Baritono | Ludovic Tézier |
Direttore | Frédéric Chaslin |
La forza del destino | Morir, tremenda cosa...Urna fatale del mio destino |
Don Carlos | C'est moi, Carlos...C'est mon jour supreme...Carlos, écoute! |
Ernani | E' questo il loco...Oh dè verd'anni miei |
Ernani | Vieni meco, sol di rose |
Falstaff | E' sogno, o realtà? |
Il trovatore | Tutto è deserto...Il balen del suo sorriso |
La traviata | Di provenza il mar, il suol |
Macbeth | Perfidi...Pietà, rispetto, amore |
Nabucco | Dio di Giuda |
Otello | Vanne... Credo in un dio crudel |
Rigoletto | Cortigiani, vil razza dannata |
Un ballo in maschera | Alla vita che t'arride |
Un ballo in maschera | Alzati... Eri tu |
Don Carlo | Son io, mio Carlo...Per me giunto è il dì supremo...O Carlo, ascolta! |
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna |
Proposto dalla Sony Classical in un cofanetto corredato dal book con foto artistiche e presentazione di Bjørn Woll (ancora una volta, tradotta solo in inglese, francese e tedesco. Dato che di Verdi si parla, viene naturale ripetere: “prima gli Italiani!”), l’atteso album di Ludovic Tézier - con l’ottimo Frédéric Chaslin a dirigere l’orchestra del Teatro comunale di Bologna - dedicato alle principali arie del Genio di Busseto rappresenta forse il più interessante tra i prodotti discografici degli ultimi anni. Perché consente di riscoprire l’entusiasmo procurato dall’ascolto di una vera “voce verdiana” per colore, nobiltà di accenti, solidità e capacità di “scavare” tra le pieghe del personaggio; e perché, nel panorama attuale, quanto a doti naturali e preparazione tecnica pochi cantanti possono davvero competere con il baritono francese.
Nobiltà, si diceva: forgiato dalla assidua frequentazione del repertorio belcantistico (difficile dimenticare il suo Enrico Ashton o il suo Sir Riccardo ne I puritani), Tézier ammanta ogni parola di vellutata aulicità, per conferire ai suoi personaggi quell’aura di regale enfasi che Verdi richiede al suo modello di baritono. Indicative, in questo senso sono le esecuzioni delle arie di Ernani (le parole “tre volte il bronzo ignivoro dalla gran torre suoni” grondano l’ambizione che precede la riflessione intimistica di “Oh dè verd’anni miei”, destinata a deflagrare nel crescendo “E vincitor dè secoli il nome mio farò”, con la voce del cantante che si eleva sicura sull’onda di suono dell’orchestra), di Traviata (il suo “Di provenza” è sempre in equilibrio tra autorevolezza e paterno calore) e di Falstaff (un Ford vigoroso e geloso, senza perdere quell’eleganza richiesta a un personaggio talvolta erroneamente degradato a grottesco). Ancor più indicativa è l’ideale del “cavaliere nero” che traspare da “Il balen del suo sorriso”, finalmente cantato a filo di labbra e con adeguato sfoggio di toni sognanti, e non risolto con la ruvida brutalità di un Michele de Il tabarro in occasionale crociera sull'Ebro.
Colore brunito, volume e acuti solidi: il “Credo” è la folgore di furia controllata di uno Iago ancora una volta fedele al modello tratteggiato da Verdi: insinuante e non violento, falso prete e non cattivo trucibaldo da Cavalleria rusticana; il sapiente uso del legato in "Urna fatale" ("disperso vada il mal pensiero - che all'atto indegno mi concitò") e gli attacchi di “Dio di Giuda” e “Alla vita che t’arride” valgono da soli il prezzo dell’album. Capacità di scavare tra le pieghe del personaggio: ecco un Macbeth spezzato dal rimorso e oppresso dal gelido grigiore di un trono senza amore e senza onore (“sol la bestemmia, ahi lasso, la nenia tua sarà” è una piccola lezione di canto); ecco un Rigoletto che, se non riesce ad abbandonarsi totalmente alla furia, strappa commozione autentica per la sua capacità di calarsi totalmente nella dimensione straziata del padre costretto a implorare i cortigiani per la salvezza della figlia; ecco un Renato capace, nella passaggio di “Eri tu” nel quale la furia per il tradimento lascia spazio al dolore del ricordo, di raccogliere i cocci del suo amore perduto nelle monumentali arcate su cui costruisce i pasaggi “D’un amplesso che l’essere indìa” e “Sul mio seno brillava d’amor”.
Infine, ci sono le frasi lunghissime, i fiati interminabili (“Ch’io potei così serbar/alla Spagna un salvatore”) e l’elegantissimo fraseggio incastonati tanto nella versione italiana quanto in quella francese della gran scena della morte di Posa, eletto ormai da Tézier a personaggio iconico del suo repertorio: il personaggio iconico di un autentico interprete verdiano; il personaggio iconico di un baritono che ha davvero pochi eguali nel panorama attuale.
Carlo Dore jr.