Bizet dovette superare difficoltà di ogni genere prima di poter vedere sul palcoscenico per la prima volta Carmen e purtroppo, quando ciò si realizzò a Parigi il 3 marzo 1875, la soddisfazione che gli venne tributata soprattutto dal pubblico, fu decisamente scarsa. Le ragioni dell’insuccesso furono molteplici. Una di queste fu la spregiudicatezza (per quei tempi) della vicenda, resa ancor più reale grazie alla spiccata sensibilità teatrale di Bizet, il quale utilizzò sapientemente i dialoghi parlati per meglio delineare il carattere dei personaggi e la drammaticità del testo. Spregiudicatezza difficile da far digerire all’ambiente alto borghese dell’Opéra-comique. Altro motivo che sicuramente contribuì in certa misura a non far apprezzare adeguatamente Carmen durante le prime rappresentazioni, fu la scelta del tenore Lhérie il quale si rivelò sin dalle prove, non all’altezza del difficile ruolo di Don Josè per via di seri problemi di intonazione. I limiti del tenore furono talmente grandi da costringere Bizet e il direttore Deloffre a sostenerne la precaria intonazione utilizzando un harmonium appositamente inserito fra le quinte. A sostegno di Bizet, gravemente colpito nel morale, dopo il mancato successo di Carmen, accorsero parecchi musicisti, in particolar modo gli amici Saint-Saëns e Massenet i quali lodarono Carmen evidenziando le numerose ed interessanti novità introdotte. Malgrado gli aiuti Bizet non riuscì più a riprendersi dalla depressione in cui cadde e questo contribuì ad acuire i vecchi problemi di angina che lo affiggevano e che lo portarono all’infarto mortale il 3 giugno 1875. Esattamente tre mesi dopo la prima rappresentazione di Carmen. In seguito, alla morte del compositore, uno dei più cari amici di Bizet, il musicista Guiraud si fece carico di adattare la partitura ai gusti dei pubblici stranieri, tagliando i dialoghi e sostituendoli con recitativi che sintetizzavano molto la vicenda, oltre ad inserire il famoso balletto del quarto atto. Fu proprio nella versione Guiraud che Carmen debuttò a Vienna (nell'ottobre dello stesso anno) e divenne in tutto il mondo, per poco meno di un secolo il grande successo e l’opera di tradizione che molti conoscono. Fortunatamente, all’incirca nel 1964 Oeser, famoso musicologo tedesco si prese la briga di far conoscere a tutti gli appassionati, nel frattempo maturati rispetto al lontano 1875, la versione originale di Carmen così com’era stata pensata da Bizet, reinserendo i dialoghi, li dov’erano stati tolti. A mio modo di vedere, i dialoghi portano un grande valore aggiunto a questo dramma ambientato a Siviglia. Ci guadagnano i cantanti perché hanno la possibilità di delineare molto più chiaramente il loro personaggio sfoggiando le loro qualità oltre che vocali, di recitazione. Ci guadagna il pubblico il quale viene assorbito maggiormente da un lavoro che in questo caso appare di una modernità incredibile, oserei dire quasi cinematografica. Davvero triste è dover constatare, nonostante il successo riscosso da anni in tutto il mondo dall’edizione Oeser, sotto le bacchette dei direttori più prestigiosi, che ci sia ancora qualcuno che si ostini nel proporci la versione Guiraud. Per onor di cronaca, edizione Guiraud è quella in cartellone all’Arena di Verona durante questo festival estivo, di cui mi accingo a recensire la serata del 10 luglio alla quale ho assistito. Tuttavia se c’è ancora un teatro al quale potremmo giustificare tale scelta, questo è proprio l’Arena. La versione Oeser, da me tanto agognata, potrebbe risultare poco adatta ad un contesto così ampio come quello dell’Arena oltre ad essere meno appetibile dal punto di vista prettamente coreografico, per un pubblico che, inutile negarlo, spesso è composto maggiormente da turisti estivi piuttosto che da veri e propri appassionati. Ma passiamo dalle premesse ai dati di fatto: la terza recita di Carmen in programma alla quale ho assistito. Il nocciolo della serata lo si potrebbe sintetizzare nella considerazione che mi è sorta spontanea non appena Don José chiude “l’aria del fiore” cantata magistralmente, sfoderando tutto quello che un tenore DOC dovrebbe possedere, ossia fraseggio corretto, mezzevoci, legato, acuti sicuri, squillanti e voluminosi: se Bizet avesse disposto di Marco Berti per il debutto di Carmen, al posto del povero Lhérie, avrebbe sicuramente disposto di un’artista che avrebbe potuto contribuire più che positivamente a raddrizzare l’esito della serata. Dagli scritti dell’epoca ci risulta che il pubblico parigino si spazientì soprattutto a partire dalla seconda metà del secondo atto. Chissà se con un “La fleur ….” cantato come ha saputo fare Marco Berti il pubblico della prima assoluta avrebbe reagito diversamente. Qualcuno potrà pesare come eccessive queste mie affermazioni e interpretarle come lodi sperticate al tenore comasco ma risulterebbe ingiusto non tanto verso la mia recensione (poco m’importerebbe) ma nei confronti di Berti, tenore che in questo momento, a mio parere, è forse il miglior lirico di un certo peso, al mondo. Berti ha saputo donare al pubblico dell’Arena un Don Josè, tanto dolce e spregiudicato quanto passionale, tormentato e accecato dalla gelosia in un finale di crescente tensione drammatica. Marina Domashenko, mezzosoprano russo, ha voce di bel colore, calda e vellutata, tuttavia il risultato vocale è fortemente penalizzato da una dizione pochissimo scandita dando spesso la sensazione di un canto eccessivamente coperto. A questo è giusto aggiungere che ha comunque saputo dare sensazione di sicurezza e piena padronanza del ruolo mostrando notevole disinvoltura di movimento, rendendo credibile il suo personaggio. Maya Dashuk è un soprano lirico con voce di bel colore che si ascolta con piacere. Rispetto alla prima del 27 giugno trasmessa dalla radio, mi ha dato l’impressione d’essere migliorata in quanto, soprattutto nella prima parte ha mostrato un emissione meno tesa. Ha saputo sostenere bene le lunghe e difficili arcate presenti nel ruolo di Micaela rendendo adeguatamente la dolcezza del personaggio. E’ una cantante sicuramente interessante che merita di essere seguita con attenzione. Escamillo era Raymond Aceto il quale è venuto a capo della sua parte con sufficienza anche se mi ha dato l’impressione di non essere adatto vocalmente a ruoli come questo da bass-baritone, soprattutto per l’eccessiva difficoltà di emissione sul registro acuto. Di Dario Benini nel ruolo di Zuniga forse sarebbe meglio non parlarne tanto è stato di basso livello il canto che ci ha proposto e quasi sullo stesso livello si è mostrato il Morales cantato da Roberto Accurso. Discreti gli altri interpreti. La direzione di Alain Lombard mi è parsa svogliata, debole, con poca propensione a respirare con i cantanti e quanto mai di routine. Tuttavia l’orchestra ha suonato bene senza commettere errori. Buona anche la prova del coro. Della regia di Zeffirelli si è gia detto tanto e quindi è difficile aggiungere qualcosa. Impossibile non rimanere soggiogati dal grande impatto scenografico di questa Carmen. Zeffirelli sa sfruttare al massimo l’enorme spazio areniano ricostruendo benissimo i luoghi ed il periodo di Carmen. Abbastanza belli i costumi, tantissime le comparse in scena (forse in qualche momento anche troppe), con tanto di cavalli e asinelli. Molto bravi i componenti del balletto spagnolo su coreografia di El Camborio, qui ripresa da Lucia Real. Una Carmen piacevole e di buon livello complessivo.
Carmen | Marina Domashenko |
Micaela | Maya Dashuk |
Frasquita | Cristina Pastorello |
Mercedes | Milena Josipovic |
Don Josè | Marco Berti |
Escamillo | Raymond Aceto |
Dancairo | Marco Camastra |
Remendado | Antonio Feltracco |
Zuniga | Dario Benini |
Morales | Roberto Accurso |
Primi Ballerini Ospiti | Lucia Real, Belen Lopez, José Triguero, Joaquin Mulero |
Direttore | Alain Lombard |
Regia | Franco Zeffirelli |
Scenografia | Franco Zeffirelli |
Maestro del Coro | Franco Faelli |
Direttore del Corpo di Ballo | Maria Grazia Garofoli |
Direttore Voci Bianche | Antonella Bertoni |
Voci Bianche | Coro B. Britten |
Coreografie | El Camborio |
Coro e Orchestra |
|
dell'arena di Verona |
Danilo Boaretto