Jean de Leyde | Gregory Kunde |
Fidès | Clémentine Margaine |
Berthe | Elena Tsallagova |
Zacharie | Derek Welton |
Jonas | Andrew Dickinson |
Mathisen | Noel Bouley |
Conte di Oberthal | Seth Carico |
Prima Contadina | Sandra Hamaoui |
Seconda Contadina | Davia Bouley |
Primo Contadino / Un Anabattista / Primo Borghese / Soldato | Ya-Chung Huang |
Secondo Contadino / Un Anabattista | Taras Berezhansky |
Secondo Borghese / Un Ufficiale | Jörg Schörner |
Terzo Borghese | Dean Murphy |
Quarto Borghese | Byung Gil Kim |
Direttore d’orchestra | Enrique Mazzola |
Regia | Olivier Py |
Scene e costumi | Pierre-André Weitz |
Luci | Bertrand Killy |
Drammaturgia | Jörg Königsdorf - Katharina Duda |
Maestro del Coro | Jeremy Bines |
Maestro del Coro di voci bianche | Christian Lindhorst |
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche della Deutsche Oper Berlino | |
Corpo di ballo della Deutsche Oper Berlino |
Dopo un piccolo "revival" anche in Italia, e ci riferiamo alla Margherita d'Anjou dell'ultimo Festival della Valle d'Itria di Martina Franca, il nome di Giacomo Meyerbeer torna in evidenza a Berlino dove la Deutsche Oper va avanti col proposito di rappresentare ogni anno una delle sue opere. Ricordiamo nel recentissimo passato Dinorah, Vasco de Gama/L'africana e Gli Ugonotti, mentre stavolta è toccato a Le Prophéte, titolo di straordinario impatto al suo apparire, che si diffuse con una velocità e con numeri sorprendenti. Dopo la prima parigina del 1849, alla fine del secolo aveva già raggiunto nella capitale francese la cinquecentesima rappresentazione, e a pochi anni dal debutto era arrivata in tutti i continenti, in città come Melbourne, Cairo, Algeri, o ancora nelle Americhe, a New York e Buenos Aires. In Italia città capostipite fu Firenze nel 1852, e negli anni immediatamente successivi fu la volta di Torino, Venezia, Bologna e Napoli.
Dalla fine del XIX secolo tutto cambia, e l'opera si fa sempre meno frequente nei vari cartelloni fino a diventare una rarità. Una recente ripresa si è avuta lo scorso luglio a Tolosa, recensita da Silvano Capecchi per OperaClick, mentre, per tornare a Berlino, alla Deutsche Oper se ne ricorda un allestimento del 1966 in lingua tedesca.
Il lavoro, oltre che di rara esecuzione, è grand-opéra al suo massimo: lungo e complesso, dalla trama intricata ma con musica di eccellente fattura e dalla esemplare varietà di scrittura e di umori, compreso il balletto di ordinanza. La vicenda come dicevamo è un inestricabile groviglio dove l'arroganza del potere e il fanatismo religioso (si parla di manipolazione delle masse) travolgono la gente semplice e i suoi sentimenti, che siano quelli fra uomo e donna o il rapporto madre-figlio.
Il giovane Jean viene manovrato dai minacciosi Zacharie, Jonas e Mathisen, esponenti della setta anabattista che per breve tempo guadagnò potere nell'Europa centrale dominando per circa un anno la città di Munster, proprio il periodo nel quale si collocano gli eventi dell'opera. Jean accetta di seguire i tre nella loro predicazione proponendosi alle folle come l'incarnazione del Profeta: una mistificazione di cui sottovaluta la portata, ma a muoverlo c'è la speranza di potere così vendicarsi sul Conte di Oberthal che aveva posto rifiuto alle nozze tra lui e la sua Berthe.
Il suo comando del movimento anabattista resterà solo nominale, mentre le città verranno messe a ferro e fuoco e la stessa Fidès, sua madre, e Berthe arrivano a nutrire odio mortale verso questo Profeta, senza sapere chi sia veramente. Scoperta la verità, Fidès perdona a fatica il proprio figlio mentre Berthe distrutta si uccide. Un'esplosione preparata dallo stesso Jean, con la sua coda di distruzione, chiude in modo quasi catartico quest'opera.
Come protagonista abbiamo ritrovato Gregory Kunde, il quale sembra vivere una seconda giovinezza a giudicare dall'ottima forma vocale con cui si è presentato. Il cantante si è appropriato del personaggio a tutto tondo, aderendo alle minime pieghe del suo animo: innamorato ardente e figlio devoto che viene man mano preso in un meccanismo che non sa e non può controllare, Kunde esprime con una veemenza senza risparmio i dissidi interni che non hanno soluzione, in un progressivo precipitare verso la catastrofe finale. Una parte lunga e assai difficoltosa, ma il tenore non tradisce momenti di stanchezza, dal racconto del suo sogno premonitore (Sous les vastes arceaux d'un temple magnifique) fino ai couplet finali, passando naturalmente per un Roi du ciel coinvolgente e il drammatico finale del quarto atto dove il suo trepidare per Fidès fatica a restare nascosto. La sua è una performance di grande livello: la voce è sempre ferma, ben proiettata, eloquente negli accenti e nel carattere, ricca nelle dinamiche.
Con Elena Tsallagova siamo sugli stessi livelli: già la cavatina d'ingresso (che il regista le fa eseguire inutilmente mentre è impegnata come donna delle pulizie, sebbene con tanto di tacchi) non è di tutto riposo, ma il soprano la esegue con grande scioltezza e precisione. Con voce rotonda, senza asperità nelle escursioni lungo il pentagramma e benissimo proiettata, la sua è una Berthe smarrita che con impeto controllato ma efficace, esprime molto bene la metamorfosi da smarrita fanciulla, preda delle molestie degli sgherri di Oberthal, alla donna ormai scarnificata nel suo essere che appare verso il finale, incapace di provare fiducia e speranza anche quando crede di ritrovare il suo Jean.
Voce sonora e corposa, compatta e ferma nell'emissione, Clémentine Margaine conferisce alla sua Fides quanta più verità possibile per farla entrare in empatia col pubblico. Se le manca qualcosa nell'ambito di un temperamento travolgente, lo risolve con accenti scolpiti ed imperiosi. Sue sono due arie restate nel repertorio dei mezzosoprani, la dolente O mon fils, cesellata con attenzione, e la composita O Prêtres de Baal, un tour de force da cui esce a testa alta.
Ben rappresentato il terzetto dei minacciosi anabattisti con una menzione speciale per l'ottimo Zacharias del basso-baritono australiano Derek Welton, tra l'insolente e l'altero nei couplets Aussi nombreux que les étoiles, che costituiscono la sua grande scena all'inizio del secondo atto. Ben centrati anche il Mathisen di Noel Bouley e (sia pure con qualche esitazione) lo Jonas di Andrew Dickinson.
Dipinto in modo fin troppo equivoco dalla regia (coi suoi scagnozzi ha più l'aspetto di un camorrista di periferia che di un arrogante nobiluomo), Oberthal ha trovato in Seth Carico ottima espressione della sua composita personalità che lo vede prepotente, codardo e malvagio. Il finale pensato dal regista lo vede riprendere il potere dopo il suicidio del falso Profeta ed è del tutto diverso dall'originale previsto dal libretto, mancando la catartica esplosione purificatrice.
Il Coro della Deutsche Oper, diretto da Jeremy Bines, è stato vario nelle dinamiche e irreprensibile in termini di omogeneità ed espressività.
Enrique Mazzola ha diretto con correttezza e precisione un'Orchestra della Deutsche Oper in ottima forma. Quindi una cura assoluta e senza macchia per ottenere sonorità equilibrate, e grande attenzione a non prevaricare mai il palcoscenico, ma anche una certa monotonia di accenti e di dinamiche, che non ha reso giustizia alla diversificazione dei diversi aspetti di tensione che caratterizzano la drammatica vicenda.
Un grigiore non solo metaforico quello di scene e costumi di Pierre-André Weitz. L'azione di svolge in un qualunque "non luogo" del ventesimo secolo, una triste periferia inquadrata fra palazzoni scuri e in cui di muovono i personaggi abbigliati con abiti da Quarto stato, ad esemplificare la miseria di un'umanità senza speranza.
La regia di Olivier Py fa largo uso del palcoscenico girevole, che favorisce il mutamento di scena (ma non di colore, grigia la chiesa stilizzata dell'incoronazione del presunto Profeta, grigie le facciate dei palazzi lungo le strade e cosi via) e che durante il lungo balletto del terzo atto ruota incessantemente mostrandoci varie scene di violenza mentre dominano il terrore e la distruzione. Una sequenza lunga, volutamente ripetitiva nella gestualità degli artisti in scena, ma forse l'unico modo per restituire, anche in una messinscena così asciutta e a suo modo cinica, quella spettacolarità tipica di una scena di danza da grand-opéra. Questo non ha escluso che il numero sia stato addirittura “buato” sonoramente da buona parte del pubblico. Dissensi che si spera non volessero colpire anche gli elementi del Corpo di ballo della Deutsche Oper, che hanno mostrato una preparazione ben scrupolosa.
A parte le modifiche nel finale, a cui si è accennato prima, la regia di Py non si prende grossi arbìtri sul libretto (responsabili della drammaturgia sono Jörg Königsdorf e Katharina Duda), né altera i fondamenti caratteriali dei personaggi principali. Inoltre Py ha il merito di fare recitare davvero i cantanti e la massa del coro, con qualche stravaganza inutile, come Oberthal che fa la sua prima apparizione sul tetto di un'automobile.
Al tempo della sua première, l'opera incantò il pubblico anche per alcune innovazioni tecniche nello spettacolo: per la prima volta in un teatro si danzava sui pattini, e per simulare il sorgere del sole furono usate, novità assoluta, delle luci ad intensità regolabile (“dimmabili”, diremmo oggi). Py rende a suo modo omaggio a questo piccolo record quando, nello stesso momento, fa calare dall'alto una serie di riflettori rivolti verso il pubblico che per diversi secondi emettono una luce quasi accecante.
L'allestimento ha debuttato lo scorso 26 novembre e le repliche sono in corso fino al 7 gennaio. La replica a cui abbiamo assistito è stata registrata dall'emittente radiofonica tedesca Deutschlandfunk Kultur è sarà trasmessa il prossimo 23 dicembre alle 19.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 3 dicembre 2017.
Bruno Tredicine