musicale dell’esecuzione.
La direzione di Beatrice Venezi conferma, in larga misura, le perplessità emerse dall’ascolto de La traviata dello scorso maggio: ancora una volta, infatti, l’orchestra sembra limitarsi ad accompagnare i cantanti seguendo meccanicamente lo spartito, senza che l’ispirazione della bacchetta risulti chiaramente percepibile. Manca la disperazione nel passaggio orchestrale che segue la frase “Egli vede ch’io piango”; manca la grandiosità del connubio tra devote pratiche e foia libertina ad un "Te Deum" che scade nella mestizia di un requiem; manca equilibrio nella cantata, con le voci fuori scena che sovrastano quelle dei protagonisti impegnati sul palco; manca tensione alla pagina che precede la morte di Scarpia, laddove l’orchestra sarebbe invece chiamata a preconizzare la pugnalata in cui si risolve il bacio di Tosca. In definitiva, mancano le grandi emozioni ad una concertazione dalla quale non emerge quel filo rosso fatto di sangue, passione, violenza, romanticismo, gelosia, eroismo che della produzione pucciniana costituisce cuore e anima.
La resa dei cantanti non contribuisce, nel complesso, a riscattare le sorti di una serata in tono minore: nel ruolo eponimo, il soprano Veronika Dzhioeva sfoggia mezzi importanti e tonnellaggio vocale adeguato alla parte, affrontando con apprezzabile sicurezza i passaggi più infuocati della scena della tortura. Tanto basta per compensare una leggera increspatura nella frase finale del “Vissi d’arte”, una certa mancanza di romanticismo nei duetti d’amore, e qualche eccesso verista nei declamati. Timbro poco suadente e centri poveri di armonici, Murat Karahan di fatto esaurisce il personaggio di Cavaradossi nel si naturale de “La vita mi costasse” e nello slancio eroico della scena della vittoria: per il resto, la prova del tenore turco si rivela tutto sommato incolore, anche a causa di una certa difficoltà a proiettare la voce oltre l’imponente apparato orchestrale.
Assai più a fuoco si rivela il baritono Ivan Inverardi, il quale ripropone il suo collaudatissimo Scarpia, giocato più sulla dimensione brutalmente predatoria del bramoso satiro che sulla sottile perfidia dello sbirro dal cuore di ghiaccio: non a caso, “Ha più forte sapore” e “Se la giurata fede” sono forse i passaggi meglio risolti dell’intera serata.
Credibile l’Angelotti di Francesco Leone, meno incisivo si rivela Il Sagrestano di Angelo Nardinocchi. Completano la locandina, unitamente al Coro diretto da Giovanni Andreoli e alle voci bianche guidate da Francesco Marceddu, Safa Korkmaz (Spoletta), Francesco Musinu (Sciarrone), Alessandro Frabotta (Un carceriere), Andrea Rossino (Un pastore).
La recensione è riferita alla "Prima" del 15 marzo 2024.
Carlo Dore jr.