Palla de' Mozzi | Elia Fabbian |
Signorello | Leonardo Caimi |
Il Montelabro | Francesco Verna |
Anna Bianca | Francesca Tiburzi |
Il Vescovo | Cristian Saitta |
Il Mancino | Andrea Galli |
Giorno | Murat Can Güven |
Spadaccia | Matteo Loi |
Niccolò | Luca Dall'Amico |
Straccaguerra | Giuseppe Raimondo |
Il Capo dei Lanzi | Alessandro Busi |
Due Suore | Lara Rotili e Elena Schirru |
Attore e Acrobata | Julien Lambert |
Direttore | Giuseppe Grazioli |
Regia, Scene e Video | Giorgio Barberio Crosetti e Pierrick Sorin |
Costumi | Francesco Esposito |
Luci | Gianluca Cappelletti |
Maestro del coro | Donato Sivo |
Maestro del coro di voci bianche | Enrico Di Maria |
Orchestra e coro del Teatro Lirico di Cagliari |
Dopo le sognanti favole di Respighi, la dimenticabile Turandot busonica e il commovente Schiavo di Gomes, il Teatro Lirico di Cagliari sceglie di dedicare ancora una volta la serata inaugurale della stagione alla riscoperta di un’opera rara: questa volta tocca a Palla dè Mozzi, drammone di ambientazione rinascimentale non privo di riferimenti ai simboli del Ventennio e punta di diamante della produzione di Gino Marinuzzi, passato alla Storia più per la sua dimensione di grande direttore d’orchestra che per la sua attività di compositore.
La frase di lancio dell’opera “Il pubblico di Cagliari avrà il privilegio di ascoltare per la prima volta un titolo di cui non esistono registrazioni né incisioni discografiche”, è oro colato per le agre riflessioni dei loggionisti: “del Don Carlo esistono svariate incisioni, eppure il pubblico cagliaritano non ha mai avuto il privilegio di condividere i tormenti dell’Infante di Spagna”. Riflessione severa, quella dei frequentatori del loggione, ma particolarmente efficace nel descrivere la condizione di una piazza che vede i capisaldi del melodramma italiano troppo spesso sacrificati sull’altare della ricerca di novità finalizzate più ad assecondare fredde esigenze di marketing e a catturare l’attenzione dei media nazionali che a scaldare i cuori degli appassionati.
Palla de' Mozzi, con il suo imponente apparato di donne, cavalieri, armi ed amori e la ridondante elegia dell’unità nazionale (sul punto, inutile precisare che il coro di Ernani continua a mantenere tutt’altro impatto rispetto al lacrimevole monologo di Signorello) si colloca perfettamente in questa linea di tendenza. La regìa di Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin (che hanno curato anche scene e video, con costumi di Francesco Esposito e luci di Gianluca Cappelletti) non riscuote gli stessi consensi che avevano accompagnato l’allestimento de La pietra del paragone proposto nel 2016. I video che sovrastano il palco, proiettando in una dimensione cinematografica l’intera vicenda, rendono bene le scene di battaglia ed alcune particolari fasi dell’azione (come la fuga del Montelabro); ma lo sfondo blu elettrico, i plastici ai lati della scena e i proiettori a ridosso della buca dell’orchestra stridono fastidiosamente con il rutilare di spade, elmi, armature e castelli che scandisce la storia dell’infelice epigono di Giovanni delle Bande Nere.
A riscattare in parte la serata contribuiscono l’ottima direzione di Giuseppe Grazioli, abile nel governare una partitura difficilissima, densa di percussioni, nei cambi di ritmo e nel mantenere sempre un perfetto equilibrio tra orchestra, coro - sapientemente preparato da Donato Sivio - e solisti. Eccellente la prova dei cantanti, ai quali va riconosciuto il merito di avere risolto con successo delle pagine di musica quasi del tutto inesplorate e per questo ancor più impegnative.
Nel ruolo eponimo, Elia Fabbian sfoggia dizione scolpita e robusta corda baritonale, incarnando un condottiero caratterizzato più dalla nobiltà dell’eroe romantico lacerato dall’eterno conflitto tra affetti e onore che dalla dimensione predatoria del capitano di ventura dedito alla conquista ed alla razzìa. Convincente il Signorello di Leonardo Caimi, tenore dal timbro brown, dall’emissione morbida e da una notevole ricchezza nei centri, la cui voce tende però a perdere volume quando si proietta verso la zona acuta.
Ottimi i bassi Cristian Saitta (Vescovo autoritario e tonitruante) e Luca Dall’Amico (Niccolò trucibaldo, avido e satanico) e il baritono Francesco Verna (Il Montelabro), l’eccellenza assoluta del cast è la Anna Bianca di Francesca Tiburzi, perfetto connubio tra nobiltà belcantista e accenti autenticamente drammatici. La bellezza del timbro è di quelle che non si scordano, la capacità di proiettare la voce al di sopra del coro e dell’orchestra, specie nel monumentale finale dell’ultimo atto, giustifica quasi da sola l’acquisto del biglietto.
Sempre meritevoli di menzione le suore Elena Schirru e Lara Rotili, apprezzabili nel duetto iniziale, Andrea Galli (Il Mancino), Murat Can Güven (Giorno), Matteo Loi (Spadaccia), Giuseppe Raimondo (Straccaguerra), Alessandro Busi (Il Capo dei Lanzi), Julien Lambert (attore e acrobata) completano la locandina di questa ennesima opera rara riscoperta a Cagliari, più per assecondare esigenze di marketing che per scaldare i cuori degli appassionati.
La recensione si riferisce alla "prima" del 31 gennaio 2020.
Carlo Dore jr.