Luciano Ganci | Carlo VII |
Maria Katzarava | Giovanna d'Arco |
Alfredo Daza | Giacomo |
Andrés Moreno García | Delil |
David Oštrek | Talbot |
Direttore | Felix Krieger |
Allestimento scenico | Isabel Ostermann |
Maestro del Coro | Steffen Schubert |
Orchestra e Coro del Berliner Operngruppe |
Nonostante qualche sporadico ritorno di fiamma, Giovanna d'Arco è una delle opere di Verdi che più stenta a trovare la strada per il grande repertorio. Sebbene entrata "nelle viscere" del popolo durante i furori risorgimentali, il lavoro è caduto presto in un oblio di cui è responsabile forse una relativa debolezza musicale della partitura o forse un libretto (di Temistocle Solera) entrambi incapaci di restituire l'aura di eccezionalità della figura storica e che anzi a tratti sembrano banalizzare un personaggio tanto iconico.
Dalla sua prima milanese l'opera era stata eseguita nella capitale tedesca una sola volta, nel 1941 nell'ambito delle celebrazioni per il quarantennale dalla morte del compositore ma anche, essendo in piena era belligerante, per mettere un marchio musicale sull'asse Roma-Berlino. Die Jungrfau von Orleans fu un successo assoluto: il libretto venne tradotto e adattato per l'occasione, con vari Heil di saluto, usando Patria e non Francia quando possibile e rimarcando i toni anti inglesi. I critici dell'epoca previdero un futuro roseo per l'opera riscoperta che secondo loro sarebbe entrata sicuramente e velocemente in repertorio stabile in tutti i teatri del mondo, ma sappiamo tutti quanto queste profezie siano state fallaci.
Dopo settantasette anni la Giovanna d'Arco torna dunque sulle rive della Sprea, stavolta in italiano, ad opera del Berliner Operngruppe, la giovane istituzione della capitale tedesca (di cui già l'anno scorso recensimmo lo Stiffelio) dedita alle opere meno eseguite del nostro Ottocento, con un occhio di riguardo per quelle verdiane. Un titolo all'anno in un'unica esecuzione, un'iniziativa che fa piacere specialmente se si pensa quanto il belcanto sia ancora in parte incompreso nel suo reale significato espressivo in terra germanica.
Il lavoro del Berliner Operngruppe invece è stato meticoloso, e meritevole del successo ricevuto. Il Dirigent Felix Krieger (anche direttore artistico della istituzione) ha dato ampio respiro orchestrale alla partitura, esaltandone l'afflato con sonorità piene e coinvolgenti, rispettandone le intime ripiegature melodiche ma privilegiando la veemenza e i tratti drammatici più corruschi, che certo non mancano in un lavoro che è innervato da fervori patriottici e da passioni private spesso roventi. Un suono "tedesco", se ci si passa il termine, ma comunque dentro lo spirito dell'opera, assicurato da un'orchestra in cui si riconosceva una preparazione scrupolosa e concentrata, con buone parti solistiche.
Bene scelto anche il cast vocale.
Maria Katsarava ha confermato l'ottima impressione che suscitò già l'anno scorso come protagonista dello Stiffelio. Voce scura e corposa di soprano drammatico, dalla ragguardevole estensione e benissimo gestita nelle modulazioni, nei passaggi di registro e nelle lunghe arcate melodiche così come nei momenti più agitati come dimostra fin dalla scena d'entrata Fin dall'alba ed alla sera e il successivo duetto con Carlo VII dove tra l'altro il timbro densamente cupo del soprano si sposa molto bene con quello del suo partner. Tutto questo la Katsarava lo fa senza mai tradire lo sforzo, anzi con una linea di canto "pulita" e ben curando anche il lato espressivo dele varie situazioni sceniche.
Bella prova anche quella del nostro Luciano Ganci (Carlo VII) il cui canto generoso, supportato da un bel timbro tenorile, corre bene nonostante l'acustica non facile della Konzerthaus. La sua potenza vocale viene messa alla prova fin dall'ingresso (Sotto una quercia parvemi) che avviene molto lentamente dal fondo della sala verso la ribalta. Ganci lascia espandere bene la sua voce, con il giusto squillo, accenti ora accorati ora più ferventi senza risparmiarsi assicurandosi un successo personale.
A completare il terzetto dei protagonisti, Alfredo Daza ha vestito i panni di Giacomo padre dell'eroina. Ben conosciuto al pubblico cittadino (è componente stabile dell'ensemble della Deutsche Oper), Daza ha intessuto il canto con accenti di verità umana e cercando di dare varietà di emozioni ad una personalità di per se monolitica, lasciando venir fuori tutta l'umanità del padre nella lunga scena del terzo atto in cui finalmente comprende l'interiorità della figlia. Tutto questo, e a dispetto di qualche suono nasale, Daza lo rende con una voce di baritono omogenea e dal calore avvolgente.
Nelle piccole parti di Delil e Talbot hanno ben figurato rispettivamente Andrés Moreno Garcia e David Oštrek.
Il Coro svolge un ruolo non trascurabile nell'opera sia nel suo insieme sia nelle sezioni che danno corpo alle "voci" sentite dalla futura santa. Diretto da Steffen Schubert, l'insieme ha dimostrato grande cura nella preparazione con dinamiche ben dosate e anche una non trascurabile differenziazione di accenti.
L'opera è stata presentata in forma semiscenica. La Konzerthaus non ha un vero e proprio palcoscenico, ma la regista Isabel Ostermann ha fatto tesoro degli spazi a disposizione usando gli spazi a fini scenici: Carlo VII, come già detto, entra dal fondo della platea, e parte dell'azione si svolge sulla balconata in alto davanti all'organo. Sono bastati pochi oggetti per creare le diverse ambientazioni e supportare i gesti dei cantanti, e abiti che non erano veri e propri costumi (a parte un manto di ermellino per l'incoronazione di Carlo VII) per evocare chiaramente i diversi ruoli, la recitazione è stata di limpida chiarezza (senza sopratitoli si trattava di rendere comprensibili gli eventi ad un pubblico che capiva ben poco delle parole) ma sempre con misura e senza eccessi.
Al termine successo davvero entusiastico con ovazioni prolungate per tutti gli artisti.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 5 marzo 2018
Bruno Tredicine