Amalia, Orfana, Nipote del Conte | Fiorenza Cedolins |
Massimiliano, Conte di Moor, Reggente | Giacomo Prestia |
Carlo, Figlio del Conte | Fabio Sartori |
Francesco, Figlio del Conte | Roberto Frontali |
Moser, Pastore | Marco Spotti |
Rolla, Compagno di Carlo Moor | Alessandro Cosentino |
Direttore | Daniele Gatti |
Regia | Elijah Moshinsky |
Ripresa | Andrew Sinclair |
Scene e Costumi | Paul Brown |
Allestimento Royal Opera House Covent Garden di Londra |
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Coro e Orchestra |
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Teatro Comunale di Bologna |
Bologna - Il Teatro Comunale inaugura la propria stagione con I Masnadieri di Giuseppe Verdi, una delle opere meno rappresentate del Maestro e quella che per tempo, insieme al Corsaro, è stata considerata una delle sue opere più brutte. Francamente credo che il giudizio sia affrettato, l’opera non è assolutamente brutta, musicalmente ci sono degli spunti molto interessanti, anche se drammaturgicamente ancora non è quell’organismo unitario e coinvolgente, caratteristico invece dei capolavori dell'età matura del Maestro. Il Libretto di Andrea Maffei è forse l'elemento meno convincente dell’opera, sono dei versi apprezzabile poeticamente, per la loro bellezza in sé, ma sono poco funzionali all’azione scenica, manca quella “parola scenica” così importante nella drammaturgia Verdiana. Forse in una sola scena si può sentire la fusione perfetta tra musica e libretto, la scena del pentimento di Francesco, quando egli chiede di essere assolto dal Pastore, in questo duetto baritono-basso che già preannuncia duetti significativi del Verdi maturo. Musicalmente è una scena riuscitissima, piena di tensione e pathos e quel “Trema” ripetuto con enfasi dal Pastore rimane impresso e indissolubile per tutto il resto dell’opera. Per il resto del tempo, Verdi è qui legato più che mai alla “solita forma”, il continuo susseguirsi di scena, aria e cabaletta, e quindi il continuo raggelarsi dell’azione per dar sfogo ad arie di contemplazione o di malinconici rimpianti. Un'altra caratteristica spiazzante dell’opera è che i protagonisti sono appunto “I Masnadieri”, non è la prima volta che un coro è protagonista dell’opera, ma in questo caso il coro è veramente una parte inessenziale alla vicenda, non partecipa in modo diretto all’azione, è sempre un elemento di contorno al personaggio principale che è Carlo. Inoltre le parti dedicate al coro sono anche quelle musicalmente più brutte dell’opera, degli allegri cori zum pà pà, che facciamo fatica ad immaginarci soprattutto per i testi che suscitano oggi abbastanza ilarità come: Le rube, gli stupri, gl'incendi, le morti, per noi son balocchi, son meri diporti. In effetti i conflitti che drammaturgicamente saltano in primo piano sono soprattutto quelli familiari tra i due fratelli contendenti la stessa donna (di ciò non potevamo dubitare) e soprattutto che si contendono l’amore del padre, e Verdi qui dimostra, come sia sempre più interessato ai rapporti filiali, ai quei conflitti che egli riesce sempre a descrivere in modo delicato e profondo. Anche la parte essenzialmente sentimentale dell’opera, l’amore tra Carlo ed Amalia, non è particolarmente riuscita, anche qui Verdi è lontano ancora dal descrivere in modo pieno e sublime i rapporti amorosi, sentiamo ancora la convenzione e la superficialità in questo amore, che percepiamo come qualcosa di dovuto alla tradizione più che come elemento essenziale alla forma. Il Finale è poi l’elemento disastroso dell’opera, un finale incomprensibile sotto tanti punti di vista, si chiude si con la morte dei protagonisti, come tante altre opere, ma diviene incomprensibile il gesto di Carlo che decide di uccidere l’amata per seguire il suo destino di Masnadiere ed essere giustiziato al patibolo, e forse uno dei finali più strani di tutta la storia dell’opera. Dal punto di vista vocale, Verdi esperimenta l’unione di tutte le voci del concertato classico: tenore, soprano, basso, baritono, sono questi i quattro protagonisti della storia, che in diversi concertati fanno sentire l’effetto coloristico dell’impasto delle loro voci, soluzione dei quattro protagonisti che Verdi riutilizzerà con grandissimi risultati anche nel Simon Boccanegra e nell’Aida. Veniamo allo spettacolo così com’è andato in scena martedì sera a Bologna, l’allestimento veniva dal Coven Garden di Londra, si trattava di una struttura di pannelli di vetro che in base alla posizione sulla scena, faceva da sfondo alla varie situazione: dalla foresta al palazzo del Conte, lo sfondo era sempre lo stesso. La differenziazione era data soltanto dal gioco delle luci e da piccoli particolari come un albero, un tavolino, una statua, per il resto tutto era molto essenziale. Le scene con protagonisti i Masnadieri e Carlo erano dominate dai calori caldi quindi Rosso e Giallo, che spesso rappresentavano il fuoco portato dalla distruzione dei Masnadieri, mentre nelle scena in cui dominava Francesco, scene in cui tramava per eliminare padre e fratello, i colori freddi facevano da padrone. I costumi erano tradizionali, antichi ma difficilmente collocabili in una precisa data storica. L’idea che ne veniva fuori è di una regia abbastanza tradizionale, che eliminava però ogni elemento superfluo alla storia e all’azione. Venendo alla compagnia di canto, non posso che apprezzare in toto la prestazione di tutti i cantanti, perché sono riusciti a realizzare un opera molto difficile dal punto di vista vocale, che ha bisogno di quattro bravi protagonisti, essenziali per la buona riuscita dello spettacolo. Per fortuna il cast bolognese prevedeva dei cantanti di grande livello, il basso Giacomo Prestia nella parte del conte di Moor ha dato una buona prestazione, molto sentita anche dal punto di vista interpretativo. Fabio Sartori, Carlo, ha costruito il personaggio in modo convincente, dando un interpretazione coerente e molto avvincente, purtroppo però nonostante questo, il problema di Sartori è la voce, va sicuramente lodato per la costruzione e per lo studio del personaggio, ma il timbro di Sartori è lagnoso, sono evidenti problemi di emissione e la voce risulta a volte ingolata e “stimbrata”. Per quanto riguarda il ruolo di Amalia , bisogna ricordare che Verdi lo scrisse appositamente per un famoso “usignolo” dell’epoca, Jenny Lind, infatti la parte è molto difficile, costellata di agilità e di arie virtuosistiche, Fiorenza Cedolins è stata all’altezza della situazione, non possiamo che constatare che si tratta di una grande interprete, è stata bravissima nelle parti di agilità e altrettanto brava nelle parti più drammatiche, più spinte, dell’opera, da sottolineare anche il grande impeto in scena e una recitazione ad altissimi livelli. Se solo una pecca le si può trovare e che avendo intrapreso una carriera di soprano lirico/drammatico, l’ha portata a sviluppare il registro centrale a discapito della bellezza e della pienezza delle note più acute. Roberto Frontali, Francesco nell’opera, è stato sicuramente l’elemento del cast più in forma, la sua è un’interpretazione perfetta sotto tutti i punti di vista, scenicamente accattivante, vocalmente è stato straordinario, sia per lo sfoggio che ha fatto degli acuti, sia per aver dimostrato di essere un ottimo baritono verdiano, trovando gli accenti giusti e il grande pathos di interprete. Anche Gatti ha fatto la sua parte per la buona riuscita di questa prima produzione bolognese, l’ho trovato abbastanza disteso nei tempi, attentissimo alle sfumature, agli accenti e alle agogiche del canto. Un ultimo appunto, da questa opera in poi sono previsti al Comunale i sopratitoli anche per le opere in italiano, la trovo un’iniziativa ottima, già in uso in altri teatri italiani, non può che essere un ulteriore elemento di divulgazione e avvicinamento soprattutto dei giovani all’opera.
Luana D'Aguì