Com'è ormai ben noto, quest’anno ricorrono i 250 anni dalla nascita di Ludwig van Beethoven e quando le proposte sono fatte, come sta avvenendo a Trieste, con criterio e coerenza, gli anniversari possono costituire grandi opportunità di approfondimento, specie quando si tratta di personaggi complessi come questo genio immortale.
Preceduto poco più di un mese fa dalla splendida “lezione-concerto” sul giovane Beethoven, presentata da Sandro Cappelletto e Marco Scolastra il 7 settembre scorso, il penultimo concerto del XIX Festival Pianistico “Giovani interpreti e grandi Maestri” organizzato dall’Associazione Chamber Music Trieste si inserisce in tale contesto, e non è assolutamente banale avere l’occasione di apprezzare, come in questo caso, la densa e concentrata interpretazione di Gabriele Carcano di tre pagine tra le più belle del periodo giovanile, coronate alla fine dall’ascolto della celeberrima Sonata per pianoforte n.8 in do minore “Patetica”.
Otto anni, dal 1793 al 1801, separano la composizione della prima, la Sonata per pianoforte n.1 in fa minore op.2 n.1 dall’ultima della serie, la Sonata n.13 in mi bemolle maggiore, op.27 n.1 “Quasi una fantasia” dopo essere passati per la Sonata n.7 in re maggiore op.10 n.3 e in tale periodo furono una cinquantina le opere da lui scritte e inserite in catalogo.
È ormai fortunatamente superata da tempo l’immagine monolitica di un uomo perennemente ombroso, e ciò crea le condizioni ideali per cogliere appieno la versatilità creatrice dell’epoca giovanile, poiché in essa è forse percepibile in modo più scoperto il percorso di scrittura, realizzato edificando qualcosa di nuovo e mai esperito a partire da quel che già di grande c’era nel mondo musicale a lui contemporaneo, o immediatamente precedente.
La personalità artistica di un innovatore capace dar un senso nuovo alla forma sonata che poi supererà è già tutta qui, in qualcosa che fin dalle prime prove (e non si vuole qui considerare la ponderosa produzione non inserita nel catalogo) ha l’aspetto di una costruzione in costante movimento, dalle forme particolarmente articolate a partire da basi apparentemente semplici e lineari.
Ma non ci si trova soltanto alla presenza di un cammino speculativo basato sulla ricerca dell’equilibrio fra opposti, entrambi degni.
C’è tanta freschezza e i toni sono anche molto lievi, ben evidenziate dalla lettura attenta di Gabriele Carcano; c’è il divertimento che dialoga con la gravità, la rapidità scatenata con la ponderazione, l’allegria sviluppata con criterio. E si sorride, sempre riflettendo.
A tratti sembra di trovarsi di fronte a una conversazione vera e propria in cui è la musica la lingua scelta per esprimere un pensiero sorprendente, particolarmente significativo e ben strutturato e tra i tanti momenti degni di nota, è spiccata la meraviglia assoluta del Largo e mesto, secondo movimento della Sonata n.7, sconsolato a tratti, quasi evanescente e meditativo, leggerissimo e teso, impreziosita da pianissimi di gran pregio.
Ed è stato magnifico, come si è detto, godere alla fine della serata di una notevole esecuzione della “Patetica”, degnissima chiusura; grazie a quanto ascoltato fino a quel momento è divenuto ormai chiaro e naturale cogliere con piacere il susseguirsi di interrogativi e riflessioni, risposte e affermazioni.
Particolarmente graditi dal pubblico sono stati anche i due bis: una luminosa sonata di Scarlatti e un breve e sognante momento schumanniano.
La recensione si riferisce al concerto del 12 ottobre 2020.
Gabriele Carcano - pianoforte |
Ludwig van Beethoven |
Sonata n.1 in fa minore op.2 n.1 |
Sonata n.7 in re maggiore op.10 n.3 |
Sonata n.13 in mi bemolle maggiore op.27 n.1 - "Sonata quasi una fantasia" |
Sonata n.8 in do minore op.13 - "Grande Sonata Patetica" |
Paola Pini