Tancredi | Cecilia Molinari |
Amenaide | Valentina Farcas |
Argirio | Michele Angelini |
Orbazzano | Pietro Spagnoli |
Isaura | Alessia Nadin |
Roggiero | Nozomi Kato |
Direttore | José Miguel Pérez-Sierra |
Regia, scene e costumi | Pier Luigi Pizzi |
Maestro del Coro | Fabrizio Cassi |
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli di Bari | |
Allestimento del Rossini Opera Festival |
Del “Tancredi” di Rossini, e dello storico allestimento di Pier Luigi Pizzi che aveva debuttato nel 1982 al ROF, si è detto e scritto tanto in questi ultimi anni. Ma André Gide ci rammenta che se tutto (?) è già stato detto, in realtà qualcosa di nuovo si può sempre raccontare. Ad iniziare dalla considerazione che finora in Puglia il capolavoro del genio pesarese era stato rappresentato solo una volta, nel 1976, come inaugurazione della seconda edizione del Festival di Martina Franca. In quell’occasione fu eseguito nella versione integrale e con il consueto lieto fine scritto per la prima assoluta di Venezia del 6 febbraio 1813.
Ed ora, nell’anno in cui si celebra il 150° anniversario del genio pesarese, “Tancredi” è approdato al Petruzzelli, dove è andato in scena con grandissimo successo e applausi a scena aperta come quinto titolo dell’ottima stagione lirica 2018 curata dal sovrintendente Massimo Biscardi. Punto di forza è appunto l’allestimento che nel 1982 aveva inaugurato la lunga collaborazione di Pier Luigi Pizzi con il nascente Rossini Opera Festival a Pesaro.
Il regista era tornato altre due volte sul capolavoro di Rossini, nel 1991 e nel 1999, edizione quest’ultima scelta per il “debutto” al teatro barese che presenta il finale tragico con la morte di Tancredi. Finale che fu aggiunto a Ferrara il mese successivo la prima assoluta su suggerimento del conte Luigi Lechi, amante di Adelaide Malanotte che interpretò il ruolo del titolo alla prima veneziana e che in quelle stesse vesti si presentò nuovamente a Ferrara. Fu lo stesso conte a scrivere di proprio pugno il testo, ma l’accoglienza fredda del pubblico convinse Rossini a non proporlo più.
Interessantissimo, a questo proposito, il racconto di Philip Gosset, che ha curato l’edizione critica dell’opera, sui fatti che hanno riportato alla luce il manoscritto originale dopo 160 anni, grazie al ritrovamento da parte dei discendenti del conte dell’autografo rossiniano nella biblioteca di famiglia. E da lì partì la nuova vita del “Tancredi”, che “debuttò” in questa versione nel 1977 alla Houston Grand Opera con protagonista Marilyn Horne.
E nel 1982 furono presentati in successione i due finali, per poi scegliere di rappresentare quasi esclusivamente quello “tragico” in linea con la fonte originaria di Voltaire. Anche questa ripresa ha confermato la genialità del regista, con una sintonia incredibile tra musica e azione, che si svolge in una spoglia e metafisica Sicilia “greca” dai templi dorici e dai bassorilievi classici che sembra venir fuori, non a caso, da alcuni celebri dipinti di De Chirico.
Tanti i momenti suggestivi, anche grazie al perfetto e raffinato gioco di luci affidato a Massimo Gasparon: la barca, il cavallo di marmo, le figure nere in controluce e la gabbia che scende come prigione su un bellissimo sarcofago strigilato che richiamava la celebre tomba scolpita tra il 1405 ed il 1407 da Jacopo della Quercia per Ilaria del Carretto, giovane sposa del signore di Lucca Paolo Guinigi. Nella loro semplicità, d’effetto i contrasti cromatici dei costumi grigi, bianchi e neri ad eccezione della tunica rossa di Tancredi.
Interpretata dal giovane mezzosoprano Cecilia Molinari, in possesso di una voce non molto voluminosa soprattutto nelle note più gravi, ma di bel colore e di raffinato fraseggio in particolare sul versante elegiaco. Le sono però in parte mancate l’autorevolezza e la presenza scenica che pure la parte richiede, e sotto questo versante deve sicuramente migliorare.
Di grande livello la prova del tenore Michele Angelini nella parte di Argirio. Voce lirico leggera in possesso di un’ottima tecnica, si è imposto grazie ad un fraseggio sempre stilisticamente elegante e ricco di chiaroscuri, sfoggiando al contempo un registro acuto formidabile. Altrettanto valida la prova del bravissimo soprano romeno Valentina Farcas nel ruolo di Almenaide, affrontato con una straordinaria modulazione della voce sempre omogenea sia nei pianissimi che negli estremi acuti, e con una dolcezza interpretativa di prim’ordine.
Il più esperto del cast era sicuramente il baritono Pietro Spagnoli, che non a caso ha conferito al ruolo di Orbazzano un notevole peso scenico e musicale. Interpolando anche un’aria da “baule”, “Alle voci della gloria” (scritta dallo stesso Rossini sempre nel 1813 e che di solito si inserisce ne “La scala di seta”), eseguendola con accento nobile e toccante.
Di buon livello anche le performance delle due parti di fianco, ad iniziare dal mezzosoprano Alessia Nadin nel ruolo di Isaura, dove è emersa per l’interpretazione trepidante e fluida della bella aria “Tu che i miseri conforti”. Si è ben disimpegnata anche il mezzosoprano Nazomi Kato nella parte di Roggiero, eseguendo impeccabilmente l’aria “Torni alfin ridente, e bella”.
La sempre affidabile Orchestra del Teatro Petruzzelli è stata ben diretta da José Miguel Pérez-Sierra, che ha saputo dosare molto bene il suono ed il colore per rendere al meglio la magnifica partitura rossiniana, staccando forse qualche volta tempi eccessivamente veloci. Come sempre eccellente la prova del Coro della Fondazione Petruzzelli guidato da Fabrizio Cassi.
La recensione si riferisce alla serata del 19 ottobre 2018
Eraldo Martucci