Waitress | Magdalena Kožená |
Mother-in-Law | Sandrine Piau |
Father-in-Law | Tuomas Pursio |
Bride | Lilian Farahani |
Groom | Markus Nykänen |
Priest | Jukka Rasilainen |
Teacher | Lucy Shelton |
Student 1 (Marketa) | Vilma Jää |
Student 2 (Lilly) | Beate Mordal |
Student 3 | Julie Hega |
Student 4 | Simon Kluth |
Student 5 (Jerónimo) | Camilo Delgado Diaz |
Student 6 | Marina Dumont |
Direttore | Susanna Mälkki |
Regia | Simon Stone |
Scene | Chloe Lamford |
Costumi | Mel Page |
Coreografia | Arco Renz |
Maestro del Coro | Lodewijk van der Ree |
London Symphony Orchestra | |
Estonian Philharmonic Chamber Choir |
Kaija Saariaho, classe 1952, studia composizione a Helsinki, sua città natale, poi a Friburgo e Parigi, dove si stabilisce nel 1982. Nella prima parte della carriera si dedica soprattutto alla musica da camera, cimentandosi con lavori di maggiore complessità. La sua prima opera, L’Amour de loin, viene rappresentata nel 2000, alla quale seguono Adriana Mater (2005), l’oratorio La Passion de Simone (2006), Émilie(2010), Only the Sound Remains (2018). Dopo quest’ultima, ispirata dal teatro nô, la Saariaho sente il bisogno di misurarsi con qualcosa di molto diverso, più sfaccettato, una sfida che preveda la narrazione di diverse storie, accomunate da un evento tragico. Insieme alla scrittrice finno-estone Sofi Oksanen e ad Aleksi Barrière, figlio della compositrice, nasce così il libretto di Innocence, opera in cinque atti che scorrono senza soluzione di continuità. La prima assoluta è avvenuta il 3 luglio scorso. La recita di cui riferisco è la seconda.
Tutto parte dall’osservazione di come un qualunque fatto venga ricordato e interpretato, da coloro che l’hanno vissuto, in maniera diversa. Così ognuno dei tredici personaggi che agiscono nell’opera ha in tasca la propria verità più o meno simile ma talvolta assai discordante. Sono utilizzate nove lingue diverse (finlandese, inglese, francese, tedesco, ceco, rumeno, svedese, spagnolo, greco, secondo l’origine dei personaggi) e le parti sono scritte per cantanti lirici e per una cantante folk. Poi ci sono alcuni ruoli parlati che seguono ritmi musicali o liberi. La composizione ha richiesto otto anni, di cui tre per la scrittura musicale. L’opera era programmata per il Festival 2020, annullato a causa della pandemia, ma tuttavia le sessioni delle prove musicali e sceniche, al pianoforte, hanno comunque avuto luogo cosicché una parte significativa del lavoro era già stato messo a punto.
Siamo a un banchetto di nozze e su tutti i partecipanti (ad eccezione della sposa, del tutto ignara) pesa un evento luttuoso avvenuto dieci anni prima: una strage che si è consumata in un liceo internazionale che aveva visto tra le vittime studenti, un’insegnante e il patrigno di una studentessa. Il colpevole, reo confesso è uno degli studenti, fratello maggiore dello sposo, bandito dalla famiglia. I fatti luttuosi ricominciano ad affiorare a causa di una circostanza fortuita: una cameriera assunta per il ricevimento si è ammalata e in sostituzione è stata ingaggiata una signora di origine ceca, la cui figlia era stata una delle vittime. Tereza, questo il suo nome, da allora non si è più ripresa e continua a comportarsi come se la figlia fosse ancora viva. Quando Tereza scopre il nome dello sposo il passato si ripresenterà in tutta la sua crudezza e la figlia (Markéta) inizierà a manifestarsi con frequenza. La donna comincerà allora a fare allusioni a Stela, la sposa, la quale non capisce cosa intenda; ma il suocero riconosce l’inserviente e avvisa il figlio e la moglie. Questa racconta a Tereza che Markéta non era come sembrava, ma, insieme ad altri studenti, faceva oggetto suo figlio di umiliazioni continue, cosa che aveva portato il ragazzo all’esasperazione. Gli studenti superstiti rivivono i drammatici momenti di quel giorno e ognuno di essi manifesta le conseguenze del lutto. Una ragazza francese narra del rapporto morboso che la legava all’assassino, un rapporto che aveva alla base impulsi omicidi, da parte sua rivolti soprattutto verso il patrigno che la molestava. Erano in tre ma lei all’ultimo momento si è tirata indietro. Tuomas, lo sposo, non regge alla tensione e al senso di colpa. Rivela dunque di essere stato il terzo complice. Lui poteva impedire il massacro, ma amava troppo il fratello, che vedeva come un eroe, e aveva mantenuto il giuramento di non rivelare il segreto. Mentre gli studenti sopravvissuti parlano dei progetti futuri e delle sensazioni che piano piano vanno sbiadendo, Marketa dice alla madre: “Domani alle sei tu andrai ancora al conservatorio ad aspettarmi, ma non comprare più le mie mele preferite e l’anno prossimo non comprarmi più regali di compleanno. Mamma, lasciami partire”.
La partitura prevede, oltre ai tredici solisti, ottanta orchestrali e un coro misto. La scrittura orchestrale è di un’estrema raffinatezza, con infiniti colori strumentali e le voci sono trattate con estrema sapienza. Il tutto unito a un passo teatrale di una tensione quasi insostenibile, che ti fa stare inchiodato alla poltrona senza permetterti un attimo di distrazione. E Susanna Mällki tira le fila con impressionante coerenza, un perfetto equilibrio e un senso della narrazione in linea con lo straordinario fluire della partitura. Per non parlare del caleidoscopico gioco di colori sprigionato dalla splendida London Symphony Orchestra e dal bel contributo dato dall’Estonian Philharmonic Chamber Choir diretto da Lodewijk van der Ree.
Dopo il discutibile Tristan und Isolde della sera prima, Simon Stone si riscatta con uno spettacolo di alto profilo che si avvale della monumentale scenografia realistica di Chloe Lamford, su due piani, che prevede il salone del banchetto, cucina, ripostigli, esterno della scuola; e sopra ristorante, aula, bagno e altre sale. Tramite palcoscenico girevole si passa da un ambiente all’altro con sequenze quasi cinematografiche. La recitazione è curatissima e si vede che il lungo periodo di prove, fin dallo scorso anno, non è passato invano. I costumi di Mel Page, le luci di James Farncombe e i movimenti coreografici di Arco Renz completano il quadro dando vita ad una realizzazione che non può lasciare indifferenti e difficile da dimenticare.
Anche la compagnia è di prim’ordine. Cito per prima Vilma Jää, cantante, musicista e compositrice folk, assolutamente straordinaria come Markéta e probabilmente la più acclamata.
Ma tutto il cast ha ricevuto un’accoglienza trionfale. Magdalena Kožená è una dolente Tereza, divisa tra desiderio di vendetta e amore per la figlia che in qualche modo cerca di far continuare a vivere.
Sandrine Piau, in un ruolo scritto su tessitura piuttosto acuta, raffigura una madre fragile e accorata la cui finalità è rivolta verso la difesa della famiglia e soprattutto dei figli, per i quali nutre un amore che va oltre le colpe di cui si possono essere macchiati, mentre il basso-baritono Tuomas Pursio esprime il desiderio di rispettabilità e la disperata ricerca di “normalizzazione” del padre.
La coppia di sposi è interpretata da Markus Nikänen, tenore dalla voce chiara combattuto tra amore e rimorsi, e Lilian Farahani, soprano dalla fresca voce, che ben restituisce la giovinezza e il candore di Stela, con sprazzi di fioriture belcantiste che l’artista affronta con squisita souplesse.
Jukka Rasilainen (Il prete), in un ruolo di tessitura forse troppo grave per lui, e Lucy Shelton (L’insegnante) rendono bene il rimpianto per non aver saputo cogliere fino in fondo i sintomi del disagio che ha portato al dramma.
Completano la distribuzione un manipolo di ottimi attori che interpretano gli studenti superstiti e si avvalgono di un’amplificazione non invasiva e ben amalgamata col resto: Beate Mordal (Lilly, la complice pentita), Julie Hega, Simon Kluth, Camilo Delgado Díaz (Jeronimo), Marina Dumont.
Al termine anche Kaija Saariaho veniva a riscuotere il giusto tributo alla sua arte con vere e proprie ovazioni.
La recensione si riferisce alla recita del 6 luglio 2021.
Silvano Capecchi