Non è facile, in generale, parlare di un’opera complessa e gigantesca nelle proporzioni e nella profondità di pensiero come la Terza Sinfonia in re minore di Gustav Mahler, rappresentata con grande successo lo scorso 14 ottobre al Teatro alla Scala sotto la bacchetta di Zubin Mehta, alla guida dell’Orchestra del Teatro alla Scala.
E’ ancor meno facile parlarne nell’attuale momento storico, in cui la recrudescenza del virus sembra mettere nuovamente in pericolo la sopravvivenza dei Teatri italiani e di chi vi lavora con passione e professionalità. Ad ulteriore motivo di sconforto, giunge la notizia del rinvio da parte del Teatro della conferenza stampa del 16 ottobre, nella quale si sarebbe dovuta presentare la prima parte della stagione. Trincerato dietro formule invitabilmente circostanziate come “l’evolversi della situazione” e gli sviluppi del “quadro normativo”, è arrivato invece il comunicato stampa che conferma gli spettacoli solo fino 19 ottobre. Per il momento, l’orizzonte musicale del Teatro più famoso al mondo deve ritenersi sospeso a quella data.
Però, come si suol dire, the show must go on (finchè almeno esiste uno show di cui parlare). E’ di conforto, per contro, parlare di una musica che si rivolge all’umanità in modo così completo e fiducioso e del modo in cui direttore e musicisti hanno affrontato, duramente lavorato, e restituito al grato uditorio questa immensa partitura.
Per un appassionato musicofilo l’ascolto della Terza Sinfonia, terminata da Mahler nel 1896, dopo ben quattro anni di gestazione, potrebbe significare ben più che l’acquisizione di un altro capolavoro al proprio bagaglio di conoscenze. Più probabile invece che, dissoltosi l’ultimo accordo, l’ascoltatore cambi radicalmente la propria consapevolezza di quanto la musica può mettersi al servizio dell’uomo e raccontarne la complessa natura e i molteplici rapporti con il Creato.
Con la Terza Sinfonia Mahler intese, infatti, realizzare in musica un ambizioso programma, espresso alla prima esecuzione (e poi ritirato, ma sempre presente nella sua mente), che prevedeva per ognuno dei sei movimenti diverse didascalie, dall’irruzione del dio Pan, alla natura inanimata vegetale, gli animali, l'uomo, e via via fino agli angeli e all'amore di Dio.
Similmente a un novello Cartesio (il famoso filosofo, com’è noto, voleva estendere il proprio metodo fino ad abbracciare l’intero scibile umano), Mahler non intendeva raccontare una storia, o soffermarsi su un aspetto dell’animo umano, o indugiare su un preciso risvolto storico, bensì racchiudere nel proprio universo sonoro un intero mondo, naturale e soprannaturale.
Scrive Schönberg a Mahler nel 1904, dopo l’ascolto della Terza: “ho avuto la sensazione di assistere a un fenomeno della natura, con il suo orrore e i suoi flagelli e col suo arcobaleno che trasfigura e pacifica. […] ho sentito un uomo, un dramma, verità, verità assoluta senza reticenze”.
Lo spessore morale di questa Terza Sinfonia è infatti tale per cui si può ritenere, senza tema di cadere in esagerazioni, che un concerto in cui venga eseguita questa composizione non sia più solo un concerto, ma un vero e proprio evento.
Con altrettanta sicurezza si può affermare che Zubin Mehta, grande interprete di Mahler, ami profondamente questa sinfonia. Nel breve video di presentazione pubblicato su YouTube, a cura dell’area Social Media del Teatro, Mehta parla con autentico trasporto e quasi con orgoglio filiale di ciascun movimento, non limitandosi a descriverlo nei suoi caratteri essenziali. Durante il concerto è stata palpabile la sua gioia di misurarsi ancora con queste memorabili pagine.
Occorre una volta tanto anche anticipare impressioni e giudizi personali sulla compagine orchestrale, al di là di ogni valutazione circa l’esecuzione. Ci troviamo, se ancora ci sia bisogno di sottolinearlo, di fronte ad una felice accolita di virtuosi, probabilmente in grado di dirigersi da soli se necessario, aderenti comunque con entusiasmo al carisma di un grande direttore. Questi professionisti hanno suonato con foga, brillantezza, il - famoso "grande spolvero" -, con in più qualcosa di liberatorio, non estraneo forse al momento che tutti stiamo vivendo. Non c’è stato un solo momento di cedimento della tensione esecutiva, ma un unico ampio arco di elevatissima performance.
La sinfonia consta, come si accennava, di sei movimenti, ed è divisa (caso forse più unico che raro nella musica sinfonica occidentale), in due parti nettamente distinte.
La prima parte è interamente occupata dal gigantesco primo movimento. Nelle didascalie, poi espunte come già rammentato, si leggeva Einleitung: Pan erwacht (Introduzione: Pan si desta) e Der Sommer marschiert ein. Bacchuszug (L'estate irrompe marciando. Corteo di Bacco).
Com’è noto le dimensioni di questa pagina sono ipertrofiche, trattandosi con ogni probabilità del primo movimento di sinfonia più lungo in assoluto. In esso l’irruzione del dio Pan genera una sorta di caos primordiale: la frammentazione motivica è tale per cui è difficile tenere le fila del discorso, sullo sfondo di una forma-sonata appena riconoscibile. Eppure Mehta riesce abilmente ad individuare nella inesorabilità del ritmo di marcia il collante necessario, il filo invisibile che tiene insieme la partitura (filo che diventa a volte talmente esile da ridursi alla sola flebile percussione nel silenzio). Mehta dimostra di aver capito a fondo che questa marcia,“più che riattaccare si fa gradualmente percettibile, quasi fosse sempre stata presente in modo sotterraneo” (T. W. Adorno).
La seconda parte della sinfonia si apre con il celebre Tempo di Menuetto (Was mir die Blumen auf der Wiese erzählen, Che cosa mi narrano i fiori sul prato, nella originaria didascalia), che in passato veniva eseguito spesso da solo, con disappunto di Mahler. Mehta attacca con un tempo giusto, solo evocativo del movimento di danza, ma senza neanche perderlo del tutto. L’oboe scandisce la melodia affettuosamente, senza rigidità, mentre l’entrata degli archi è tra le più belle che abbia mai ascoltato, morbida e commovente: è il “brivido gigantesco”, di cui parlava Adorno, ottenuto senza il tutti orchestrale. Il secondo episodio, a differenza di molte altre esecuzioni, appare meno mosso e brillante, frutto probabilmente di una interpretazione quasi letterale della dicitura “L’istesso tempo”. Tutto il movimento è condotto evitando accuratamente di sottolinarne i contrasti, in modo da esaltare il carattere arcaico di questa musica, sulla quale Mehta stende una sorta di velo timbrico: il Menuetto ci viene restituito attuale e lontano, allo stesso tempo.
Terzo tempo. La didascalia recava l’indicazione Was mir die Tiere im Walde erzählen (Che cosa mi narrano gli animali nella foresta). Con Mehta anche qui i tempi sono leggermente più dilatati, il che accentua il carattere fiabesco e le singole entrate dei vari animali rappresentati. Questo approccio, al mio orecchio, consente anche di smorzare alcune inquietudini da cui sembra pur pervasa la pagina: sempre parafrasando Adorno, la natura ci appare, in questa interpretazione, più consolatoria che sconsolata. Bellissima la parentesi celestiale, l’atmosfera sospesa che si crea all’entrata della cornetta del postiglione, situata nel foyer: è uno dei momenti più emozionanti dell’intera sinfonia. Nei due episodi in cui si presenta questa melodia scarna, semplice al limite del banale (ma che rimanda ad altri luoghi della letteratura musicale), l’accompagnamento è il vero capolavoro, magistralmente curato da Mehta: il formicolio dei violini, e il wie nachhorchend!, l’invito esplicito di Mahler all’orchestra di “restare in ascolto”.
Il quarto tempo (Was mirder Mensch erzählt, Che cosa mi narra l'uomo) si caratterizza per l’atmosfera grave, statica e profondamente meditativa, che con Mehta trova una compiuta realizzazione. Il contralto Daniela Sindram, è apparsa invece leggermente sottotono, con un timbro non sempre in grado di far emergere il testo nietzschiano al di là della suggestiva coltre nebbiosa creata dall’orchestra.
Senza pause, segue il quinto tempo (la didascalia recava Was mir die Engel erzählen, Che cosa mi narrano gli angeli) è un festoso pezzo simile ad una filastrocca natalizia, punteggiata dallo scampanante Bimm - Bamm del preparatissimo coro di voci bianche, e dalle strofe intonate dal coro femminile. È una pagina non priva di inquietudini nella sezione centrale del movimento, nella quale la parte affidata alla solista ha visto una Sindram apparsa decisamente più a suo agio.
L’ultimo movimento (Was mir die Liebe erzählt Che cosa mi narra l'amore) contiene una delle melodie più belle mai scritte, nella quale si stemperano tutti i contrasti precedenti. L’opera giunge fino al suo ultimo movimento dopo una serie di emozioni altalenanti, e questo Adagio, in cui la lunghissima melodia iniziale è affidata ai soli archi, agisce come un balsamo per la sfera emotiva dell’ascoltatore. Ma al contempo il discorso musicale non è privo di tensioni interne, risolte nel trionfale finale. Per Zubin Mehta si tratta di una musica che “spacca il cuore”. La sua interpretazione rinuncia a facili tentazioni di sensualità, ma riesce a distendere la melodia con misura, senza lacrime. Il raggiunto equilibrio, prima dell’apoteosi finale, è la sostanza a cui mira l’idea del grande direttore indiano.
Al termine, dopo l’indispensabile silenzio che segue alle grandi esecuzioni, il pubblico è esploso, riconoscente, con rumorosi “bravi” e battimani come tuoni. Ovazioni anche per tutti i solisti, in particolare trombone, oboe e clarinetto, la cornetta del postiglione e il maestro del coro, Bruno Casoni. Menzione speciale per l’eccezionale primo violino, Francesco Manara, a cui Mehta aveva tributato un plateale cenno di ringraziamento già alla fine del terzo movimento.
Viene voglia, in conclusione, di volgere in domanda la didascalia dell’ultimo movimento: cosa ci narra l’amore, e, segnatamente, l’amore per la musica, dopo tanta bellezza? Non ho una risposta precisa, naturalmente, ma penso che la si possa trovare nelle parole di Zubin Mehta: “con questa orchestra, anche quando ho letto per la prima volta, ho visto alcuni musicisti con le lacrime”. Questa mi sembra l’ultima e più definitiva risposta.
La recensione si riferisce al concerto del 14 ottobre 2020
Contralto | Daniela Sindram |
Direttore | Zubin Metha |
Maestro del Coro | Bruno Casoni |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala | |
Coro di Voci bianche dell'Accademia del Teatro alla Scala |
Lorenzo Cannistrà