VERONA - Dopo l’esordio positivo di Oberto conte di S.Bonifacio, rappresentato per la prima volta alla Scala nel 1839, iniziò per Giuseppe Verdi il periodo più doloroso e sfortunato della sua esistenza. Nel giro di pochi mesi rimase vedovo della moglie Margherita e orfano dei suoi due figli, inoltre nel settembre dello stesso anno, il 1840, l’ultima sua produzione Un giorno di regno venne bocciata irrimediabilmente al debutto scaligero ed al fiasco della prima rappresentazione non fece seguito nessuna replica. Ogni volta che rifletto sul dolore che il destino riservò a Verdi durante quel maledetto 1840, personalmente rimango sempre sconvolto. Perdere due figli e poi la moglie. Forse solo chi è innamorato e possiede dei figli può riuscire a comprendere del tutto cosa una sciagura di queste proporzioni possa significare per un essere umano, per un uomo, per un marito, ma soprattutto per un genitore. Fatta questa triste considerazione si torni a pensare a quello che, dopo un paio d’anni di tormenti, Giuseppe Verdi, nel 1942 riuscì a realizzare: Nabucodonosor ! L’enorme dolore che Giuseppe Verdi aveva accumulato trovò, grazie ai versi scritti da Temistocle Solera, modo di stemperarsi, di ravvivare lo spirito di un uomo ridotto al lumicino, facendo esplodere e rivelando in tutta la sua grandezza l’incredibile personalità e la vulcanica genialità del compositore bussetano. Genio, talento, passione, sacrifici e sofferenze sono gli introvabili ingredienti base della ricetta di quella meravigliosa leccornia che risponde al nome di Nabucco. Donizetti non riuscì a cogliere in pieno i segnali che Rossini indicò chiaramente nel Guglielmo Tell, essenzialmente mirati a sottolineare le necessità dettate dalla nuova sensibilità romantica. Giuseppe Verdi comprese perfettamente la lezione del recanatese e sviluppò con Nabucco, una nuova forma di drammaturgia musicale caratterizzata dal perfetto equilibrio fra libretto dalla vicenda complessa, ricca, dai temi innovativi e una scrittura musicale mai estranea o fine a se stessa rispetto al libretto stesso. Nabucco tratteggia lo scontro politico-religioso fra due popoli, la voglia di rinascita e di libertà di un popolo oppresso, la maturazione psicologica di un condottiero inizialmente feroce e sanguinario in ultimo saggio e commovente, con l’immancabile vittoria del bene sul male. Temi sui quali i moti risorgimentali non faticarono a identificarsi. A questi temi predominanti fa da sfondo la storia d’amore apparentemente impossibile fra Ismaele e Fenena, ma soprattutto, la soverchiante personalità dell’arrembante Abigaille, vero motore della vicenda che oggi si potrebbe descrivere come “donna in carriera” disposta a tutto pur di riscattare i sacrifici a cui la sua condizione di schiava adottiva l’avevano costretta. Ieri sera all’Arena di Verona i tratti predominanti di questo capolavoro sono stati evidenziati abbastanza bene grazie ad una messa in scena complessivamente buona. La regia e le scene di Graziano Gregori a forte carattere simbolico, non hanno mai perso di vista, anzi hanno saputo tenere sempre bene in evidenza i temi di fondo del dramma verdiano: le due opposte religioni, Nabucco gran condottiero, Abigaille e le sue manie di grandezza. Grandi statue dorate raffiguranti gli angeli di Dio ad ali spiegate, dominano il palcoscenico dell’Arena, poste ai lati del tempio israelita durante il primo atto. In seguito i simboli religiosi assiro-babilonesi prenderanno il sopravvento, fino alla grande scena finale dominata da una gigantesca e dorata testa di toro. Ricerche storiche sull’impero babilonese sono arrivate a censire circa 65.000 simboli venerati dai babilonesi; motivo per cui Gregori abbia deciso di identificarle nella testa di toro e non per esempio nel “dio re degli dei” Morsuk, il dio-sole, credo sia esclusivamente per una preferenza scenografica. Infatti, maschere dorate a forma di testa di toro le indossavano gli armigeri babilonesi durante la distruzione del tempio israelita a termine del primo atto e durante le comparse seguenti. Tra l’altro con quelle maschere, indossate su costumi rossi, i babilonesi richiamavano nell’aspetto, senza troppe forzature, dei diavoli scatenati, richiamando ancora una volta la contrapposizione del bene al male. Le scene ricche ma non pompose, i costumi belli e colorati per quel concerne i babilonesi contrastavano giustamente con gli stracci monocolori indossati dagli ebrei. Nel complesso una scenografia davvero molto godibile. Motivo di particolare interesse di questo Nabucco era dato dal debutto in questo difficile ruolo del baritono verdiano emergente: Ambrogio Maestri. Il giovane baritono ha saputo portare a termine positivamente questa difficile parte, conquistando il pubblico dell’Arena (il quale gli ha decretato un grande personale successo), soprattutto grazie ai suoi generosi mezzi vocali. Personalmente ho avuto la sensazione di essermi trovato di fronte ad un potenziale grande Nabucco dei prossimi anni. Per raggiungere l’obiettivo Maestri dovrà riuscire a mettersi in gola con maggior sicurezza la parte. Sia ben chiaro, è già a buon punto, tuttavia con ancora un po’ di lavoro di rifinitura, potrà distogliere maggiormente la sua attenzione dalle difficoltà racchiuse in partitura curando maggiormente l’interpretazione. Dove? Per esempio in uno dei momenti topici di Nabucco, a chiusura secondo atto quando Nabucco canta “Chi mi toglie il regio scettro?”, affrontando l’Adagio legato inanellando una serie di difficili fa acuti da cantare a mezzavoce. Speriamo continui a crescere intelligentemente come ha fatto sino ad oggi ed allora potremo stare sicuri che Ambrogio Maestri saprà farci divertire ed emozionare, così come ha già fatto nell’ormai famoso Falstaff scaligero. Abigaille era Paola Romanò, questo soprano ancora giovane ma con già tanti anni di carriera alle spalle è sempre garanzia di professionalità, sicurezza e resa positiva. Personalmente non nascondo di dover parlare di un’artista che apprezzo particolarmente, del resto molti lo sanno, tuttavia voglio essere sincero, in primis proprio con lei qualora dovesse leggere questa recensione. Ieri sera dopo le battute iniziali del recitativo d’entrata “Prode guerrier!” mi era parsa un po’ sulla difensiva evidenziando un canto un po’ chiuso, quasi intubato, quindi priva di squillo e con un volume ridotto. Forse è stato per saggiare gradualmente le proprie condizioni vocali? Non lo so! Fortunatamente Paola Romanò è tornata se stessa già nel concertato della scena settima del primo atto quando Abigaille si unisce a Nabucco, pur con ragioni diverse, nel manifestare tutta la sua collera: “Questo popol maledetto”. La grande sortita di Abigaille in apertura del secondo atto “Ben io t’invenni” ci restituisce una Romanò che ci fa davvero rimpiangere di non poterla sentire più spesso in Italia. Il suo canto è sicuro, preciso, sempre perfettamente intonato, esteso, in grado di far risuonare perfettamente il sol grave di “ogni tempio suonerà”, fino ad arrivare svettante al do acuto (anche se non scritto ci sta molto bene) in conclusione della cabaletta “salgo già del trono aurato”. Nel proseguo della recita è stato un campionario di bravura, inanellando acuti perentori, declamati infuocati e patetiche mezzevoci. Davvero molto brava e il pubblico lo ha sottolineato con calore. Zaccaria era Giacomo Prestia, che ha cantato decorosamente il suo difficile ruolo, mostrandosi particolarmente a suo agio sulla parte bassa del pentagramma, infatti i suoi gravi si sentivano benissimo risuonando timbrati e rotondi. Purtroppo per lui la parte di Zaccaria porta a toccare anche il fa acuto, vera nota da baritono, e qui qualche problema in più lo ha manifestato. Ismaele era Nazzareno Antinori. Questo ruolo che ormai viene spesso bistrattato sarebbe scritto per tenore lirico-spinto o drammatico. Ora, senza cadere in eccessi, sarebbe giusto pretendere quanto meno una voce lirica, ma squillante. Antinori non possiede nulla di tutto questo. L’emissione è costantemente forzata e indietro, lasciando spesso immaginare più che sentire, il canto di Ismaele. Fenena era bene interpretata e cantata da Nicoletta Curiel, la quale ha saputo ritagliarsi il suo momento di meritato successo. Positivo il Gran Sacerdote di Carlo Striuli e gli altri comprimari Angelo Casertano, con una particolare menziona all’incisiva Anna di Patrizia Cigna. Daniel Oren, direttore di questa edizione di Nabucco, ha confermato grazie alla positiva prova offerta ieri sera quanto Nabucco, a mio modo di vedere, sia l’opera verso la quale lui è maggiormente portato. La sua direzione è passionale intensa, indubbiamente, particolarmente sentita. Bellissimo il difficile accompagnamento in pianissimo evidenziato durante il “Va pensiero”, bissato a furor di popolo. Buoni sono stati tutti gli attacchi e quasi mai si è avuta la sensazione che ci fosse qualcosa fuori tempo. Buona la prova del coro. Nel complesso una serata di buon livello
Nabucco | Ambrogio Maestri |
Ismaele | Nazzareno Antinori |
Zaccaria | Giacomo Prestia |
Abigaille | Paola Romanò |
Fenena | Nicoletta Curiel |
Gran Sacerdote di Belo | Carlo Striuli |
Abdallo | Angelo Casertano |
Anna | Patrizia Cigna |
Direttore | Daniel Oren |
Regia e Scene | Graziano Gregori |
Coro e Orchestra |
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Dell' Arena di Verona |
Danilo Boaretto