Iris | Karine Babajanyan |
Osaka | Samuele Simoncini |
Kyoto | Ernesto Petti |
Il cieco | David Oštrek |
Una geisha | Nina Clausen |
Un cenciaiuolo | Andrès Moreno García |
Direttore d’orchestra | Felix Krieger |
Maestro del coro | Steffen Schubert |
Orchestra e coro del Berliner Operngruppe | |
2 Cd Oehms Classics |
Messa in ombra dal successo di Cavalleria rusticana e Madama Butterfly che per motivi diversi l'hanno travolta, la povera Iris di Pietro Mascagni non ha avuto vita facile. Sporadiche le presenze nei cartelloni e scarna la discografia, fa piacere che ne sia stata pubblicata una nuova edizione, a cura della Oehms Classics (cofanetto con due Cd), registrata il 18 febbraio 2020, quando l'opera fu rappresentata nella Konzerthaus della capitale tedesca dal Berliner Operngruppe che celebrava il suo decennale.
Chi segue Operaclick ricorderà che l'ensemble tedesco, fondato nel 2010 da Felix Krieger, tuttora a suo capo come direttore d'orchestra, si dedica, con cadenza annuale, alla riscoperta di un titolo poco frequentato del repertorio italiano. Da noi furono recensite "in presenza" (come si dice adesso) le verdiane Stiffelio e Giovanna d'arco.
Anche stavolta il Berliner Operngruppe si è confermato interprete attento del nostro melodramma. In Germania Iris è una rarità, con poche rappresentazioni dopo la prima del 1899 a Francoforte, e in questa nuova occasione le è stato restituito l'onore che le spetta, confermato nel libretto di accompagnamento al cofanetto (in tedesco e inglese) dove il compositore viene definito "il creatore della prima opera nippo-italiana". Puntualizzazione necessaria per un lavoro ancora indefinibile, pieno di simboli, decadente e immerso nello stile floreale dell'epoca in cui fu scritto.
È evidente che Felix Krieger crede molto in questa partitura, e da un'Orchestra del Berliner Operngruppe in ottima forma ricava suono trasparente e preciso con una lettura compatta, asciutta, poco 'melodrammatica', se ci si passa il termine forse inadeguato ma che con ricchezza di colori ed espressiva, mette in evidenza sia i valori orchestrali che quelli teatrali. Un'intepretazione interessante che non ci nasconde, fino dall'inizio, la tragedia finale: in una vicenda in cui i presagi della tragedia non mancano, si avverte da subito un velo che oscura anche i momenti apparentemente bozzettistici del primo atto.
Il suono cupo dei contrabbassi apre l'opera, e la progressione verso la luce del giorno si apre in un Inno del sole che ha lo splendore della luce ma nessuna magniloquenza.
Il secondo atto è un crescendo inarrestabile dalla mollezza sensuale dello Yoshiwara verso il finale con sonorità sempre più concitate, e il terzo si apre con toni scarnificati, sospesi, e un'aura onirica che rende la scena dei tre egoismi lo specchio di una psiche in delirio.
Voce tornita e luminosa, Karine Babajanyan è una protagonista toccante. Mai bamboleggiante, accenta Ho fatto un triste sogno come se già intuisse il suo destino, e rende al monologo che apre il secondo atto le dimensioni di una grande scena drammatica. Se l'interprete dà personalità all'eroina, la cantante è più a suo agio nei medio-bassi rispetto agli acuti dove un vibrato più largo tradisce a volte lo sforzo, per cui i toni più accorati le si addicono più dell'ingenuità congenita dell'inizio. Un'ansia pressante nell'espressione ma precisa nell'esecuzione domina Un dì (ero piccina), la famosa aria della piovra, mentre all'epilogo, con grande concentrazione, esprime lo smarrimento che trasmigra nell'estasi quasi mistica del finale.
Con voce stentorea Samuele Simoncini è un Osaka che riempie l'ideale palcoscenico della sala d'ascolto. Un canto generoso, estroverso che sostiene Apri la tua finestra, ma il tono sempre spiegato compromette la varietà degli accenti e penalizza frasi che dovrebbero essere seducenti come Io sono il piacere o È questo il bacio, mentre esprime bene l’agitata sovreccitazione di Datemi il passo, nel finale secondo.
Kyoto è un personaggio così sordido che c'è ben poco da fare per umanizzarlo, ma Ernesto Petti non per questo lo interpreta a senso unico. Ne differenzia bene l'atteggiamento, con freddezza mercantile quando asseconda Osaka, mellifluo o minaccioso con Iris e le geishe, o addirittura esuberante nella scena della recitazione come Danjuro "il padre dei fantocci".
Con bel timbro caldo e morbidezza vocale David Oštrek non indulge in patetismi, e con accenti asciutti dona al Cieco un carattere a suo modo severo e granitico.
Molto brava Nina Clausen nei doppi panni della Geisha-Dhia, e precisa nei melismi dell’Akomitasami del secondo atto.
Andrès Moreno García come Cenciaiuolo si inserisce con precisione nell’atmosfera notturna ed evanescente che apre il terzo atto.
Il Coro del Berliner Operngruppe diretto da Steffen Schubert dimostra compattezza nell’Inno del sole (significativamente con maggior calore espressivo nella ripresa finale) e altrettanta puntualità nelle mezze voci delle musmè o nella foga che domina lo Yoshiwara.
La registrazione è disponibile oltre che su Cd anche sulle solite piattaforme di musica liquida.
Bruno Tredicine