Jenůfa | Andrea Dankova |
Laca Klemeň | Brenden Gunnel |
Števa Buryja | Ales Briscein |
Kostelnička Buryjovka | Angeles Blancas Gulìn |
Starenka Buryjovka | Gabriella Sborgi |
Stárek, il mugnaio | Maurizio Leoni |
Rychtar, il sindaco | Luca Gallo |
Rychtářka | Monica Minarelli |
Karolka | Leigh-Ann Allen |
Pastuchyňa | Arianna Rinaldi |
Barena, cameriera nel mulino | Roberta Pozzer |
Jano, pastore | Sandra Pastrana |
Tetka, zia | Grazia Paolella |
Direttore | Juraj Valčuha |
Regia e scene | Alvis Hermanis |
Costumi | Anna Watkins |
Luci | Gleb Filshtinsky |
Coreografie | Alla Sigalova |
Coreografia ripresa da | Anaïs Van Eycken |
Drammaturgia | Christian Longchamp |
Video | Ineta Sipunova |
Orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna | |
Maestro del coro | Andrea Faidutti |
Jenůfa: un affresco sul peccato e sul perdono, in una cornice di rapporti familiari deviati e di una realtà rurale che diviene anch’essa, giocoforza, un allargamento della famiglia stessa.
La colpa è in tutti, a far principio da ciò che è avvenuto prima delle vicende rappresentate e che di esse costituisce la ragione; nessuno è esente e ciascuno ritiene di essere nel giusto e di operare per il bene. La protagonista pecca di leggerezza, Števa è fatuo ed egoista, Laca impulsivo e non particolarmente brillante, la vecchia Buryjovka indifferente. I paesani vivono dei ritmi immutabili e delle convenzioni dettate dalla vita dei campi. Su tutto si erge e domina Kostelnička, peccatrice animata dal sacro fuoco della rispettabilità a tutti i costi, arsa dalla fiamma della punizione delle colpe altrui, conscia della sua natura, che comunque rifiuta in nome di una “giustizia” nella quale le regole ed i fondamenti vengono plasmati a suo piacimento, sino a sacrificare un innocente con lucida determinazione. Ci sarà il perdono per tutti; sarà Jenůfa medesima a chiederlo per la matrigna rea confessa, ed a sua volta ella sarà perdonata da Laca, che a suo tempo la sfigurò in nome di un amore cieco ed a lungo non ricambiato.
In Jenůfa il “popolare” assurge ad “universale” attraverso la complessità dei legami tra i personaggi, trae forza dall’intersecarsi dei sentimenti, dal “non detto”.
Alvis Hermanis, nel suo allestimento, per il quale firma regia e scene, coglie il senso dell’opera, o meglio della parola cantata, con straordinaria acutezza, dando alla narrazione scenica una forza drammatica dirompente.
L’azione vive in una cornice Liberty, fatta di proiezioni floreali, di pitture ed affiches, realizzate da Ineta Sipunova, sempre inerenti a ciò che sulla scena avviene. Il primo ed il terzo atto sono quasi calligrafici nel loro rievocare la vita del villaggio. Costumi tradizionali, bellissimi, nati dalla fantasia di Anna Watkins, opulenti nei tessuti e minuziosi nella fattura. La scena è partita in due: il popolo assiste dall’alto alle vicende dei protagonisti, passivamente nel primo atto, in maniera attiva nel terzo, guidando i loro movimenti quasi essi siano marionette animate dagli abitanti del villaggio.
Di tutt’altro tono il secondo atto, dirompente, ove l’orrore dell’infanticidio e della menzogna trova compimento: una casa sordida, quella di Kostelnička, ai giorni nostri, fredda e poveramente arredata, manifestazione del degrado interiore. Lo squallore dei pochi mobili, del televisore in bianco e nero, degli elettrodomestici decrepiti e sozzi, delle immagini sacre che spuntano ovunque, dei vestiti sdruciti fa da cornice al delitto compiuto in nome di una morale stravolta.
A legare i tre atti un gruppo di danzatrici in bianco, onnipresenti, che si muovono su coreografie di Alla Sigalova, nelle quali è evidente l’omaggio ad Isadora Duncan; mute coreute che rendono visibili i tumulti dei protagonisti, cullano il bimbo morto passandoselo di braccia in braccia, fanno barriera a Jenůfa indifesa, stigmatizzano la colpa di Kostelnička ed al contempo danzano la vitalità spensierata dei contadini.
Hermanis fa teatro puro, incalza, costringe a pensare, mette a nudo la verità drammatica dell’opera, il tutto attraverso una gestualità ora cristallizzata ora drammaticamente esagerata. Straordinaria la scena di Kostelnička che, rientrata in casa dopo aver sepolto il bimbo nel ghiaccio, in un climax di orrore chiede a Laca di essere riscaldata mentre mette nel freezer i vestitini del piccolo.
Alla dirompente parte visiva corrisponde un’esecuzione musicale di altrettanta forza.
Juraj Valčuha, alla testa di un’orchestra perfetta, dirige seguendo un percorso narrativo che non perde tensione drammatica nemmeno per un istante. I tempi morbidi degli episodi ispirati alle musiche popolari del primo atto si animano dei bagliori tetri delle scabre sonorità del secondo; le dinamiche incalzano in un crescendo di sentimenti contrastanti, forti di soluzioni ritmiche continuamente rinnovate nella loro drammaticità.
Perfetta la compagnia di canto, a cominciare dalla Kostelnička gigantesca di Angeles Blancas Gulìn, opulenta nella vocalità, luciferina ed al contempo tormentata nel fraseggio, scenicamente perfetta nel suo muoversi con insinuante lentezza per abbandonarsi poi a parossismi stregoneschi. Per lei un trionfo ampiamente meritato.
Nel ruolo eponimo Andrea Dankova trova una misura interpretativa pressoché esemplare. La sua Jenůfa incarna perfettamente sia l’aspetto infantile del personaggio che la sensualità a tratti inconsapevole dalla quale è animato; il tutto è reso con ricchezza d’accenti attraverso una linea di canto di grande morbidezza.
Il Laca di Brenden Gunnel è squillante in acuto, appassionato nel fraseggio, ricco nella recitazione.
Ales Briscein dà voce e corpo ad uno Števa tanto pavido quanto arrogante, caratterizzato da belle mezzevoci che ne evidenziano la natura debole.
Perfetta ci è sembrata la Buryjovka iconica, quasi astratta di Gabriella Sborgi, cantante intelligente e dotata di grande senso della frase.
Nella breve parte di Jano Sandra Pastrana esibisce una vocalità sicura unita a bella sensibilità, così come risulta convincente la Karolka vanesia di Leigh-Ann Allen.
Tutte brave le parti di contorno, ovvero Luca Gallo nei panni del sindaco Rychtar, Monica Minarelli,Rychtářka, Grazia Paolella come zia Teka, Maurizio Leoni, Stárek, Arianna Rinaldi, Pastuchyňa e Roberta Pozzer, Barena.
Molto bene si porta il coro, preparato con minuzia da Andrea Faidutti.
Successo pieno per tutti, con ovazioni alla Gulìn, Valčuha ed Hermanis; peccato per i maleducati che non hanno saputo farsi coinvolgere dalla musica e dallo spettacolo abbandonando la sala durante l’esecuzione.
Alessandro Cammarano