Dopo il grande successo ottenuto nel Faust di Napoli ti sei immediatamente trasferito a Zurigo per vestire i panni di Edgardo nella Lucia. In questo breve momento di relax cosa ci puoi raccontare in merito a questo Faust che ha fatto tanto discutere, soprattutto per la regia.
Questo periodo di Napoli e Zurigo è stato davvero molto difficile. Ho avuto anche dei piccoli problemi a livello di pianificazione delle recite in programma.
All’inizio il mio contratto prevedeva che iniziassi le prove a Napoli e dopo due giorni avrei dovuto cantare due recite di Rigoletto a Zurigo. Purtroppo di queste due recite sono stato costretto ad annullarne una.
C’è una grossa difficoltà in questa professione e questo voglio dirlo specialmente ai giovani; purtroppo i teatri non tengono nella giusta considerazione i cantanti ed hanno la tendenza a sostituirli con troppa facilità. Grazie a Dio sono una persona che ha dimostrato qualcosa in carriera e riesco ora ad esercitare un certo potere contrattuale. A Napoli quando ho avuto problemi per il sovrapporsi delle prove con le recite di Rigoletto a Zurigo, mi sono imposto ed ho impedito che applicassero questo tipo di gioco! Certo per me sarebbe stato più facile dire “lascio perdere, lascio che a Napoli canti un altro tenore”, ma non ho voluto perché la gente mi attendeva e molti giovani che mi seguono sarebbero venuti apposta per me.
Non si può sempre lasciare che giochino con i cantanti e con la nostra immagine; alla fine siamo noi che ci rimettiamo la faccia con il pubblico.
Dopo questo inizio un po’ problematico, ho iniziato a lavorare alle prove di Faust con dei ritmi molto pesanti. Quando circa tre anni e mezzo fa avevo accettato di firmare il contratto per cantare Faust era anche perché non doveva essere una nuova produzione, in quanto mi rendevo conto che non avrei avuto fisicamente il tempo per affrontare una nuova produzione. Nel frattempo la direzione del teatro S.Carlo è cambiata e i nuovi dirigenti hanno deciso di mettere in scena questo Faust di nuova produzione. Così ci siamo trovati a lavorare ore su ore con una scenografia per nulla facile. Abbiamo lavorato per gran parte delle prove al Politeama, un teatro che per via delle sue dimensioni non riusciva a farci capire perfettamente che cosa sarebbe veramente successo sul palcoscenico del S.Carlo, soprattutto con il movimento dei carri previsti.
E’ stato difficilissimo e molto stressante, tanto è vero che la prima recita l’abbiamo cantata senza le luci definitive perché non erano state ancora completate e chesono state attivatesolamente dalla seconda recita. Non sono mancati anche alcuni momenti di improvvisazione, per esempio durante il momento in cui Faust canta il gran segreto nascosto in biblioteca; per errore hanno acceso le luci prima che io apparissi, rompendo un po’ la magia del momento… fortunatamente nessuno se ne è accorto perché io sono rimasto immobile come una statua e sempre immobile ho proseguito a cantare. E’ stata un’esperienza molto stancante ma il risultato, personalmente è stato molto soddisfacente.
Purtroppo ci sono stati durante tutte le recite, piccoli inconvenienti, sempre diversi che hanno rischiato di mandarci in tilt. Fortunatamente sia io che io miei colleghi ne siamo usciti bene, ma voglio dire forte e chiaro che il successo c’è stato perché c’erano dei grandi cantanti. Questa era una regia senza compromessi e collaborazione con i cantanti. Il regista diceva: “tu fai là !”. Voglio raccontare queste cose agli amici di OperaClick così che sappiano… noi abbiamo bisogno anche del loro aiuto… spesso veniamo criticati male perché in scena non facciamo determinate cose o movimenti… ma è ora che si sappia come vanno realmente le cose. Ci vengono imposte! Ci sono stati due mesi di tensioni perché il regista, soprattutto all’inizio mi diceva “tu vai là” … ed io “come tu vai là! Mi dici di andare a cantare alzato di due metri, in fondo al palco a 35 metri di distanza, almeno chiedimi cosa ne penso e spiegami il motivo. Il pubblico ha bisogno di sentirmi… se tu mi metti il microfono e facciamo il musical allora dopo puoi mettermi dove vuoi…”
Ho accettato di cantare la prima scena dietro le quinte perché ero d’accordo, l’idea mi piaceva, ma sono contro le cose imposte senza spiegazione e senza senso.
Nessuna persona del teatro pensava di ottenere questo successo ma se questo c’è stato, molto del merito è di noi cantanti, dei coristi e dei tecnici.
Tra l’altro oggi, non so se vi siete accorti, ma c’è sempre più la moda di aprire completamente il palcoscenico, totalmente a scapito dei cantanti che si ritrovano come se dovessero cantare all’aperto. Il palcoscenico è stato studiato per essere montato in modo da migliorare l’acustica non viceversa, per disperdere le voci dietro le quinte… e poi dicono che la voce non corre o che il cantante ha perso la voce…
In circa dieci anni di carriera vissuta, Marcelo Alvarez è riuscito ad imporsi in tutto il mondo. Ti troveresti d’accordo se ti dicessi che il pubblico italiano è stato il più difficile da conquistare?
No. Il pubblico italiano è “il più difficile” con se stesso. Alvarez ha cominciato la carriera in Italia e dopo due anni mentre il pubblico italiano diceva: “ma si è bravino, però…”, all’estero avevano già capito quello che valevo e per questo sparii dall’Italia per circa quattro anni.
Il pubblico italiano ha paura di dire “Bravo!” in prima istanza. Ha sempre bisogno che venga detto prima da altri…
Per me sarebbe più facile e comodo dire “il pubblico italiano è il più meraviglioso fra tutti, ma non voglio fare il ruffiano con nessuno. Io abito in Italia, mio figlio è italiano per cui sono un po’ italiano anch’io per questo sarei particolarmente felice se il pubblico italiano tornasse quello di una volta. In questo momento i pubblici vivi si trovano al nord europa o in america… comunque all’estero dove quando le cose non piacciono “buano”, ma quando le cose vanno bene sono molto ma molto espansivi…
I latini sembra che abbiano paura di esprimere le loro emozioni e le loro opinioni… all’estero se ne fregano… se uno ha voglia di urlare “bravo” lo fa senza tanti problemi. Noi sembra che abbiamo perso la spontaneità tipica dei latini. Pensiamo troppo al CD di Corelli che abbiamo sentito a casa con il volume a 10.000 watt e poi andiamo a teatro e diciamo: “però la voce non corre…”.
Oggi ci sono orchestre molto più numerose, strumenti più brillanti e di questo bisogna tenerne conto.
Tornando al pubblico italiano, dico che ha bisogno di recuperare le sue caratteristiche. Forse sarà per via dell’Unità Europea che abbiamo assunto caratteristiche tipiche dei nordici…comunque mi risulta che il nordico è il vero latino di oggi… è proprio cambiato tutto! Io questo lo dico a voce alta… non è per criticare il pubblico italiano, perché in realtà è un pubblico che sente molto le emozioni e questo lo noto soprattutto dopo la recita quando viene in camerino e dimostra tutto quello che ha provato, ma che purtroppo ha esternato molto moderatamente durante la recita. Non voglio fare nomi, ma purtroppo è vero, in Italia ci sono state troppe persone che hanno fatto nel tempo, pressione sul pubblico per “educarlo” a non applaudire qui, a non applaudire la, e questo ha contribuito a creare troppi problemi al pubblico… a Napoli, durante l’ultima recita di Faust, il pubblico si è comportato come ai tempi d’oro della lirica… mi hanno detto che era da trent’anni che non veniva concesso un bis al S.Carlo, l’ultima volta fu durante una Tosca con Domingo. Il pubblico napoletano ha applaudito quando se la sentiva, ha urlato quando voleva, anche a metà aria. Ragazzi, una volta i cantanti facevano le acrobazie anche perché c’era un pubblico che li stimolava… oggi il pubblico freddo fa paura, manca questo filo conduttore fra cantante e pubblico. Secondo me bisogna riportare l’opera ad essere quello che era, uno spettacolo per tutti i giorni… una volta fra il pubblico c’era quello che urlava, quell’altro che mangiava, però era uno spettacolo vivo. Dico queste cose perché ci tengo a far tornare in Italia, l’opera lo spettacolo vivo che era… Ormai mi considero italiano e mi fa male sentire che alcuni grandi cantanti non vogliono venire in Italia perché dicono che il pubblico è troppo freddo.
Negli ultimi mesi hai cantato moltissimo in Italia: Bohème agli Arcimboldi, Lucia a Genova, Traviata a Parma, Faust a Napoli; qual è il ruolo, tra quelli che canti più frequentemente, che ti fa sentire più a tuo agio, sia dal punto di vista vocale che interpretativo?
Non saprei, dipende dai momenti e dalla salute, perché non sempre quando canto sono in perfetta forma, con tutti questi problemi di allergie di cui ormai quasi tutti i cantanti sono affetti, anche a causa dei continui cambiamenti di città, di smog, di ambiente, di clima e non ultimo, anche la polvere dei teatri è tremenda e crea molti problemi. Per esempio, durante le recite di Traviata agli Arcimboldi mi sono preso una bronchite asmatica… ero distrutto! Comunque ogni ruolo mi appassiona e di ogni ruolo cerco sempre di scoprire qualcosa di nuovo che mi porta ad amarlo.
Sempre più frequentemente vieni paragonato al mito Di Stefano; che effetto ti fa e quali sono secondo te i reali punti in comune fra te e il grande Pippo?
Si deve sapere che fu proprio Di Stefano a scoprirmi in Argentina. All’epoca avevo tentato di fare qualcosa ma nonostante avessi già fatto tre audizioni, al Colon di Buenos Aires non ne volevano sapere di me. Di Stefano venne in Argentina per ascoltare alcuni giovani professionisti del Colon, io lo venni a sapere e un mio amico riuscì ad infilarmi in mezzo agli altri cantanti. Dopo che ebbero cantato gli altri cantanti venne il mio turno e Di Stefano mi chiese: “allora Alvarez, cosa mi canta?” ed io “A te o cara”… canto e al termine proseguo con “Ella mi fu rapita”. Alla fine delle due arie lui si alza mi si avvicina, mi mette una mano sulla spalla e rivolgendosi a tutti i presenti dice: “questo ragazzo mi ricorda il sottoscritto da giovane, perché lui ha l’istinto del canto, la passione, l’intuizione e la voglia di cantare”…gli organizzatori del Colon che non avevano mai voluto prendermi in considerazione erano ammutoliti e scettici. La stessa sera Di Stefano mi disse: “Marcelo, comprati un biglietto aereo e vieni in Europa”. Seguii il suo consiglio, venni in Italia ed oggi considero Di Stefano mio padre putativo. Con lui sono sempre in contatto e spesso mi ha aiutato dandomi preziosi consigli, soprattutto mettendomi in guardia da quanti mi avrebbero avvicinato con l’intenzione di mettermi paura dicendomi: “è meglio se canti così piuttosto che cosà” piuttosto che “devi cantare tutto al contrario di come stai facendo”; Di Stefano mi ha sempre detto “canta come ti suggerisce il tuo istinto o meglio, il tuo cuore e vedrai che non ti sbaglierai ma soprattutto non dare retta a nessuno”… consiglio che ritengo importantissimo. Durante tutti i momenti che sono stato in difficoltà ad ogni mia telefonata Di Stefano mi ha sempre detto: “vieni a trovarmi, non ti preoccupare e parliamo”. Eppure, nonostante l’affetto che nutro nei suoi confronti, ho sempre ascoltato poco i suoi dischi perché mi sforzo di essere me stesso e il grande Pippo lo intuì sin dalla prima volta che mi ascoltò in Argentina. Il mio modo di cantare può piacere o non piacere, ma è uno stile personale e assolutamente non copiato.
Dopo circa 10 anni di carriera, notiamo con piacere che il tuo repertorio è ancora saldamente ancorato al repertorio da tenore lirico: Lucia, Rigoletto, Traviata, Faust e prossimamente Romeo et Juliette; quanto ritieni importante la scelta del repertorio per il mantenimento della voce?
Credo sia molto importante! Tuttavia vorrei anche sottolineare che sempre più spesso si sente dire “stai attento al repertorio”, ormai è una frase che va di moda, ma viene spesso ripetuta da persone che non sanno nemmeno che significa. Il vero significato sta nella maturazione fisica. E’ importante che un ragazzo particolarmente giovane, poniamo 25 anni, non canti repertorio spinto in quanto la gola acquisisce la piena maturazione intorno ai 35 anni… e non prima. Questo è il rischio, fare qualcosa quando la muscolatura non è pronta. Se io prendo un bambino di 12 anni e lo metto a fare palestra a livello pesante, è sicuro che gli rovino lo sviluppo. Se invece si inizia a fare palestra gradatamente dai 18 anni in su, la muscolatura crescerà proporzionalmente alla struttura del corpo. Questo è quello che dovrebbe essere il vero significato della frase “stai attento al repertorio”. Bisogna aggiungere che oggi i tempi sono cambiati, non sono tantissimi i cantanti che debuttano giovanissimi. Io ho debuttato a 33 anni e sino al ’92 quando iniziai a studiare, non conoscevo l’Opera Lirica e nel ’95 debuttai. Voglio aggiungere che spesso, il discorso del repertorio diventa un limite per molti cantanti. Per esempio, volendo cantare Trovatore, non è necessario pensare ad un canto alla Corelli, esiste anche un modo di cantare alla Bjorling. Lo stesso Verdi scrisse che lo stesso tenore avrebbe potuto cantare Traviata, Rigoletto e Trovatore. Poi la tradizione ha portato Trovatore ad essere in repertorio ai tenori drammatici che spesso calavano nell’ Ah si ben mio. Credo che tante cose siano confuse oggi. Dobbiamo avere cura dell’organo vocale, sappiamo che i colori non sono più quelli di un tempo, i cosiddetti colori verdiani, perché prima si poteva anche allargare la voce, oggi se l’allarghi ti copre l’orchestra… insomma ci sono tanti fattori che sono cambiati.
Ogni tanto gli appassionati temono che tu possa abbandonare l’attuale repertorio a favore di ruoli più spinti. Sono paure fondate?
Si, si, hanno ragione ed ora spiego perché. Non andrò a cantare il repertorio spinto, perché non mi interessa e comunque non sono un tenore spinto, ma su questo devo aprire una parentesi: la prima volta che sono andato dal mio foniatra mi ha detto “Marcelo, tu non sei un lirico leggero, le tue corde sono spesse il doppio e il tuo apparato fonatorio nel suo complesso, è oggi da lirico pieno. Il fatto che tu riesca a cantare certe opere da lirico leggero è solamente grazie ad una grande duttilità”. Questo significa, in condizioni come la mia, che stare troppo sul leggero può anche non farmi tanto bene, perché per cantare il repertorio leggero quando si ha un apparato da lirico pieno, significa aumentare le tensioni. Non dimentichiamo che Del Monaco quando volevano fargli cantare Elisir d’amore e Don Pasquale, stava perdendo la voce e lui fortunatamente se ne accorse e si rifiutò di proseguire su quella strada.
Io ora ho scoperto un nuovo modo di cantare; l’anno scorso quando stavo per debuttare Luisa Miller al Covent Garden molti mi dicevano che era una scelta di repertorio azzardata e che mi avrebbe fatto rimanere senza voce, invece dopo quelle recite ho imparato a cantare in modo diverso perché ho proprio sentito la laringe assumere un assetto più basso; questo è merito di Luisa Miller. Ma sai qual è il mio segreto? Mi sono accorto che se non mi riescono i pianissimi qualcosa non è a posto, ma se ho i pianissimi vuol dire che tutto è corretto. Mi sono accorto che affondare non mi ha precluso la possibilità di fare i pianissimi e questo vuol dire che l’emissione è corretta e questo perché quando uno forza la prima cosa che si spacca sono i pianissimi... è ovvio che questi sono accorgimenti che con me funzionano, poi ogni cantante ha i propri riferimenti e le proprie regole.
Comunque la gente non deve avere paura. Io debutterò il prossimo anno in “Un ballo in maschera” e poi torneò a cantare il mio Werther, la mia Lucia, poi magari farò ancora qualche recita di Luisa Miller a distanza di tre anni dalle ultime recite cantate di quest’opera. In questo modo, lascio due o tre anni a maturare quello che ho debuttato. Il rischio è quando uno fa un cambio della vocalità netto, magari debuttando Tosca e poi facendo 10.000 recite nel ruolo di Cavaradossi senza abbandonarlo più. In questo modo si perde la morbidezza e la flessibilità ed io non voglio incorrere in questo errore. Io debutterò Tosca e nel 2006 Trovatore ma questo non significa che poi canterò solo quello. Debutterò Don José nel 2007 e magari il ruolo di Manrico tornerò a ricantarlo nel 2008… ragazzi io ho già 42 anni e nella vita non si può fare sempre e soltanto 12, 12 e 12, ogni tanto bisogna provare anche a fare 13 e 14. Poi magari ci si trova a dire “no, è meglio che torno a fare 12 perché mi trovo meglio”. Questo non significa che ho in testa di cantare Otello e Pagliacci… noooo, state tranquilli, sono opere che non riuscirei ad affrontare ora.
Come mai Alvarez è diventato tenore? C’è un episodio particolare che ha contribuito più di altri a farti scattare la cosiddetta “molla”?
Sono insegnante di musica, ho studiato dai 5 ai 17 anni in una scuola con specializzazione musicale. Poi ho lasciato la musica pensando che non fosse il giusto sbocco per la mia professione ed ho iniziato a studiare come commercialista. In seguito ho avuto una fabbrica di mobili e la musica l’avevo lasciata perché immaginavo che non centrasse più nulla con la mia vita. Poi nel ’91 mi venne improvvisamente voglia di cantare, non so nemmeno io perché. Mi arrivarono offerte per cantare Pop, Rock e mi piaceva, cantavo tutto come hobby ma non ero totalmente soddisfatto. Un giorno mia moglie mi disse “ma non ti piacerebbe cantare l’Opera?” ed io “boh, non lo so, è un genere che non conosco” e lei “se l’idea ti attira c’è un tenore che ti potrebbe sentire”. A questo proposta dissi “andiamo” e ci recammo insieme da questo tenore. A questa audizione il tenore mi disse “prova a cantare O sole mio” ed io “non la conosco” e lui “Torna a Surriento” ed io “mi spiace ma non la conosco, purtroppo non conosco nulla di lirica” alla fine cantai l’inno argentino che è un frammento di una opera di Panizza “Aurora”. Alla fine mi disse “si, hai qualche possibilità ma se tu pensi di lasciare la tua attività avviata per metterti a cantare sei un pazzo”… invece in quel momento io compresi che volevo a tutti i costi cantare l’Opera. Mi misi a studiare come un matto, tanto e vero che tre anni dopo debuttavo alla Fenice di Venezia. Questo perché io sono il primo fan dell’Opera… io amo l’Opera. A questo aggiungo che mi ritengo fortunato e sono convinto che il mio sia un compito che mi è stato assegnato da Dio. Il mio maestro in Argentina mi diceva “Dio ti ha dato una pietra grezza, tu dovrai pulirla per estrarre il diamante che vi è al suo interno. Se tu non pulirai questa pietra, alla fine dei tuoi giorni Dio ti chiederà “che ne hai fatto del mio dono?”” Per questa ragione io ogni giorno mi prendo cura di quel dono.
Dove ti sei formato tecnicamente e con chi?
In Argentina da una Sig.ra che si chiama Norma Risso… poverina, nessuno la conosceva. Per sei mesi mi fece fare solamente esercizi a bocca chiusa ed io dicevo “ma che razza di opera è mai questa”… e lei mi raccomandava di non avere fretta. In questo modo riuscì a mettermi la voce alta, nelle cavità facciali… e questa fu la mia voce sino al ’95, una voce molto piccola. Questa mia insegnante ebbe una pazienza che oggi hanno in pochi e riuscì a farmi capire come tenere la voce alta, così che in seguito potei focalizzarmi tranquillamente sul fraseggio senza preoccuparmi della voce. Lei aveva appreso questa tecnica da un soprano tedesco che si era trasferito anni prima in Argentina.
Quanto conta secondo te la natura?
Per il tenore tanto, per il cervello nulla, perché il cervello ti fa lavorare tante altre cose oltre alla voce. Il cantante vero per me ha solo il 10 % di voce, tutto il resto è cervello.
Hai sempre posseduto queste caratteristiche di facilità di emissione?
No! Io non sapevo di avere acuti e tutto il resto, tanto è vero che quando facevo le prime lezioni con la mia maestra non arrivavo nemmeno ad un Sol centrale con gli occhi fuori dalle orbite. Gli acuti li ho scoperti ascoltando Pavarotti. Chiuso in una camera di casa mia, ascoltavo Pavarotti immaginando l’emissione della sua gola ed in questo modo ho scoperto il passaggio agli acuti. Poi andavo dalla mia maestra e lei mi confermava le cose che avevo capito. A quel punto avevo capito come fare gli acuti ma non avevo tutto il resto infatti anche a gola fredda riuscivo a cantare l’aria della figlia del reggimento con i 9 Do. Sia ben chiaro, non si deve immaginare che io ho ascoltato una volta Pavarotti e subito ho capito come fare gli acuti. Io ascoltavo e poi provavo e riprovavo, per tanto tempo urlando come un matto, ma rendendomi conto che piano piano cominciavo a capire qualcosa.
Alla luce di recenti polemiche sull’esclusione di cantanti dovute al loro aspetto fisico, secondo te quanto conta oggi l’aspetto per un cantante?
Oggi tutto, mi spiace ma è così. Io comunque non sono d’accordo che si debba arrivare all’ultimo momento per arrivare a protestare un cantante che nel momento in cui era stato scritturato si sapeva già che era così. Io mi oppongo al potere assoluto che i registi hanno oggi nel mondo dell’opera. Io capisco che l’opera da vent’anni sta cercando nuovi stimoli anche attraverso i registi ma da vent’anni sentiamo soltanto fischi e buuu. Credo che sia arrivato il momento in cui i cantanti dovrebbero avere un pochino più di potere. Comunque siamo già un po’ più preparati perché siamo più attori, siamo in grado di saltare di correre, facciamo palestra. Anche se sembro un po’ appesantito, io faccio molta palestra per avere più fiato, per potermi muovere con agilità, per correre in palcoscenico.
Cosa fai di preciso per mantenerti in forma?
Faccio molta palestra (e mi mostra un bicipite d’acciaio da fare invidia all’incredibile Hulk) perché oggi non è più possibile assumere quegli atteggiamenti statici tipici degli artisti di qualche decennio fa... ora il regista di turno ti caccerebbe via immediatamente… è così!
Nella creazione di un nuovo ruolo quale aspetto, fra quello vocale, musicale e conoscenza del personaggio nel suo contesto storico a fini interpretativi, è quello che ti assorbe maggiormente e ti da più soddisfazione
La parte musicale! Prima di ogni altra cosa mi piace risolvere musicalmente la parte leggendo lo spartito approfondendo la relazione “orchestra – musica – parola”. Chi mi segue si sarà accorto che non sbaglio quasi mai le parole grazie appunto a questa relazione che memorizzo, tra musica – parola e momento musicale. La musica è molto legata al testo e questo aspetto mi appassiona e lo preparo molto bene. Dopo aver risolto bene la parte musicale mi piace arrivare in teatro e lavorare dall’inizio sul ruolo, come fosse la prima volta, collaborando con il regista, cercando di capire quello che vuole, ma sempre se c’è rispetto e principio di collaborazione. Non mi piace il regista che ti dice “Alvarez buttati a terra”. Io voglio che il regista mi spieghi perché mi devo buttare a terra, soddisfacendo il mio bisogno di dare un senso alle cose che faccio. Se mi viene imposto di fare un movimento o una qualsiasi altra cosa senza darmi la spiegazione necessaria, il pubblico sicuramente lo capirebbe perché apparirebbe come finzione.
Ritieni che lo spazio che ti viene concesso dai direttori e registi per esprimere il tuo animo d’interprete, sia sufficiente o a volte ti senti un po’ soffocato sul lato interpretativo?
Grazie a Dio mi sono trovato bene con tutti i direttori d’orchestra con i quali ho lavorato. Anche con lo stesso Muti nonostante lui sia una persona che vuole mostrare una grande autorità, ma spesso questa grande intransigenza è solo apparente. Muti è una persona che quando trova un artista che vuol fare veramente musica, lui ci sta. Come è stato come quando abbiamo fatto Traviata. Lui all’inizio era molto duro, ma mi ha insegnato a vedere lo spartito in maniera pulita ed è stato meraviglioso; io ho imparato tanto con lui e in seguito mi ha lasciato cantare libero di esprimere i miei sentimenti e senza pormi nessun ostacolo.
Ho un buon rapporto con tutti i direttori, perché loro sanno che io canto con il cuore e cerco sempre di dare il massimo.
E’ mai stato un problema l’impatto con il pubblico? Ci puoi svelare qualche “trucco” per “dominare” il palcoscenico?
Credo che quei cinque minuti di paura e preoccupazione prima di uscire non te li tolga nessuno. Però, prima di cominciare qualsiasi brano o aria mi dico “Marcelo, ascolta la musica” e in questo modo mi lascio trasportare e mi rilasso. Però se devo essere sincero, non ho mai avuto problemi nell’affrontare il pubblico.
Cosa ti manca maggiormente della tua Terra Argentina? E cosa hai trovato in Italia che riempie i tuoi “vuoti”, che lenisce un po’ la nostalgia per il tuo Paese?
Secondo me Argentini e Italiani sono uguali ed io e la mia famiglia stiamo molto bene in Italia. Ormai sono nove anni che siamo in Italia e nostro figlio è nato qui per cui ci sentiamo un po’ italiani anche noi. Forse un piccolo appunto che devo fare… ma lo dico da italiano, è che stiamo diventando troppo europei e questo va a scapito delle belle caratteristiche tipiche dell’italiano, di calore, amicizia, voglia di stare in compagnia. Inoltre si va troppo spesso di corsa.
Cosa fai nei momenti di relax? Quali sono i tuoi hobby?
Le mie passioni sono la palestra, i film e giocare con mio figlio e a questo proposito voglio dire che ho scelto di avere una carriera molto più europea piuttosto che americana o giapponese, non perché non mi chiamano. Ho scelto appositamente di andare una volta all’anno in America, una volta in Giappone e il resto in Europa perché in questo modo sono spesso a solo due ore di volo da casa per cui o vado avanti indietro fra le recite oppure la mia famiglia viene insieme a me non appena è possibile, perché io ho bisogno di stare vicino a mia moglie e al mio bambino
Ti pesa continuare a spostarti per lavoro?
Sai, tutti i mesi cambiare, cucina, letto, e tante altre piccole cose ma veramente importanti non è leggero… per fortuna mia moglie è sempre con me, infatti anche in alcuni filmati lei compare fra le quinte.
Riesci a ritagliarti qualche spazio per te e qualche giorno di vacanza?
Quindici giorni all’anno sono miei! A Luglio o ad Agosto dipende se c’è l’Arena o meno… comunque in quel periodo. Inoltre qualche giorno a Natale e Capodanno anche se lo scorso anno non ho potuto farli per l’improvviso impegno di Parma. Avevo prenotato dieci giorni in montagna… sigh, ah ah ah, ma mi hanno chiesto se potevo fare il favore di cantare a Parma, per cui è andata così….
Dei grandi tenori del passato quali sono quelli che apprezzi maggiormente e quale è quello che ti ha “insegnato” di più, quello da cui hai preso maggiori spunti per le tue interpretazioni?
Non sono uno che ascolta molti tenori ma se devo dire uno che mi ha colpito dalla prima volta che lo ascoltai dico Kraus poi Bjorling e anche Vanzo. Ma io non cerco di prendere spunto da qualcuno, cerco di essere me stesso.
Domanda di rito: cosa consiglieresti a un giovane che volesse intraprendere questa carriera?
Soprattutto pazienza, grande disciplina e costanza nello studio. Non pensare troppo presto alla grande carriera.
Cosa ritieni si possa fare per diffondere maggiormente la lirica tra i giovani d’oggi?
Qualcuno ha provato con le regie “innovative” ma personalmente non credo sia quella la strada giusta, infatti sempre più spesso il pubblico le contesta. Naturalmente far parte di queste produzioni non fa piacere ai cantanti i quali nel gran casino vengono, di conseguenza, quasi ignorati. Secondo me per far sopravvivere l’Opera e quindi diffonderla fra i giovani bisogna riportarla a quello che era, uno spettacolo semplice. La gente dovrebbe andare a teatro pensando che gli artisti sul palco cercano di dare emozioni, rischiando e sfidando ancora senza l’ausilio dei microfoni, così come Dio li ha portati al mondo… il canto lirico è una delle poche cose rimaste al mondo che ancora funziona senza l’uso della tecnologia. Purtroppo mi capita spesso di vedere regie orribili che portano ad affondare tutta la nave e il pubblico anziché dire “che bravo il cantante” che magari si è comportato bene, contesta lo spettacolo e il cantante lo ignora. Questo è rispecchiato anche nelle recensioni di molti quotidiani dove tutto l’articolo parla dello schifo registico e poi alla fine in due righe sono riportati tutti i commenti riservati ai cantanti del tipo “bravino il tenore e sufficiente il soprano”.
Il pubblico dovrebbe fare quanto è nelle sue possibilità per contribuire a raddrizzare la bilancia. Per esempio in spettacoli con regie assurde anziché affossare tutta la nave, andrebbe premiato a maggior ragione il cantante che è riuscito a fare qualcosa di buono, anche per far capire che la regia non è l’unica cosa che importa al pubblico. Oggi abbiamo troppa paura di esprimere i nostri sentimenti, abbiamo paura del nostro comportamento a causa di questo tecnicismo esasperato. Ci dobbiamo preparare per andare a vedere un’opera… ma una volta i nostri padri andavano a teatro senza sapere niente ma godevano ogni nota perché vivevano la musica, vivevano con la pelle. Soprattutto noi latini, dobbiamo tornare ad essere istintivi e senza tanti problemi. Questo voglio dire, torniamo ad essere genuini altrimenti l’opera morirà ed è un peccato per i giovani. Io vorrei che mio figlio ascoltasse l’opera perché io ho scoperto un’altra vita con l’opera. Io ero stressato nella vita precedente ed ora sono felice con l’opera.
Quali sono i tuoi programmi per l’immediato futuro?
Debutto Romeo a Monaco, poi vado andrò a Vienna e a Tokio farò una bella Lucia con Devia, Bruson, Colombara, Oren – Poi al Covent Garden per una eccezionale produzione di Werther… ora le controllo io le produzioni prima di accettarle perché non voglio più trovarmi in produzioni in cui è impossibile lavorare. Una volta durante una Lucia pretendevano che cantassi per tre ore completamente immerso nel fumo, al che dissi: “Ragazzi, se volete il fumo, lo fate quando io non canto e quando ci sono io lo spegnete” e tutto perché la scena era vuota per cui volevano giocare con le luci. Danilo: "Pazzesco e assurdo! Pretendere certe cose significa non avere la minima idea di quello che deve fare un cantante!"
Mi fa piacere che tu dica certe cose e mi farebbe piacere che tu lo scrivessi perché sottolinei proprio quello che viviamo. Purtroppo i cantanti non hanno più potere e non tutti si chiamano Alvarez, Fleming, insomma nomi che possono far valere le proprie ragioni; tutti gli altri devono dire SI e accettano queste produzioni pur di lavorare e poi il pubblico dice “ma che voce orribile”. Ma per forza, come si fa a cantare tre ore in mezzo al fumo!? Purtroppo i cantanti non hanno potere e sono totalmente subordinati ai registi. Per carità, ci sono grandi registi. Mai nessuno mi ha sentito o mi sentirà parlar male di Zeffirelli, di Pizzi, De Hana, ed altri davvero grandi. Ma addirittura ci sono registi che dicono “Qua non si fa un taglio” e persino il direttore sta zitto. Beh, io gli dico “io non faccio questa parte, tu fai quello che ti pare, ma io sono il cantante”. Ragazzi, ma vi sembra giusto che un regista dica “qua si taglia e la non si taglia?”…
Nel tuo peregrinare per i Teatri di tutto il mondo, ti è mai capitato di assistere a qualcosa di strano: raccontaci un aneddoto curioso!
Durante la produzione “del fumo” in un momento in cui non si vedeva nulla, si doveva chiudere il sipario ed io scappavo via… purtroppo alla fine del duetto il sipario non si chiuse ed io scappai via tra buio e fumo, cadendo in un buco profondo un metro e mezzo. Mi feci molto male ad un piede ed al collo.
Come valuti il ruolo di OperaClick nel mondo mediatico dell’Opera lirica?
Se io oggi sono qui a parlare con te è perché vedo in OperaClick l’interlocutore più valido oggi nel mondo dell’opera. Sono stufo di fare interviste dove mi cambiano le parole perché non si possono dire cose dure. Ho fatto un mucchio di interviste che poi ho visto pubblicate ammorbidite perché così non arrivava il messaggio chiaro a chi doveva arrivare. Io trovo in voi in OperaClick la voglia di chi ama veramente questo genere artistico. Inoltre avete il rispetto sia per il pubblico sia per i cantanti e questo è molto importante. Per questo auguro ad OperaClick un futuro meraviglioso perché sono convinto che sarete voi il riferimento per tutti gli italiani che vorranno sapere la verità sull’opera lirica.
Danilo Boaretto