Violetta Valéry | Angela Gheorghiu |
Alfredo Germont | José Cura |
Giorgio Germont | Ambrogio Maestri |
Flora Bervoix | Milena Josipovic |
Annina | Loredana Bigi |
Gastone di Letorières | Mauro Buffoli |
Il Barone Douphol | Piero Terranova |
Il Marchese D'obigny | Alessandro Calamai |
Il Dottor Grenvil | Enrico Iori |
Giuseppe | Enzo Peroni |
Un Domestico di Flora | Angelo Nardinocchi |
Un Commissionario | Angelo Nardinocchi |
Direttore | Donato Renzetti |
Regia | Paolo Panizza |
Maestro del Coro | Marco Faelli |
Direttore del Corpo di Ballo | Maria Grazia Garofoli |
Light Designer | Paolo Mazzon |
Coro e Orchestra |
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Dell'arena di Verona |
E’ vero, Traviata è opera intimistica, naturalmente versata per i classici velluti rossi dei teatri di tradizione, tuttavia l’edizione “semiscenica” (?) rappresentata ieri sera nei faraonici spazi areniani ha decisamente sfatato il luogo comune che la considera opera per definizione, non areniana.
La locandina riportava inizialmente Gala La Traviata, poi La Traviata Recital.
Questa insolita presentazione lasciava presupporre più ad una serie di performances scollate fra loro, da parte di alcune fra le più importanti stelle dell’odierno firmamento lirico, piuttosto che alla classica opera rappresentata con tutti i crismi.
In virtù di tali aspettative le scene ancorché stilizzate, interamente bianche con tendenze neoclassiche, mi sono apparse molto gradevoli e di buon gusto. Di ottimo effetto il contrasto cromatico fra il bianco delle scene e i colori vivaci di taglio tradizionale degli abiti dei coristi, con una netta prevalenza di rosso e azzurro su tutto il resto.
Fatte queste poche considerazioni rimane una perplessità: perché si è deciso di definire “semi-scenica” questa rappresentazione? Che significa? Credo che ognuno abbia dato la propria interpretazione a questa etichetta ma nessuno sia riuscito a comprenderne il reale significa che tuttora al sottoscritto rimane un mistero.
Il regista Paolo Panizza ha controllato bene, pur limitando al minimo riducendoli all’essenziale i movimenti dei tre interpreti principali. E’ una linea registica che approvo.
La Traviata è melodramma a forte contenuto psicologico e quando si hanno a disposizione dei validi interpreti, capaci di scavare a fondo nella partitura verdiana, diventa quasi tutto superfluo.
Ricercati e dettagliati contorni scenografici passerebbero inosservati al cospetto di una Violetta, vissuta e quanto mai vera come quella della Gheorghiu o ad un papà Germont bigotto, contorto, combattuto ed in certi momenti quasi subdolo come quello tratteggiato da Ambrogio Maestri.
Ci fosse stato qualcosa in più in scena, sarebbe apparso come un inutile orpello.
Le luci sono apparse più efficaci del solito, anche grazie all’utilizzo importante del classico “occhio di bue” ed hanno contribuito in certa misura a creare quelle atmosfere intime non comuni in Arena.
I costumi inquadravano chiaramente l’epoca; ho trovato i balletti su coreografie di Maria Grazia Garofoli, giustamente di contorno, senza grandi pretese ma con il gran pregio di non aver rotto la tensione.
Angela Gheorghiu è stata l’autentica trionfatrice della serata. Il soprano rumeno si è confermata la grandissima artista che tutti i teatri del mondo (Scala esclusa), conoscono; una delle più vere ed importanti personalità artistiche del nostro tempo.
La voce non è enorme ma talmente ben impostata da risultare sempre perfettamente a fuoco, tanto da riuscire senza problema a far giungere le sue eteree mezzevoci anche alle più lontane gradinate.
Il controllo perfetto del fiato gli ha consente di giocare sulle dinamiche a piacimento in modo quasi sfrontato oltre ad averle consentito di dominare perfettamente tutte le forcelle di un “Follie! Follie..” cantato da manuale, con la partecipazione emotiva che è propria solo ai grandi artisti.
Al termine, pur senza il mi-bemolle (di cui nessuno ha sentito la mancanza), il pubblico areniano è esploso con un entusiasmo che io non ricordavo da anni. Oltre l’aspetto puramente vocale, va detto che Angela Gheorghiu ha saputo davvero trasmettere tante emozioni, risultando a seconda delle situazioni: ora sfacciata o ancora, straripante d’amore, piuttosto che passionale ed infine stanca, sconsolata e sofferente.
Cantando “Amami Alfredo” persino il vibrato è sembrato venisse sostituito da un fremito vero, palpabile, rovente e credo di poter affermare che molti dei presenti avrebbero voluto trovarsi al posto del tenore.
Il Papà Germont di Ambrogio Maestri è risultato anch’esso di notevole livello. La voce è bella, di volume importante, ben controllata e a questo va aggiunto un importante punto a suo favore dato da una dizione ineccepibile. Inoltre, della dovizia di mezzi di cui dispone, fa un uso intelligente evitando di abusarne inutilmente. In questo caso ha saputo utilizzarla per conferire al suo canto quei nobili accenti che sempre dovrebbe possedere Giorgio Germont.
Questo giovane sta diventando appuntamento dopo appuntamento un grande riferimento per i ruoli da vero baritono verdiano. Al termine del secondo atto, il più impegnativo per Giorgio Germont, gli è stato tributato meritatamente un grande riconoscimento personale da parte del pubblico.
Dalla locandina appariva immediatamente un nome che, per il ruolo ricoperto, lasciava quantomeno perplessi: Josè Cura quale Alfredo Germont. Un ruolo che non gli si addisse nemmeno nella ormai famosa Traviata televisiva, dalla quale ci dividono tre anni. Anni in cui il tenore argentino si è dedicato esclusivamente al repertorio lirico-spinto/drammatico, quindi come pensare di poter tornare a rivestire i panni di Alfredo? Questo, insieme al significato di Traviata “semiscenica”, è il secondo dubbio irrisolto con il quale son tornato alla mia magione.
Josè Cura non può pensare di cantare Otello, Don Josè e Calaf per poi passare “candidamente” a cantare Alfredo con un canto accecato dall’ira, quasi fosse compare Turiddu in vacanza a Parigi.
Il suo canto è stato inesistente, in quanto sostituito da un declamato continuo, i centri gonfiati a dismisura lo hanno costretto ad acuti appena accennati, al limite dell’intonazione.
Forse hanno pensato di offrire a cura il ruolo di Alfredo perché era già in Arena per cantare altre opere e comunque il suo nome, soprattutto a fronte di una serata unica, assicurava una visibilità maggiore? Può darsi, tuttavia rimane il rammarico per non aver chiuso il cerchio con un Alfredo all’altezza della situazione, in quanto a quel punto si sarebbe davvero potuto parlare di serata storica.
Una particolare lode all’Annina di Loredana Bigi, davvero ben preparata.
Bravi e tutti all’altezza della situazione gli altri comprimari: il marchese di Alessandro Calamai, Douphol di Piero Terranova, Flora interpretata da Milena Josipovic e il dottor Grenvil Enrico Iori. Il coro ha offerta una discreta prova, tuttavia non ottima per via di alcune imprecisioni manifestate qua e la.
Donato Renzetti, che ha sostituito l’indisposto ed inizialmente previsto Daniel Oren, ha diretto con precisione, autorità, sicurezza, accompagnando ottimamente i cantanti, senza tralasciare di offrire alcune sfumature, di notevole effetto soprattutto nel preludio e nella scena finale.
Serata che i presenti ricorderanno a lungo quella del 31 luglio, in Arena.
descrizione foto partendo dall'alto:
1) Angela Gheorghiu - Traviata mentre scrive la lettera nel II° atto
2) Ambrogio Maestri - Giorgio Germont
3) José Cura - Alfredo Germont
4) Una foto d'assieme del II° atto
Danilo Boaretto