Nedda | Rachele Stanisci |
Canio | Walter Fraccaro |
Tonio | Marco Caria |
Peppe | Matteo Falcier |
Silvio | Andrea Borghini |
Due Contadini | Enrico Zara, Paolo Floris |
Direttore | Lü Jia |
Regia | Gabriele Lavia |
Regista realizzatore | Daniela Zedda |
Scene e costumi | Paolo Ventura |
Luci |
Andrea Anfossi riprese da Andrea Ledda |
Maestro del coro | Donato Sivo |
Maestro del coro di voci bianche | Enrico Di Maira |
Orchestra e coro del Teatro Lirico di Cagliari |
Serata giustamente dedicata alla memoria del compianto Marcello Giordani (al quale era stato assegnato il ruolo di Canio nell’elaborazione del cartellone precedente alla sua improvvisa scomparsa, avvenuta nell’ottobre dello scorso anno), l’esecuzione dei Pagliacci andata in scena al Teatro Lirico di Cagliari non ha tradito le attese del pubblico, grazie ad una regìa molto collaudata e ad una compagnia di canto di buon livello, specie nei tre protagonisti principali.
Lo spettacolo di Gabriele Lavia (realizzato da Daniela Zedda, con scene e costumi di Paolo Ventura e luci di Andrea Anfossi riprese da Andrea Ledda) inquadra la vicenda in una periferia urbana devastata dal secondo conflitto mondiale (indicativa, in questo senso, la scritta “vincere” che campeggia su un muro crivellato dai proiettili, collocato sul fondo della scena), nella quale trampolieri e pagliacci di strada cercano di allentare, per qualche ora, la disperazione di una comunità in ginocchio. Un contesto di degrado, nel quale attecchiscono i tristi frutti dell’odio, gli spasimi di dolore, le urla di rabbia e le risa ciniche che scandiscono l’azione dei protagonisti, fino a colorare di sangue la festicciola di mezz’agosto; un contesto di degrado, che ci ricorda quanto labile appaia il confine tra amore e vendetta, tra indipendenza e tradimento, tra cuore e coltelli nel momento in cui ci si trova a sondare gli accessi più autentici dell’animo dell’uomo in carne ed ossa.
I tempi lentissimi imposti dal direttore Lü Jia non condizionano la prova del cast: appagando le altissime aspettative maturate dopo la memorabile Tosca dello scorso marzo, Rachele Stanisci conferma di essere il prototipo del soprano drammatico-verista, ed incarna una Nedda di livello assoluto: pieno di tetra inquietudine l’attacco di “Qual fiamma avea nel guardo”, soave e sensuale l’esecuzione dell’aria e del successivo duetto con Silvio, la girandola di accenti fiammeggianti che scandisce le frasi: “di quel tuo sdegno è l’amor mio più forte/non parlerò, no, a costo della morte” vale da sola il prezzo del biglietto.
Al netto di una trascurabile incertezza nell’iniziale “Itene al diavolo!”, un artista del valore e dell’esperienza di Walter Fraccaro risolve con sicurezza il ruolo di Canio, nel quale si trova a suo agio sia dal punto di vista vocale (il timbro brown e gli acuti solidi lo rendono adattissimo alla parte) che interpretativo, grazie ad una approfondita esplorazione di tutti gli aspetti del personaggio. Strappa applausi la commovente esecuzione di “Vesti la giubba”, ogni parola di “Un tal gioco credetemi” gronda della brutalità istintiva dell’uomo nel profondo non cattivo, ma incapace di distinguere violenza e sentimento.
Trascinante nel prologo iniziale - cantato con adeguato sfoggio di accenti agri ed acuti brillanti – ma quasi intimidito dall’opulenza timbrica della Stanisci nel duetto del primo atto, Marco Caria presta la sua bella voce baritonale ad un Tonio inacidito e satanico, tutto giocato sull’equazione tra deformità fisica e perfidia interiore.
Corretto il Beppe/Arlecchino di Matteo Falcier, Andrea Borghini è un Silvio molto civile e composto, che regge bene il duetto con Nedda.
Ottimi il coro diretto da Donato Sivo e le voci bianche guidate da Enrico di Maira, i contadini Enrico Zara e Paolo Floris completano la locandina.
La recensione si riferisce alla "prima" del 28 febbraio 2020.
Carlo Dore jr.