Ludwig Van Beethoven |
|
Missa Solemnis In Re Maggiore Per Soli, Coro, Orchestra Ed Organo Op. 123 (1818-1823) |
|
|
|
Alexandra Coku | Soprano |
Birgit Remmert | Contralto |
Tomislav Muzek | Tenore |
Franz-josef Selig | Basso |
|
|
Mdr Rundfunkchor |
|
Nederlands Philharmonisch Orkest |
|
|
|
Hartmut Haenchen, Direttore |
La ricchezza della programmazione musicale di Amsterdam ci ha permesso di ascoltare, nel giro di pochi mesi, a due diverse produzioni della Missa Solemnis di Beethoven, partitura somma e imprescindibile ma che raramente appare, per numerose concause, nelle programmazioni dei maggiori enti concertistici. Dopo l’esecuzione di Philippe Herreweghe, lo scorso novembre (leggi), alla testa dei complessi della Radio Olandese, è toccato di Hartmut Haenchen guidare la Nederlands Philharmonisch Orkest ed il MDR Rundfunkchor in quella che lo stesso Beethoven considerava la sua composzione più grande e riuscita. Partitura di complessità sconosciuta ai contemporanei, nella quale, come commenta Dallapiccola, Beethoven "ha il coraggio di contravvenire a ciò che ci si era accordati a considerare bello e brutto."
Una lettura tradizionale ma ricca di convinzione quella di Haenchen, poco interessata alla visionarietà di questa partitura (visionarietà che si manifesta nella smisuranza tanto cara a Dallapiccola: non solo una utopica scrittura vocale destinata al coro ma anche la parossistica saturazione sonora di alcuni passi del Gloria e del Credo) ma che ci è parsa saldamente ancorata nella tradizione esecutiva mitteleuropea di questa pagina, tradizione che discende per li rami da Klemperer, Böhm e Jochum.
Fedele a questa visione della partitura, Haenchen ha scelto di affidare le parti del Pleni sunt coeli e dell’Osanna al coro anziché ai solisti come previsto da Beethoven, sposando una consuetudine che oggi, nell’era della filologia, si vorebbe destinata all’estinzione. E ancora più curioso è notare come proprio Klemperer, massimo esponente di quella scuola a cui Haenchen si rifà, sia stato uno dei pochi ad eseguire, e ad incidere, la Missa nella versione originale...
Splendida la prova del superbo Coro della MDR, che si cimenta nella non comune prova di affrontare questa vera e propria parete di sesto grado per ben tre serate consecutive, riuscendo a mantenere una invidiabile freschezza vocale ed una perfetta omogeneità fra le diverse sezioni lungo tutta la gamma dinamica, dominando senza sforzo le sterminate fughe dell’In gloria Dei Patris e del Et vitam venturi saeculi.
Corretto l’apporto del quartetto dei solisti fra i quali si sono distinti il soprano Alexandra Coku per una certa qual difficoltà nel registro acuto ed il basso Franz-Josef Selig per la carismatica nobiltà di fraseggio nella parte introduttiva dell’Agnus Dei.
La Nederlands Philharmonisch Orkest ha alle spalle una lunga frequentazione con Haenchen (che dell’orchestra è stato direttore musicale) e questo si è sentito nella prontezza e nella flessibilità con cui l’orchestra ha risposto alle sollecitazioni del direttore.
Se il coro dei fiati e degli ottoni non è stato mondo da incidenti di percorso, il primo clarinetto Léon Bosch si è coperto di gloria nei numerosi assolo riservati al suo strumento ed assieme a lui i timpani di Nando Russo alle prese con una scrittura di stampo quasi solistico del Gloria e dell’ Agnus Dei.
Infine, non può certo mancare un menzione particolare al primo violino Vadim Tsibulevsky, impegnato nel celestiale e lunghissimo assolo che contrappunta il Benedictus, trasformato, grazie anche ad una scelta dei tempi singolarmente lenti, in un’oasi di luce divina.
Dal cuore possa tornare al cuore.
Edoardo Saccenti