Margherita di Valois | Patrizia Ciofi |
Conte di Saint-Bris | Derek Welton |
Conte di Nevers | Marc Barrard |
Valentine | Olesya Golovneva |
Urbain | Irene Roberts |
Tavannes / 1. Monaco | Paul Kaufmann |
Cossé | Andrew Dickinson |
Méru / 2. Monaco | John Carpenter |
Thoré / Maurevert | Alexei Botnarciuc |
de Retz / 3° Monaco | Stephen Bronk |
Raoul von Nangis | Juan Diego Flórez |
Marcel | Ante Jerkunica |
Bois-Rosé | Robert Watson |
Guardiano notturno | Ben Wager |
Due dame di corte/Due ragazze cattoliche | Adriana Ferfezka - Abigail Levis |
Coro, Orchestra e Corpo di ballo della Deutsche Oper di Berlino | |
Direttore | Michele Mariotti |
Maestro del Coro | Raymond Hughes |
Coreografie | Marcel Leemann |
Regia | David Alden |
Scene | Giles Cadle |
Costumi | Constance Hoffman |
Luci | Adam Silverman |
Drammaturgia | Jörg Königsdorf - Curt A. Roesler |
La Deutsche Oper di Berlino sta perseguendo un progetto "Tutto-Meyerbeer" celebrando il compositore nato proprio in quella città, presentando ogni anno una sua opera.
Dopo Vasco de Gama (L’africana) l'anno scorso e prima del Profeta previsto nel 2017, ecco quest'anno Gli Ugonotti che di tutte le opere di Meyerbeer è forse la più conosciuta, almeno di fama. Di fama perché tanto questo titolo fu frequentatissimo nei teatri di mezzo mondo fino ai primi del Novecento, tanto è diventato poi di rara esecuzione. Anche per tale motivo il ciclo di repliche berlinesi ha spinto appassionati di vari altri Paesi a venire ad assistervi.
Titolo quindi popolare in passato con un ruolo fra quelli paradigmatici per ogni tenore che si rispettasse: l'eroico Raoul de Nangis, Ugonotto innamorato della cattolica Valentine. Amore contrastato nonostante i buonuffici della Regina Margherita di Navarra, che verrà travolto dalla violenta valanga di sangue della Notte di San Bartolomeo nata dal crescente odio tra le due fazioni religiose.
È un'opera complessa che nasce con un clima quasi leggero: il cammino verso la tragedia è lento ma inesorabile, soffocando i residui elementi “salottieri” con una corrispondente evoluzione in senso drammatico di tutti i caratteri.
Il regista americano David Alden ha esasperato queste diverse atmosfere marcando una frattura netta fra gli umori del primo e secondo atto (presentati senza soluzione di continuità) e il resto dell'opera. All'inizio siamo in un clima quasi da Vedova allegra, con tanto di ballerine abbigliate solo di palloncini e sgambettanti in stile bluebell a terminare il primo atto o una Marguerite che sembra presa da una commedia sofisticata, svagata e inseguita da un'infermiera che le somministra delle pillole. Col progredire della storia però Alden trova il bandolo della matassa: mentre la vicenda si fa più stringente la regia non ricerca più originalità a tutti i costi e ne guadagna in pregnanza drammaturgica e in speditezza. Viene mantenuta solo qualche residua stravaganza come un certo effetto Sister act quando durante la benedizione dei pugnali le armi vengono portate anche da alcune religiose oltre che da sacerdotini (e non monaci come previsto).
Del tutto insoddisfacente però è la resa delle scene corali, quelle che dovrebbero dare il senso del grand-opéra e che qui sono condotte in modo claustrofobico. C'è quasi la volontà di soffocare la componente - appunto - grandiosa con un comportamento rinunciatario ed in un'opera di questo tipo, dal punto di vista registico, non curarsi delle masse significa rinunciare alla parte più qualificante del proprio lavoro. Tanto per fare un esempio, se al ritratto d'ambiente del Prés aux clèrcs si sostituisce una lunga scena col coro seduto immobile sui banchi di una chiesa la musica perde tutta la sua forza evocativa e c'è un evidente scollamento fra essa e la situazione scenica. Lo stesso con l’inizio del secondo atto: niente giardini di Chenonceaux, e il ruscello dove Marguerite dovrebbe bagnarsi insieme alle sue ancelle è una semplice vasca da bagno. Anche le scene di Giles Cadle vanno in direzione opposta allo stile dell'opera, strette come sono da pareti come quelle di un capannone industriale all'interno del quale trovano posto gli altri arredi.
A merito di Alden va il fatto di avere lasciato perdere due dei vizi più comuni fra i registi odierni, quelli di alterare i rapporti fra i personaggi (ci sono state messinscene degli Ugonotti dove al termine St.Bris uccideva la propria figlia Valentine) o l’attualizzazione a tutti i costi. Qui nonostante i richiami a un tempo posteriore alle vicende (i costumi di Costance Hoffman si rifanno a varie epoche ma per lo più richiamano un vago primo Novecento) non ci sono musulmani e cristiani in scena o nazisti ed ebrei. Anzi sorprendentemente vengono rispettate alcune notazioni minori del libretto, come la presenza dei quadri di famiglia di Nevers durante il quarto atto o la comparsa della inorridita regina al termine dell’opera.
Molto marcate le luci di Adam Silverman soprattutto frontali che creano giochi di ombre molto netti.
Tradizionalmente la parte di Raoul de Nangis è stata associata a quella dei tenori eroici: un tipo di vocalità che certamente non appartiene a Juan Diego Florez, per cui è inutile fare confronti coi divi del passato. Per il tenore peruviano questo berlinese è stato il debutto nel ruolo e lo ha affrontato alla sua maniera, da belcantista, un approccio comunque interessante. Una vera e propria ovazione ha salutato il termine di Plus blanche que la blanche hermine, cantata con grande attenzione. In tutta la serata solo qualche acuto un po’ tirato e qualche portamento di troppo hanno denunciato che la tessitura era un po' al limite per lui, e d’altra parte nei numeri d’insieme la sua voce non svettava con quella prepotenza che si sarebbe auspicata. Però la prova nel suo complesso è stata superata con onore: la tecnica eccellente, i giusti accenti, la bellezza del timbro suadente sono tutti punti a favore dell’artista, emersi nel duetto con Marguerite e ancora di più in quello con Valentine e nel turbolento finale dove Florez ha raggiunto tinte drammatiche ammirevoli.
Un discorso simile va fatto per Patrizia Ciofi. La parte appare troppo pesante per la sua vocalità, e se gli acuti sono comunque centrati è nelle note basse che la voce si rivela leggera e un po' povera di corpo. Tuttavia tale è il senso della musicalità della Ciofi, la sua determinazione nell'aderire al personaggio e a superare qualunque difficoltà, l'intonazione e la caparbietà nel dare espressività si potrebbe dire ad ogni nota, che la cantante merita tutti gli applausi che riceve. Pronta ad eseguire le richieste registiche, ha terminato la cadenza di Sombre chimère interpolando quella tradizionale della Lucia di Lammermoor, stravaganza che ha divertito molto il pubblico berlinese ma non si sa come sarebbe stata accolta alle nostre latitudini.
La prima interprete del ruolo di Valentine fu la mitica Marie-Cornélie Falcon, soprano che diede il suo nome a una precisa tipologia vocale a cui Olesya Golovneva, attuale interprete di questa parte non appartiene, senza nulla togliere al suo valore. La cantante acquista comunque intensità e peso vocale man mano che la storia evolve verso la tragedia e il suo personaggio diventa protagonista. Così il timbro inizialmente appannato e una certa timidezza espressiva cedono il posto a note ben tenute, veemenza e rispettabile temperamento, che si esprimono già nel duetto con Marcel e man mano sia nella sua grande scena che apre il quarto atto col recitativo e l’aria Parmi les fleurs mon rêve se ranime, e poi sempre più verso il finale dell’opera.
Marcel potrebbe apparire quello che oggi si definirebbe un integralista, ma Ante Jerkunica non gli fa correre questo rischio grazie a una assoluta sobrietà di condotta scenica. In più il cantante sfodera una vocalità possente con la quale dona ieraticità e autorevolezza al personaggio; gli va imputato solo qualche limite negli acuti dove il timbro tende a perdere colore.
Marc Barrard è stato un Nevers elegante, dalla voce che ha le sue morbidezze ma con un’emissione non fermissima che mostrava spesso un vibrato largo fin troppo evidente.
Derek Welton ha dipinto un St.Bris determinato e sicuro vocalmente quanto glaciale come personaggio.
Irene Roberts ha faticato a stare dietro le impervie volate del paggio Urbain non per quanto riguarda l'estensione che non le manca, ma per le agilità che non sono apparse fluide e leggere come dovrebbero.
Tutte coperte con grande professionalità le altre parti dell'opera fra cui si ricordano almeno il Tavannes di James Kryshak, Bois-Rosé di Robert Watson, le due zingare (Adriana Ferfezka e Abigail Lewis) impegnate anche come Dame di Corte della Regina.
Molto buona la prova del Coro diretto da Thomas Richter.
Michele Mariotti ha portato a termine l'arduo compito con grande successo personale. Dopo l’ouverture espressa con solennità, e dove l’Orchestra della Deutsche Oper ha mostrato alcune sbavature negli ottoni, Mariotti ha dimostrato intenti diversi da quelli registici. Infatti sin dall’inizio la sua lettura non è stata del tutto leggera: l’eleganza e e la vivacità hanno avuto sempre un retrogusto di agitazione, quasi presagio della tragedia imminente. Per il resto Mariotti ha diretto bene, con una lettura efficace, spettacolare, compatta e senza sbavature.
Al termine ovazioni prolungate per tutti.
Chi riceve tutte le radio del mondo troverà interessante sapere che questa replica degli Ugonotti è stata ripresa dall’emittente Deutschlandradio Kultur, che la trasmetterà i prossimi 4 e 5 febbraio.
La recensione si riferisce alla recita del 20 novembre 2016
Bruno Tredicine