Il 26 dicembre 1823 la “Stagione di Carnevale” del Gran Teatro La Fenice si inaugurò con un rifacimento del “Maometto Secondo” di Gioachino Rossini, già rappresentato, con esiti non del tutto univoci, a Napoli nel 1820. Gli azionisti del Teatro veneto non gradirono particolarmente l’operazione “rimaneggiamento”, in quanto reputarono che la Stagione andasse inaugurata con un’opera nuova; il Maometto “veneziano” fu rappresentato per sole sei recite, per poi essere dimenticato, sei settimane dopo, il 6 febbraio, andò in scena "Semiramide”, l’opera nuova che i Veneziani attendevano.
Le varianti che la versione Veneziana, revisionata sulle fonti da Claudio Scimone, sono decisamente sostanziali, tanto da trasformare la tragedia napoletana in un dramma semiserio; il Maometto veneziano termina infatti con le nozze di Anna e Calbo, dopo una repentina quanto poco chiara “scomparsa” del Sultano, probabilmente ucciso in duello da Calbo, invece che con il suicidio di Anna, che si pugnala per non cadere preda di Maometto, che per altro ama ma al quale non può concedersi per maggiore amor di patria. Per questo finale Rossini non si preoccupa nemmeno di scrivere della nuova musica, usa infatti il rondò finale de "La donna del lago", vale a dire “Tanti affetti”. Tra i pezzi nuovi, Rossini compone un’ouverture decisamente poco tragica, un grande terzetto Maometto-Erisso-Calbo, “Pria svenar con ferme ciglia”, per il Terzo atto, la stretta finale del Primo atto e gran parte dei recitativi del Secondo atto, necessari a spiegare il cambio di atmosfera rispetto all’ atto precedente; infatti se nell’atto primo è tutto un susseguirsi di fragore d’armi e squille guerresche, nel secondo si assiste ad un intreccio amoroso più che bellico-politico, così come era invece nella versione napoletana.
Alla luce dei fatti i palchettisti veneziani non ebbero tutti i torti a manifestare il loro poco gradimento verso l’opera; con le modifiche operate da Rossini, il Maometto Secondo veneziano non regge sul pianno drammaturgico; il passaggio dal “tragico” al “drammatico”, per non dire tout-court al “semiserio”, non è giustificabile, nemmeno se si dà per buono il preambolo posto in testa al libretto a stampa dell’epoca, vale a dire "Onde togliere l’ orrore della scenica catastrofe, venne ricondotto il melo-dramma a lieto fine...”.
Per Il Carnevale 2005 la Fenice ripropone dunque il Maometto veneziano, e i dubbi restano immutati, questa versione dell’opera, al di là dell’operazione filologico-antiquaria, merita di essere conosciuta per dovere storico, per poi tornare riposare per un altro congruo numero di anni, lasciado il posto che compete al ben più corposo Maometto napoletano. Da segnalare, in anticipo su quanto poi si dirà nel dettaglio, il disorientamento del pubblico riguardo alla scelta, che crediamo della Direzione Artistica e di Claudio Scimone, di affidare il ruolo del generale Condulmiero, che fu tenore “contraltino” a Napoli e basso a Venezia, ad un controtenore, fortunatamente assai bravo. Tutto ciò crediamo per differenziare la vocalità del personaggio da quella dell’ altro tenore dell’opera, Erisso, in origine “baritenore”; scelta che può piacere o no, ma che a noi, dopo un attimo di sconcerto, non è spiaciuta.
Fortunatamente, al di là della debolezza drammaturgica dell’opera, lo spettacolo di Pierluigi Pizzi, che come al solito oltre alla regia realizza anche scene e costumi, è visivamente assai bello e permette di godere appieno dell’impianto scenico realizzato in occasione della ricostruzione del teatro.
La scena, una diroccata chiesa palladian-scamozziana, che nel secondo atto sarà ancor più diroccata dopo l’assedio musulmano, si innalza per mostrare la sottostante cripta nella quale si congiura e si duella, per lasciare poi il posto alle mura semi abbattute di Corinto sulle quali si mostra il Sultano trionfatore. Suggestivi ed assolutamente silenziosi i cambi a vista. Piacevoli anche i costumi senza tempo, ma comunque evocativi dei giannizzeri turchi e di Maometto, in varie sfumature di ocra ed arancione, dei Veneziani, tutti sui toni dell’avorio, compresi quelli delle donne, e gli abiti grigio ferro di Calbo ed Erisso. Qualche dubbio avanziamo sulla staticità dei movimenti scenici, che ci sembra derivi più dalla mancanza di prove che dalla scarsità di idee; in più di un’ occasione è infatti parso che i cantanti ed il coro dovessero un po’“far da sé”.
Note molto positive anche sul fronte della musica, con qualche piccola eccezione.
Claudio Scimone, al quale va tra l’altro il merito di aver impiegato l’organico orchestrale originale seguendo alla lettera il dettato rossiniano, ha concertato la “sua”partitura con mano esperta, accentuando, forse talora un po’ troppo l’aspetto poco drammatico del Maometto di Venezia. La sua lettura è comunque fluida e attentissima ed ha trovato in un’ orchestra davvero in ottima forma, unita ad un ottimo coro, lo strumento ideale.
Il Maometto di Lorenzo Regazzo è magnifico: voce piena, timbro brunito, intonazione rigorosa, emissione fluida, agilità rasenti la perfezione; il tutto unito ad un’ interpretazione generosa e ad una ragguardevole presenza scenica. Molto bene davvero.
Splendido il Calbo di Anna Rita Gemmabella, contralto di sicuro avvenire. Ci hanno convinto, oltre al materiale vocale di notevole qualità in ogni registro, la sua assoluta facilità nei passaggi di agilità ed il piglio appassionato e guerriero infuso al personaggio.
Bene il Condulmiero di Nicola Marchesini, controtenore unico, a nostro avviso, tra gli Italiani ad essere dotato di un volume di voce “teatrale”, di timbro piacevole e di ottima intonazione. Superato lo “choc” iniziale, in verità neppure così forte, di un Condulmiero acutissimo, lo abbiamo davvero apprezzato.
Il giovane tenore russo Maxim Mironov ha ben figurato quale Erisso; voce piccolina ma intonata e gradevole, con agilità a posto e presenza scenica più che discreta.
Meno bene l’Anna di Carmen Giannatasio, la quale possiede un buon bagaglio vocale, ma che che presenta delle oggettive difficoltà in acuto, unite ad una sorta di timore per le agilità, che la porta ad essere forse un po’troppo guardinga. Crediamo comunque possibile che col prosieguo delle recite le paure potranno dissiparsi.
A posto il Selimo di Federico Lepre, il cui breve intervento merita positivo riscontro.
Alla fine applausi convinti per tutti, preceduti da ovazioni a scena aperta per Regazzo e Gemmabella al termine delle loro rispettive cavatine, da parte di un pubblico cosmopolita che gremiva il teatro in ogni ordine di posti.
Maometto Secondo | Lorenzo Regazzo |
Selimo | Federico Lepre |
Paolo Erisso | Maxim Mironov |
Anna | Carmen Giannattasio |
Calbo | Anna Rita Gemmabella |
Condulmiero | Nicola Marchesini |
Regia, Scene e Costumi | Pier Luigi Pizzi |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice |
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Direttore del Coro Emanuela di Pietro |
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Maestro Concertatore e Direttore |
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Nuovo Allestimento |
Alessandro Cammarano