Riccardo | Marco Berti |
Amelia | Tatiana Serjan |
Renato | Stefano Antonucci |
Ulrica | Tichina Vaughn |
Oscar | Anna Skibinsky |
Silvano | Alessandro Battiato |
Samuel | Carlo di Cristoforo |
Tom | Danilo Serraiocco |
Un Giudice | Enzo Peroni |
Un Servo di Amelia | Alessandro Pucci |
Direttore | Donato Renzetti |
Regia | Giancarlo Cobelli |
Scene | Antonio Fiorentino |
Costumi | Alessandro Ciammarughi |
Luci | Mario De Vivo |
Movimenti Mimici | Pierluigi Pagano |
Orchestra Filarmonica Marchigiana |
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Coro Lirico "v. Bellini" |
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Maestro del Coro | Carlo Morganti |
Nuova Coproduzione |
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Con La |
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Fondazione Teatro Verdi di Trieste |
Cred’io ch’ei credette ch’io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi da gente che per noi si nascondesse. Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi qualche fraschetta d’una d’este piante, li pensier c’hai si faran tutti monchi». Allor porsi la mano un poco avante, e colsi un ramicel da un gran pruno; e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno? Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb’esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi». Diventa fondamentale citare i versi del canto decimo terzo della Divina Commedia per riuscire a descrivere chiaramente il colpo di genio avuto da Giancarlo Cobelli (forse un po’ fine a se stesso) per questa nuova produzione de “Un ballo in maschera” andata in scena al Teatro delle Muse di Ancona. Una sorta di mangrovia tropicale con tanto di liane, che richiamava moltissimo per la propria struttura lignea l’albero dei suicidi dantesco. Un groviglio costituito da un gruppo di mimi davvero molto bravi, che quasi in simbiosi andavano a formare il tronco e le fronde dell’albero, lasciando intravedere, in alcuni momenti più mimetizzate, in altri più marcatamente, le figure umane che la componevano. Gli stessi mimi, attraverso movimenti fluidi e sapienti, animavano la pianta che, a seconda del contesto scenico, assumeva significati diversi. L’alto livello coreografico raggiunto da questa interessante trovata registica ha sicuramente alle spalle tantissime ore di prove e di sacrificio da parte dei mimi protagonisti, i quali, va detto, sono costretti per lunghissimi minuti all’immobilità in posizioni davvero impossibili. Bravi! Da questo importante e positivo presupposto Cobelli ha sviluppato una visione dell’opera tendente a rimarcare quanto di peggio tutte le invasioni a scopo di conquista hanno saputo fare e portare in dote: stermini, dominazioni, repressioni, razzismo, fame e dittature. Nella fattispecie, per coerenza al libretto della versione censurata alla prima romana del 1859 e quindi ambientato a Boston, sono scorsi sulla scena i simboli delle oppressioni vissute in America , neri in catene, aztechi e pellirossa. In questo modo durante i primi due atti Cobelli, con originalità ed ottimo gusto artistico, è riuscito a trasmettere chiaramente la propria chiave di lettura al pubblico presente in sala. Le cose si sono decisamente complicate nel corso del terzo atto (il significato di alcuni particolare sfuggiva anche nei primi due atti)a causa di simbolismi a mio avviso poco oggettivi ed aperti a varie interpretazioni, tutto ciò ovviamente a scapito della chiarezza ed a testimonianza di un linguaggio utilizzato, certamente non universale. Giusto per citare alcuni punti d'ombra: la presenza di due bambini affiancati, assolutamente immobili e rivolti verso l'antro di Ulrica, oppure, l'anima di Amelia (rigorosamente nuda), i soldati in uniforme simil prussiana. Comunque una regia con alcuni spunti notevoli, complessivamente interessante e comunque in grado di stimolare le riflessioni del pubblico. Il cast portava un notevole valore aggiunto alla produzione, soprattutto grazie alla presenza del Riccardo interpretato da Marco Berti. Mi sembra giusto sottolineare come il Teatro delle Muse sia senza ombra di dubbio riuscito a scritturare il miglior Riccardo esistente oggi sulla piazza lirica mondiale. A voler cercare il pelo nell’uovo, posso dire che la recitazione di Berti, pur essendo sufficiente, ha certamente dei margini di miglioramento. Ma sono certo che costanza e impegno che hanno consentito a Marco Berti di raggiungere tale eccellente livello vocale, non mancheranno di portarlo ad ottenere una recitazione più fluida, spontanea, naturale. Sull’aspetto vocale di questo tenore si corre facilmente il rischio di cadere in eccessi che potrebbero apparire come lodi sperticate, del resto personalmente, nonostante l’assidua frequentazione teatrale, ancora non mi era capitato di vedere un tenore affrontare e superare una parte difficile e completa come quella di Riccardo, con una facilità quasi disarmante sfoderando un campionario che vanta: splendido legato, capacità di giocare coi colori, smorzature, mezzevoci, squillo e il necessario accento verdiano. Il suo “Si rivederti Amelia…” avrebbe meritato lo stesso riconoscimento di pubblico riservato ad alcuni Riccardo storici ed ascoltabili a testimonianza in diverse registrazioni live… vere e proprie ovazioni. Purtroppo il pubblico di questa prima serata si è mostrato a mio avviso decisamente troppo freddino. Mi auguro che gli appassionati d’opera anconetani sappiano riscattarsi nelle prossime recite. Tatiana Serjan, già Lady Macbeth durante la scorsa stagione torinese, era Amelia; ha mostrato buone capacità interpretative, bel colore vocale, una tecnica sicura che gli ha consentito di arrivare a termine senza dare l’impressione di correre rischi. Tuttavia, a mio avviso dovrebbe propendere maggiormente verso ruoli più lirici rispetto a questi. Stefano Antonucci pur non possedendo la profonda cavata che dovrebbe essere caratteristica di alcuni ruoli verdiani (fra cui quello di Renato), si è difeso onorevolmente nei difficili panni del segretario di Riccardo e sposo di Amelia. Ad Antonucci va riconosciuto anche questa volta una notevole disinvoltura e pertinenza scenica e sotto l’aspetto vocale, temperamento unito ad una buona sicurezza del registro acuto ed una sicura musicalità. Tichina Vaughn nei panni di Ulrica ha voce morbida, di bel colore e si è disimpegnata bene durante la sua breve ma intensa partecipazione del primo atto. Certo la presentazione di Ulrica che il Giudice razzista fa a Riccardo, diventa impressionante quando ad interpretare la maga è un’artista di colore come in questo caso. Molto brava è stata Anna Skibinsky nei panni di Oscar; panni che nel corso del terzo atto diventano succinti in quanto per scelta registica si ritrova a cantare in guepiere. E’ risultata vocalmente perfetta e scenicamente disinvolta in ogni situazione. Di buon livello anche Carlo Di Cristoforo e Danilo Serraiocco, rispettivamente Samuel e Tom, così come positiva è risultata l’apparizione di Alessandro Battiato come Silvano. Donato Renzetti ha diretto con sicurezza e con il pregio di non risultare soverchiante verso i cantanti. Forse qualcosa in più poteva essere fatto per evidenziare le varie alternanze di situazioni che si susseguono nel corso dell’opera. Bene si è comportato il coro, un po’ meno l’orchestra che ha mostrato il fianco soprattutto nella sessione degli ottoni. Sicuramente una bella produzione che merita di essere vista.
Danilo Boaretto