Dall’1 luglio 2020 il Teatro Verdi di Pisa è senza direttore artistico per le attività musicali; questo non perché Stefano Vizioli, in carica sino al 30 giugno, sia giunto al termine del rapporto con il teatro pisano, sia stato licenziato o altro ancora: semplicemente, non gli è stato rinnovato il contratto, e in apparenza senza motivazioni specifiche.
Il mancato rinnovo del contratto suscita più d’una perplessità, non tanto per la figura di Vizioli in sé, per la sua preparazione, per la sua statura e - non ultimi - la serietà e la professionalità con cui ha affrontato l’incarico sin dall’insediamento, avvenuto l’1 gennaio 2017, quanto perché Stefano Vizioli è materialmente colui che ha raccolto un teatro dal passato prestigioso ormai ridotto a ordinario teatro di provincia, escluso dai maggiori circuiti nazionali e internazionali, e in soli tre anni è riuscito a risollevarlo riportandolo a essere un’istituzione di rilievo, un soggetto meritevole di interesse sia dalla prospettiva italiana sia da quella estera.
In soli tre anni Vizioli è stato in grado non solo di rinsaldare i rapporti ormai usuali del Verdi, ma di tesserne di nuovi e di elevato profilo: dallo Spoleto Festival USA (Charleston, Sud Carolina) all’Opéra Théâtre de Metz Métropole, dall’ Opéra Nice Côte d'Azur sino a Nantes Angers e Rennes nel '21 per la ripresa di Lucia, per non fare che pochi esempi. È grazie a Vizioli se, dopo lungo tempo, la critica nazionale ha fatto ritorno al Verdi, in virtù di una programmazione ricca e attraente, di allestimenti e di interpreti di livello: basti pensare all’acclamatissimo Empio punito di Alessandro Melani, con direzione di Carlo Ipata, regia di Jacopo Spirei e protagonista Raffaele Pe, all’Edipo Re di Ruggero Leoncavallo trasmesso anche da RAI Radio3 e a La voix humaine (con ripresa della regia bolognese di Emma Dante) che vedeva in scena Anna Caterina Antonacci, ambedue sotto la direzione di Daniele Agiman, all’Italiana in Algeri con scene e costumi di Ugo Nespolo. Soprattutto bisogna citare quella Beggar’s opera di John Gay con regia di Robert Carsen e ideazione musicale di William Christie che, oltre a vantare un ensemble di prestigio come Les Arts Florissants, alcuni degli interpreti più in vista nel mondo (Robert Burt, Beverley Klein e Kraig Thornber, per non citare l’intero cast) e una coproduzione con altre sedici istituzioni musicali, dal Théâtre des Bouffes du Nord al Grand Théâtre de Genève, in Italia ha toccato solo tre città: Spoleto, Novara e Pisa.
Questo è senza dubbio uno dei motivi che hanno fatto la differenza nel recare nuovo lustro al nome del Teatro Verdi: in un periodo in cui - per motivi tanto numerosi quanto eterogenei - persino le fondazioni lirico-sinfoniche hanno puntato sui titoli di cassetta, il Verdi di Pisa è stato uno dei teatri più propositivi, che più ha dimostrato non di amare il rischio ma di avere coraggio (agli spettatori, Vizioli è solito ripetere «non vi do quel che volete, ma quel che non sapete di volere»), di aver fiducia nel proprio pubblico, due “scommesse” che sono state ampiamente ripagate: Pia de’ Tolomei, Mosè in Egitto, Il Girello e i sopracitati Beggar’s opera, L’Empio punito, Edipo re e Voix humaine sono stati degli enormi successi tanto di critica quanto di pubblico, gli abbonamenti sono aumentati in modo considerevole, tanto che i tempi sarebbero maturi per pensare ad accrescere numero delle rappresentazioni (un teatro che nel 2020 si accontenta di due recite d’opera è qualcosa di impensabile).
Eppure, a fronte di tutto ciò, il contratto non viene rinnovato e senza spiegazioni. Domandarsi il perché è legittimo, soprattutto data la seria emergenza legata al coronavirus che stiamo vivendo: perché rinunciare proprio adesso, nel momento in cui il Verdi ha bisogno più che mai di una guida sicura e di un saldo timoniere, si chiudono le porte a Vizioli? Perché la Fondazione Teatro Verdi di Pisa non apre un effettivo dialogo con il suo direttore artistico? Si è parlato di rinnovare l'incarico per un solo anno, una proposta che Vizioli - per sua stessa ammissione - ha rifiutato: la direzione artistica di un teatro non può lavorare in lassi di tempo così brevi, se si vuole pensare non solo a “mandare avanti la baracca” ma anche a come far crescere e rendere viva l’istituzione, un solo anno non basta. Inoltre chi scrive, sotto a “rinnovare il contratto per un anno” legge “rinnovare il contratto per l’anno dell’emergenza covid”: al termine dell’emergenza cosa deve accadere? Vizioli deve gestire il momento più drammatico per il teatro italiano dal dopoguerra a oggi e poi far fagotto?
In realtà il quadro è - naturalmente - più complesso: nella seconda Commissione Controllo e Garanzia di mercoledì 1 luglio (la cui registrazione si può ascoltare sul sito web del Comune di Pisa), Patrizia Paoletti Tangheroni ha illustrato quali sono le strategie che intende porre in atto nei confronti dell’istituzione di cui è presidente. In sintesi: poche. La sanificazione dei locali del teatro è costosa, quindi per la riapertura si attenderà (se tutto va bene) per il 2021. Gli stagionali sono un costo, pertanto i loro contratti non verranno rinnovati; similmente, alcune forme contrattuali saranno trasformate in consulenze, in quanto meno costose. Ciò che emerge dall’intervento della presidente Tangheroni è la contestualizzazione del teatro cittadino come una serie di costi da tagliare, o meglio, da abbattere. La presidente ha altresì toccato un nodo molto importante, se non addirittura vitale: il rischio della disaffezione del pubblico allo spettacolo dal vivo, un rischio al quale è necessario porre rimedio. Se è vero che in questa affermazione altro non c’è se non veridicità, è altrettanto vero che l’unica persona ad aver fatto qualcosa in concreto per scongiurare questa disaffezione è proprio Stefano Vizioli, che ha curato e interpretato le ventuno puntate dell’Alfabeto lirico, delle «spigolature in liberà» sul mondo dell’opera. L’incisività con cui si tratta il lato economico dell’esperienza teatrale pisana lascia totalmente a latere la qualità di coloro che prestano la propria professionalità al Verdi e, diciamocelo francamente, è molto più semplice tagliare se al timone non c’è una personalità di spicco. Sta di fatto che, ad oggi, il Verdi non ha un direttore artistico per le attività musicali, Vizioli o altri, non ha una programmazione (il Fuori Teatro al Giardino Scotto ne è una prova), che le produzioni già preventivate sono a rischio e che un teatro che - finalmente - aveva iniziato a risollevarsi, rischia di essere spinto nuovamente nel fango.
Luca Fialdini