Giustiniano | Simon Lim |
Belisario | Roberto Frontali |
Antonina | Carmela Remigio |
Irene | Annalisa Stroppa |
Alamiro | Celso Albelo |
Eudora | Anaïs Mejías |
Eutropio | Koldjan Kaçani |
Eusebio | Stefano Gentili |
Ottario | Matteo Castrignano |
Un centurione | Piermarco Viñas Mazzoleni |
Maestro del Coro | Fabio Tartari |
Direttore | Riccardo Frizza |
Orchestra Donizetti Opera | |
Coro Donizetti Opera | |
Esecuzione in forma di concerto |
Alla fine del ‘700, grazie all’importanza che assumono le nuove scienze come la geologia e l’archeologia, prende piede l’interesse per il passato che favorisce l’ideale romantico di un tempo antico e lontano, avulso dal presente. Il gusto estetico esalta le antiche rovine e le città abbandonate che spesso si collocano in contesti paesaggistici aspri e ostili. La storia di Belisario era già stata presa in considerazione da Dante che la inserì nel sesto Canto del Paradiso e a seguire era stato il soggetto di vari autori letterari e delle arti figurative europee. Donizetti si lascia coinvolgere dalla vicenda di Belisario, narrata in uno dei libretti (tratto da una tragedia di Holbein) che Salvatore Cammarano aveva redatto di sua sponte alla fine degli anni Trenta. Ciò dovuto probabilmente al desiderio del musicista di sperimentare attingendo dal “mondo antico” lavorando su una storia intrisa di romanticismo.
Il libretto dell’opera narra le vicende di un condottiero bizantino alle “dipendenze” dell’imperatore Giustiniano nel periodo in cui l’Impero Romano d’Oriente, ormai in rovina, era in procinto d’essere distrutto dai barbari. Belisario viene accolto trionfalmente a Bisanzio da Giustiniano e dall’amata figlia Irene per la vincita a danno dei goti. Tra i prigionieri del condottiero c’è anche Alamiro, il quale rifiuta la grazia offertagli da Belisario e si propone di servirlo. Nel contempo Antonina, moglie di Belisario, chiede l’aiuto di Eutropio, una delle guardie imperiali, per consegnare una lettera all’imperatore nella quale denuncia che il marito anni prima aveva fatto uccidere il loro figlio Alessi appena nato. Giustiniano condanna così Belisario per alto tradimento e lo fa accecare prima di mandarlo in esilio. Irene decide di seguire il padre nel suo errare. Mentre i due vagano per una landa desolata nei pressi di Bisanzio, si imbattono in Alamiro che Irene riconosce come suo fratello Alessi, in realtà ancora vivo poiché il soldato incaricato dal padre di ucciderlo quando era neonato non ne aveva avuto il coraggio e lo aveva semplicemente abbandonato. Belisario, Alamiro e Irene tornano insieme a Bisanzio ma durante la difesa della città, l’esule condottiero viene ferito. Belisario, in punto di morte, viene portato al cospetto di Giustiniano e gli affida i figli. La moglie Antonina si pente di avere accusato il marito dell’uccisione del figlio ma Belisario muore senza pronunciare parole di perdono nei suoi confronti e la donna viene maledetta da tutti. L’opera alla sua prima rappresentazione a Venezia il 4 febbraio 1836 ebbe un grande successo di pubblico, come si evince dalle stesse parole di Donizetti: “Sinfonia così così; cavatina Vial (Irene), applausi; cavatina Ungher (Antonina), urli, strepiti da non poter cominciare la cabaletta la seconda volta; duetto Pasini (Alamiro) e Salvatori (Belisario), eguali applausi; coro così così; finale, applausi e chiamate per tutti, e molte volte. Atto secondo. Aria Pasini, chiamato tre volte; duetto Vial e Salvatori, moltissimi bravi, ma alla fine (dicono) la situazione è così interessante, che piangono; terzetto, applaudito; ultima scena, Ungher applauditissima e chiamata, e sola, e con gli altri, e con me” (dal programma di sala a cura di Livio Aragona).
Per questa edizione di Belisario, eseguita nell’ambito del Donizetti Opera Festival 2020, si è optato per la forma concertante, probabilmente anche per la difficoltà di mettere in scena una vicenda così complessa in tempo di pandemia. All’ascolto questo lavoro del Donizetti maturo risulta moderno e con diverse idee innovative: ad esempio, per la prima volta in Donizetti, il protagonista è un baritono e in conseguenza di ciò precorre i duetti tra padre e figlia che in seguito saranno appannaggio di Verdi.
I panni di Belisario sono indossati da Roberto Frontali chiamato in corsa per sostituire Placido Domingo rinunciatario per motivi di salute. Il baritono romano ha al suo attivo più di trent’anni di carriera avendo debuttato nel 1986 al Teatro dell’Opera di Roma con Agnese di Hohenstaufen di Spontini. Per questo motivo qualche imperfezione nell’emissione, come il vibrato un po’ fastidioso, è assolutamente perdonabile e non inficia la resa complessiva. Il timbro conserva il suo colore brunito da autentico baritono e la voce risulta ancora morbida. Lavora molto sul fraseggio e sulla parola interpretando al meglio sia l’eroico condottiero con piglio e grinta ma, quando necessario, sa piegare la voce a toni amorevoli e dolenti nei confronti dell’amata figlia.
Nel ruolo di Alamiro troviamo Celso Albelo: di lui non si può negare lo stile elegante e la sicurezza dell’emissione anche se di tanto in tanto risulta un po’ nasaleggiante. Il valido tenore canario possiede un eccellente fraseggio, capacità di evidenziare delle belle dinamiche, slancio dove necessario e soprattutto estrema facilità nel registro acuto. Ne è la dimostrazione la cabaletta “Trema Bisanzio! Sterminatrice!” (scena II parte seconda) dove il tenore esibisce un Do e addirittura un Re acuti nella ripresa della cabaletta che termina poi con un secondo Do.
Il basso sudcoreano Simon Lim nei panni dell’imperatore Giustiniano conferisce autorevolezza e regalità al personaggio con voce scura e ben timbrata. Composto nel canto dimostra di essere assai solido nell’emissione.
Bene l’Eutropio di Klodjan Kaçani che conferma di possedere una pregevole vocalità anche se la parte non permette di mettere in mostra completamente le qualità nel loro complesso. La voce è di bel colore e tendente a una timbrica da tenore lirico.
Puntuali gli interventi di Stefano Gentili (Eusebio), Matteo Castrignano (Ottario) e Piermarco Viñas Mazzoleni (Un centurione).
La componente femminile dell’opera è quella che brilla maggiormente su tutti i fronti: Annalisa Stroppa, nelle vesti di Irene è la figlia dolce e dolente che si sacrifica per accompagnare in esilio il padre caduto in disgrazia. Il mezzosoprano possiede una innegabile padronanza vocale che le permette un canto estremamente vario nei colori e un’ottima espressività. La voce si presenta rotonda e morbida, di colore non particolarmente scuro, supportata da una buona tecnica. L’emissione risulta omogenea in tutta la gamma, dai pianissimi fino alla zona acuta più estrema. And last but not least, la Stroppa è anche di bell’aspetto (cosa che non avrebbe guastato in una produzione in forma scenica) e molto elegante nei suoi vestiti da concerto fucsia per la prima parte e nero per la seconda.
Veniamo ora all’antitesi del personaggio dolcissimo di Irene e cioé la consorte di Belisario, Antonina, causa della condanna e di conseguenza della morte dello stesso. Antonina è una donna ferita, addolorata per la morte del figlioletto neonato, quel dolore che si tramuta in furia e odio verso colui che ritiene, ingiustamente colpevole del misfatto. Quale madre non si batterebbe come una tigre per proteggere o vendicare i propri figli? Carmela Remigio si è calata perfettamente nel ruolo della moglie che accecata dall’odio grida vendetta nei confronti di Belisario. Il soprano pescarese, ormai di casa al Donizetti, si è cimentata diverse volte nei ruoli donizettiani più complessi. Di grande temperamento e grinta, in scena si trasforma aiutata anche da una pertinente mimica facciale (messa in risalto questa volta anche dai primi piani dello streaming) e da una gestualità significativa. Efficace l’uso di quella “r” arrotata e accentuata (caratteristica peculiare della sua dizione) che conferisce alla parola un peso ancora maggiore. Musicalmente è ineccepibile. Timbricamente la voce della Remigio non è particolarmente accattivante ma lei ne fa un uso da grande professionista, il controllo delle dinamiche è totale. L’emissione è omogenea su tutte le note del pentagramma. Le note acute sono sicure, sonore e sempre a fuoco. Stupefacente la brillantezza del la tenuto nel tempo di mezzo della cabaletta della sua aria finale. Il fraseggio è perfetto: ogni parola è pesata, accentuata, scandita perfettamente. Nemmeno una virgola è lasciata al caso. C’è fuoco in tutto quello che canta. Nel suo “Svenatemi!”...”Toglietemi la vita” c’è tutta l’intensità impetuosa della supplica nel chiedere perdono. Al contempo è in grado di cantare anche in pianissimo e sul fiato mantenendo l’espressività; ad esempio nella sua aria di apertura “Sin la tomba è a me negata!” in cui racconta il dolore per la perdita del figlio. Anche lei molto elegante nei suoi abiti verde scuro in foggia simil vestale nella prima parte e nero nella seconda.
Adeguata la prestazione di Anaïs Mejías come Eudora.
Alla guida di una brillante Orchestra del Donizetti Opera troviamo, ancora una volta, Riccardo Frizza specialista del belcanto. La sua direzione è decisamente pulita e lineare con dinamiche appropriate e mai lasciate al caso. La disposizione certo ci fa pensare che non fosse molto facile avere il controllo completo dei solisti a cui dava le spalle, eppure non ci sono stati scollamenti di sorta. Anche il Coro del Donizetti Opera, sempre ben preparato da Fabio Tartari e munito di mascherine, si è comportato bene. Finalmente, in questa produzione in forma concertante, ha avuto anche un po’ della visibilità meritata che nelle altre due produzioni del Festival non aveva ottenuto perché relegato in fondo al palcoscenico (per ovvie ragioni di distanziamento) e fuori portata delle telecamere.
Vorremmo ora parlare dell’accoglienza da parte del pubblico ma, come si sa, i ricorrenti e tristi silenzi finali sono testimonianza del bruttissimo periodo in cui stiamo vivendo. In questo caso siamo certi che per la serata in questione sarebbe stato un trionfo. Rimane la convinzione che la musica vince sempre e comunque e che dopo la tempesta tornerà il sereno e potremo godere di nuovo degli ori dei nostri Teatri.
La recensione si riferisce allo streaming del 21 novembre 2020
Susanna Toffaloni