In un caldo pomeriggio d'agosto, siamo ospiti di Mariella Devia nella sua villetta, immersa nel verde e nella tranquillità di Chiusavecchia, dove si rifugia ogni estate per qualche settimana.
Siamo in compagnia di Francesco Vatteone, presidente del Circolo Amici della Lirica di Imperia e vecchio amico di Mariella. Ci colpiscono immediatamente la schiettezza e la semplicità con cui veniamo accolti: Mariella chiacchiera con noi delle prossime iniziative e si lascia andare persino a qualche battuta in dialetto, guardando le foto del concerto dello scorso aprile a Imperia, quando ha ricevuto il Premio Anfora d'Oro.
Ci hanno detto che ci troviamo in uno dei primi luoghi dove è risuonata la sua voce!
E' vero: questa era la casa del mio nonno materno e l'estate la passavo qui. Gli alberi qui intorno si ricordano di me: c'era qui dietro un ciliegio enorme, più grande della casa, che poi abbiamo dovuto abbattere: salivo lì a cantare!
Un talento precoce, quindi...
Beh, io cantavo di tutto, senza sapere che cosa facevo. Andavo e tornavo da scuola (a piedi, ovviamente) e cantavo: c'è la leggenda che i contadini che lavoravano qui intorno sapevano che ora era perché mi sentivano cantare quando passavo! Cantavo, correvo e saltavo i paracarri: ci voleva un bell'allenamento! Ecco dove mi sono fatta il fiato!!
Allora è vero che conta molto anche la natura...
Soprattutto la natura la si rovina con una facilità enorme: il segreto è scoprirla, averne consapevolezza e poi rispettarla. Molti giovani si rovinano in fretta perché cominciano troppo presto, quando non hanno ancora sufficienti basi tecniche, oppure perché sbagliano repertorio.
E nel suo caso come è andata?
Direi che la consapevolezza è venuta dopo la scuola: ho cominciato a studiare a Milano, poi la mia insegnante si è trasferita prima a Napoli e poi a Roma, al conservatorio S. Cecilia, e io l'ho seguita.
Credo che in molti vorrebbero carpire il segreto della sua tecnica...
Lo studio della tecnica è un fatto individuale; tante volte capita che giovani cantanti chiedano disperatamente dove trovare un buon insegnante, ma la realtà è che dobbiamo soprattutto lavorare su noi stessi: bisogna fare fatica, mentre spesso prevale l'idea che debbano essere gli altri a prepararci tutto.
Ma se dovesse dare qualche indicazione a un giovane cantante?
La base tecnica del canto è sicuramente il fiato; io ho fatto molto lavoro su di me, ascoltandomi, facendomi ascoltare; importante è anche un buon maestro ripassatore di spartito (sempre più rari, oggi) che abbia un buon orecchio per il canto, per l'intonazione. Ma fondamentale è soprattutto tanta autocritica. E poi il tempo dedicato allo studio, l'allenamento: il cantante è come un atleta che deve sostenere una gara: non può non fare allenamento.
Nel suo caso c'è stato qualcuno, in particolare, che l'ha aiutata nello studio?
Beh, sicuramente determinante è stato l'incontro con mio marito [strumentista nell'orchestra Santa Cecilia di Roma, n.d.r.]: ci siamo sposati a 22 anni ed abbiamo studiato insieme, è stata una scoperta reciproca. La consapevolezza degli strumentisti è superiore a quella dei cantanti: studiano di più, sono più tecnici.
E' questo allora il segreto della sua infallibilità?
(Ride) Se è per questo ci sono un sacco di persone che stanno solo aspettando che io fallisca!
Non certo nel suo pubblico, che viene ad ascoltarla.
No, no: nel pubblico spero proprio di no, ma nell'ambiente...
Il personaggio con cui Lei viene più spesso identificata è Lucia: qualcuno è arrivato addirittura a scrivere "Devia di Lammermoor". Che cosa ci dice del suo rapporto con questo personaggio?
Quando ho cominciato Lucia la sentivo anche troppo drammatica per me: è vero che è una figura angelicata, innocente, però alcune cantanti del passato ne hanno fatto una figura tragica, per cui, spesso, questo è ciò che il pubblico si aspetta. Quindi, agli inizi, interpretare questo ruolo per me era abbastanza pesante, faticoso. Poi il personaggio è maturato, sia vocalmente sia espressivamente, anche grazie al lavoro fatto con i diversi registi e direttori con cui ho lavorato. E questo è fondamentale, perché se non si ha ogni volta la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo in un personaggio è inutile continuare a rappresentarlo.
Sarà quindi molto legata a questo personaggio...
A dire il vero ho sia ricordi belli che brutti, a seconda delle situazioni: ad esempio sono molto influenzata dal fatto se una produzione mi soddisfa dal punto di vista registico e scenico.
Noi abbiamo avuto la fortuna di assistere alla Lucia a Palermo, lo scorso anno, ed è stata un'esperienza esaltante...
Mi fa molto piacere, anche perché a Palermo è stato un vero incubo: sono arrivata in teatro solo due giorni prima della recita; arrivavo dal Giappone ed ero completamente sfasata e influenzata (e pensare che l'ultima volta che avevo avuto la febbre sarà stato 10 anni prima). Non ho potuto provare né parlare con il regista, l'unico riferimento che avevo era la visione di una videocassetta: una situazione che detesto e che faccio di tutto per evitare, ma in quel caso non è stato possibile.
Indubbiamente il lavoro con il regista deve essere importante per il cantante...
Eppure, anche recentemente, mi è capitato di dover preparare una recita senza praticamente poter parlare con regista; io l'ho fatta come me la sentivo, ma sinceramente non ho capito che idea avesse lui (e se ne avesse una...): si è fatto vivo in teatro una volta sola e non ci ha detto "A"; l'aiuto regista non condivideva nulla delle sue idee, per cui noi facevamo quello che potevamo. Se a questo aggiungiamo che ho dovuto cantare con ben 3 tenori diversi durante le prove (più un altro nelle recite) devo dire che mi sono comportata fin troppo bene: avrei voluto piantare tutto lì, ma mi rendevo conto che se me ne andavo anche io andava tutto a scatafascio, per cui ho tenuto duro.
Molto famosa è anche la Lucia di Parma, del '92, che poi è anche l'anno di quella della Scala.
Devo confessarvi che la Lucia di Parma non mi piaceva proprio: me la facevano fare dappertutto, perché pare che piacesse al pubblico, ma io la detestavo, perché la trovavo vecchia (ed era vecchia). Adesso tutti dicono che mi piacciono le cose troppo moderne, ma, insomma, è vero: certi spettacoli sanno proprio di polvere!
A proposito di regie moderne, siamo rimasti molto colpiti dalla Traviata in Arena, quest'estate: l'abbiamo vista davvero immedesimata nel ruolo...
(Ride) La minigonna ha colpito, vero? Devo dire che con Vick ci lavoro da una vita e mi sono sempre trovata molto bene: c'è un bel rapporto, ci diciamo tranquillamente tutto, troviamo insieme le soluzioni. Insomma, ci divertiamo.
Il pubblico areniano, però, ha mostrato di non gradire troppo...
Credo che il pubblico abbia esagerato un po' certi disagi: dai loggioni di certi teatri si vede sicuramente molto peggio. E anche in Butterfly mi hanno detto che, dai posti più laterali, non si vedeva bene perché c'erano le montagne. Allora, piuttosto, non si vendano quei posti: nell'ultima recita che ho fatto c'erano addirittura botta e risposta fra il pubblico delle diverse gradinate; a un certo punto qualcuno ha urlato: "Ma spendi 5 euro in più che riesci a vedere bene!"
Forse il pubblico dell'Arena preferisce le regie più tradizionali: qualcuno dice che i tedeschi, che non ne possono più di "certe" regie, vengono all'Arena perché sono certi di che cosa possono trovare.
Ma allora bisogna evitare di invitare certi artisti. Guardi, io mi sento proprio di difendere le scelte registiche di questa Traviata, che tra l'altro secondo me non ha niente a che vedere con quelle regie tedesche a cui faceva riferimento. Questa Traviata era assolutamente didascalica nei rapporti con i personaggi e non raccontava un'altra storia: questo è, per me, la cosa importante. Non mi piacciono le trasformazioni gratuite: questa era semplicemente spostata d'epoca, però la storia filava benissimo. La scena in cui Violetta viene svergognata davanti ai paparazzi è sicuramente diversa da quella originaria, ma è efficacissima. Quando è stata scritta Traviata sappiamo benissimo qual era lo scandalo suscitato da questa vicenda, ma allora non si poteva dire più di tanto. Certamente far vedere dei giovani che, ad una festa, sono sotto l'effetto della droga può essere forte ma, insomma, non è fantasia, succede realmente, anzi nella realtà succede di peggio...
Oltre a Lucia, quali sono i ruoli a cui è più affezionata?
Direi quelli che ho eseguito più spesso, soprattutto Gilda, in Rigoletto, e Konstanze, ne Il ratto dal serraglio.
Ce n'è qualcuno di cui non ha un buon ricordo?
Forse Giovanna d'Arco: è un'opera che non riesce proprio a piacermi.
E invece ruoli che non ha fatto ma non rimpiange?
Il repertorio barocco, ad esempio, non mi ha mai "ispirato" molto.
Certo che interpretare ruoli così numerosi e diversi non deve essere semplice...
Beh, intanto ho evitato ruoli troppo drammatici e ho affrontato lo studio dei personaggi sempre con molta gradualità. Donna Anna, ad esempio, ci ho messo diversi anni prima di decidermi a farla; mi avevano chiesto di cantarla per la prima volta nell'85 e ho rifiutato: pensi che questo ruolo l'ho debuttato ben 13 anni dopo, e prima di decidermi ci ho pure pensato parecchio!
Lo stesso per Traviata: gli amici di Imperia mi hanno sentito per la prima volta 12 anni fa cantare l'aria di Violetta, ma ai tempi avevo detto loro che avrei debuttato in Traviata solo quando avessi trovato un direttore che mi garantisse la necessaria serenità per farlo. Prima di fare un debutto, a monte ci sono anni di pensiero, di studio, di attesa per trovare le persone giuste con cui lavorare.
C'è ancora qualche ruolo che desidererebbe debuttare?
Mi piacerebbe cantare la Stuarda. In origine la Beatrice alla Scala doveva essere Stuarda, ma poi, dato che avevano una produzione di Beatrice, ma non di Stuarda, si è fatto quella. Intendiamoci: a me è andato benissimo comunque, con Bellini mi sento "a casa"!
E qualche ruolo che le hanno proposto e non ha ancora affrontato?
Ogni tanto "sento passare" il nome di una Luisa Miller... Però preferirei Stuarda o Bolena.
Bolena me l'avevano chiesta a Torino, ma poi ho dovuto rifiutare: per debuttare un ruolo come quello avrei avuto bisogno di più tempo; invece era troppo vicina al Don Giovanni a Firenze, e, soprattutto, a quel tempo avevo avuto assicurazioni per un debutto in Straniera a Napoli. Poi la cosa è "saltata" (e mi è spiaciuto moltissimo, perché era un personaggio che mi interessava molto) e allora ho preso in considerazione il Don Giovanni a Torino: pensavo fosse ormai troppo tardi, e invece... sarà uno dei prossimi miei prossimi impegni: quando si dice che certi teatri italiani non hanno fretta di preparare le stagioni...
Qualche ruolo che le sarebbe piaciuto e che pensa non farà mai?
(Ride) Sta forse alludendo a Norma?
Nooooooo! La domanda non era assolutamente tendenziosa! Comunque....
Norma dovevo farla 2 anni fa in Giappone, poi ci ho ripensato. Per ora ho cantato l'aria, il duetto con Adalgisa e "Mira o Norma". Comunque, se mai dovessi farla, sarà all'estero.
Perché?
Eh... per la solita storia dei "vedovi", no? E non parlo solo di quelli della Callas: ci sono quelli della Gencer, ecc. ecc.: una disgrazia (ride)! In passato Norma non era considerato un ruolo drammatico, però dopo il verismo le cose sono cambiate e, oggettivamente, ritornare alle origini non è facile. Comunque non è che mi manchi il lavoro, quindi...
E a proposito di grandi soprani del passato, quali preferisce?
La Scotto, ad esempio, mi piace molto e anche la Caballè, più delle altre, forse. Dal punto di vista umano, invece, la Sutherland, che ho conosciuto di persona, è un esempio straordinario di serenità e semplicità: era una grande, ma non le ho mai visto atteggiamenti divistici; un persona di una normalità assoluta. Anche la Horne, era lo stesso. Forse sono più gli uomini che "se la tirano" (ride)!
Ci ha parlato molto del suo rapporto con i registi: e con i direttori, invece?
Come per i registi, mi piace chi vuole lavorare insieme con il cantante, chi ha delle idee e riesce a comunicartele. Personalmente mi sono trovata molto bene, solo per nominarne alcuni, con Savallish e Campanella.
E ha mai avuto problemi per le scelte esecutive, con la filologia?
Devo dire che nella mia carriera ne ho viste un po' di tutti i colori. Sinceramente se un direttore mi chiede un certo tipo di prassi esecutiva, non ho problemi ad assecondarlo. Ad esempio ho lavorato molto a Pesaro, dove c'è molta attenzione a questi aspetti, e non mi sono mai trovata a disagio.
Recentemente alcuni critici hanno parlato bene delle scelte esecutive della Beatrice alla Scala.
A proposito della Beatrice (e dei critici...), uno di loro (che scrive per un famoso quotidiano) se l'è presa con Palumbo, perché mi avrebbe consentito, nel rondò, di fare delle variazioni che, a suo dire, non c'entrerebbero niente, mentre invece nella Borgia non era stato così. Ora, a parte il fatto che io ho eseguito gli "oppure" del revisore (e neanche parecchi, a dire il vero), io dico: ma come si può fare un paragone con la Borgia? Là, la situazione è completamente diversa perché lei ha appena ucciso il figlio, tant'è vero che il rondò è in tonalità minore. Nella Beatrice invece è tutt'altra cosa, sia come testo che come situazione, e infatti la tonalità è in maggiore: in parole povere potremmo dire che il succo del suo messaggio è che lei, dopotutto, è felice di andare a morire perché, in cielo, c'è la giustizia che non trova in questo mondo.
Personalmente, però, non abbiamo avuto un'ottima impressione di questa Beatrice: ad esempio il coro impreparato, l'orchestra piuttosto approssimativa, che non sembrava in gran sintonia con il direttore...
E' innegabile che dei problemi ci sono stati... Peccato, perché poteva essere una bella occasione e invece è stata un po' sprecata.
Non trova che le case discografiche siano un po' restie a incidere nuove produzioni?
Forse interessano di più certi titoli rari, mentre quelli di repertorio forse non interessano molto. Per quel che mi riguarda non mi lamento: tra le cose meno note c'è un'Adelaide, della Fonit Cetra, e un'Elisabetta al Castello; ovviamente di Lucia c'è sia disco che DVD; poi c'è pure una Figlia del Reggimento, che mi dicono essere molto bella, di Ricordi. Invece del Ratto dal Serraglio della Scala c'è un disco pirata, che ho trovato in Giappone, già l'anno dopo della recita...
C'è qualcosa che non le piace, del suo lavoro?
Certe volte mi pesa molto fare le valigie. Ormai cerco di restare in zona: a parte il Giappone, non mi allontano più molto dall'Italia; andare negli Stati Uniti, ad esempio, non mi interessa proprio più. La Spagna mi piace perché è più simile all'Italia: nel prossimo futuro farò la Borgia a Oviedo e sarò a Barcellona per la prima volta, dove canterò Elisir. Anche in passato, ho sempre cercato di avere, nelle città in cui cantavo più spesso, una dimora un po' più stabile di un albergo, che trovo così deprimente.
Però è appena tornata da una tourneé a Tokio, per una Lucia con Alvarez. E' vero che si lavora meglio all'estero?
Beh, è noto che all'estero c'è un'ottima organizzazione; comunque noi italiani, con l'esperienza che abbiamo, sappiamo fare miracoli!
E il pubblico?
Il pubblico giapponese è appassionatissimo, entusiasta. Si va volentieri a cantare lì anche per questo. Tra l'altro ciò è ancora più straordinario, se pensiamo a quanto la loro musica è diversa dalla nostra.
Ha mai pensato di dedicarsi, in futuro, all'insegnamento?
A dire il vero mi piacerebbe anche fare un po' di vita tranquilla senza dedicarmi a niente! La vita di una cantante concede poco tempo libero per fare le cose "normali": stare a casa, leggere, andare al cinema. In questi giorni qui a Chiusavecchia, però, mi sto rilassando: riesco persino ad andare al mare, la mattina presto, quando è più tranquillo e il sole non è aggressivo.
Mi piacerebbe tenere dei ritmi di lavoro più "umani", me lo riprometto ogni volta, ma è difficile: magari la cosa che ti interessa o ti piace di più capita vicino a qualche impegno già preso, ed è difficile dire di no! Intanto adesso mi prendo una pausa per una piccola operazione chirurgica: devo rimediare ad una botta, che mi sono procurata lo scorso anno cadendo da una scala in giardino.
Certo! Quella per cui ha dovuto rinunciare ai Lombardi a Parma: e pensare che noi eravamo ad aspettarla in loggione! Ma possiamo stare tranquilli per il Tancredi di Roma, vero?
Certo! Anzi: se ne avete l'occasione, potete passare a salutarmi nella mia nuova casa. Speriamo bene: Roma è un teatro molto particolare: a seconda dell'opera in programma può essere pienissimo o deserto.
Ma quando i nomi in gioco sono del livello del suo e della Barcellona, sarà difficile trovare i biglietti. In bocca al lupo, allora.
Grazie, e tanti saluti a tutti gli appassionati del vostro sito.
Roberto Chiarelli