Di Aldo Bertolo, anche se non ci vediamo da moltissimi anni, sono amico. E credo che la cosa sia reciproca. Me lo scrisse su di un bigliettino che conservo ancor oggi: "Un fallito, ma amico". Si considerava fallito perché dopo 25 anni di più che onorata carriera, era entrato in quella fase in cui si passa dalla "serie A" a palcoscenici e ribalte minori. Ed Aldo, con la voce ancora intatta e svettante, considerava questo declassamento come un onta di cui non riusciva a capacitarsi. Avevamo fatto gruppo con il Maestro Francesco Ledda e dividevamo il medesimo bungalow non lontano da Coblenza nella consueta tournée di concerti in terra teutonica.
Tantissimi gli aneddoti come quando letteralmente inventammo il "risotto al vino" spacciandolo per antica ricetta mentre erano le uniche cose che avevamo in dispensa. O come quando, imitando la voce del Maestro Nicola Giuliani facemmo credere all'amico Rubens Pellizzari (bresciano DOC) di dover cantare "Vitti 'na crozza" in un’ipotetica esibizione per l'allora fantomatica Lega sud a Bitonto, peraltro cittadina fantastica. O ancora, come quando rischiai di soffocare a causa di un cucchiaino di confettura di fragole finito nelle vie respiratorie e lì appiccicatosi: io sbuffavo senz'aria ed Aldo e Francesco ridevano, credendo si trattasse di uno dei miei consueti scherzi... Apro una parentesi: quei concerti in Germania erano faticosissimi. Si trattava di cantare tutte le sere in città diverse tornando ogni notte a Coblenza. Massacrante davvero. Eppure la voce di Aldo svettava ogni sera con Favorita, Bohème e l'immancabile aria dei nove Do con la quale otteneva trionfi che noi neppure ci sognavamo. Ovviamente, da spettatore e giornalista, lo avevo ammirato innumerevoli volte a teatro: ricordo l'Adelaide di Borgogna ed i Puritani a Martina Franca, il magnifico Don Pasquale al Regio di Torino, la Sonnambula con la Anderson al Malibran a Venezia, L'ajo nell'imbarazzo a Bergamo, la Figlia del reggimento rigorosamente in italiano con la Serra a Pisa, Lorenzo nel Fra' Diavolo di Auber alla Scala e tanto altro...
Certo, non a tutti piaceva perché il timbro, nella prima ottava, era abbastanza ovattato. Raccontava lo stesso Aldo che il baritono Giorgio Gatti in occasione del suo debutto assoluto nel Così fan tutte al Regio di Torino con il suo consueto spirito toscano, celiando disse: "Bertolo, Bertolo… voce poca… ma brutta!!!" E qui bisogna intendersi una volta per tutte: ad ognuno di noi madre natura assegna una voce che è quella che è. Non si può cambiare. Però bisogna sfruttarla al meglio ed Aldo Bertolo, pur con un timbro talora discutibile, è riuscito a fare davvero miracoli. Il registro acuto era ineccepibile ed estesissimo, il fraseggio sempre elegante e, soprattutto, la sicurezza tecnica assoluta.
Non gli ho mai sentito eseguire non dico una frase, ma addirittura una nota che non fosse pensata e, foneticamente, perfetta. Aldo era conscio di questo suo limite timbrico e mi raccontava di "quante volte, oh quante" ascoltava e riascoltava Tito Schipa, il suo idolo, per carpirne i segreti. A volte riusciva, accennando, ad imitarlo ma appena aumentava il volume ed appoggiava i suoni, "tornava tragicamente Bertolo" come fantozzianamente asseriva lui stesso.
La carriera lo portò in teatri importantissimi quali l'Opéra Comique ed il Théatre du Chatêlet di Parigi, il Teatro alla Scala di Milano, il Massimo di Palermo, il San Carlo di Napoli, il Regio di Torino, l'Opera di Roma, il Comunale di Bologna, il Comunale di Firenze, l'Opernhaus di Zurigo e poi Bonn, Amburgo, Madrid, Tokyo, Atene, Dallas, Pretoria, Santiago del Cile. Lo riascoltavo quest'estate su RAI 5 nella Sonnambula spoletina del 1977 accanto alla Aliberti ed a Ferruccio Furlanetto. Ricordo che all'epoca, ad eccezione di Giorgio Gualerzi (però di parte, in quanto torinese anche lui come Bertolo), tutti inneggiarono alla protagonista per una evidente assonanza timbrica, gestuale ed interpretativa con la Callas. Ma, senza negarne il valore, al riascolto il vero trionfatore fu proprio Aldo Bertolo per la dizione, la proprietà stilistica e quegli acuti adamantini che erano il suo marchio di fabbrica.
Non estesissimo il suo catalogo discografico e quasi interamente basato su registrazioni live non sempre di ottima qualità. La mia predilezione va al suo Ernesto del Don Pasquale con Enzo Dara registrato al Regio di Torino e pubblicato più volte. Inutile dire che l'impervia tessitura è risolta con irrisoria facilità. Anche l'Adelaide di Borgogna captata dal vivo a Martina Franca è uno dei suoi dischi migliori. Ero in sala, quella sera, e ricordo i battibecchi tra i tifosi della Dupuy e quelli della Devia. Il tifo, ahimè, è la negazione dell'arte e mentre le le due bande "l'una contro l'altra armata" altercavano furiosamente, pochi si accorsero dell'elegante semplicità con la quale Bertolo risolveva i problemi di un ruolo, Ottone, tutt'altro che agevole. Gli ultimi dischi furono registrati con pianoforte per una piccola etichetta svizzera ma rendono benissimo l'idea del suo repertorio da "acutista", come amava definirsi lui stesso.
No, caro Aldo, non eri e non sei un fallito ma un grande tenore uscito dal grande giro troppo presto e con la voce ancora intatta. Ed a me resta il nostalgico ricordo di quelle tournées germaniche in cui, per ingannare il tempo dei viaggi tra una città e l'altra ci si divertiva a parlare come Yoghi (io) e Bubu (Bertolo) ed a giocare interminabili partite a Poker-dubito (un gioco fantastico e divertente) mentre il pullman ci portava da una città ad un'altra e la strada poco a poco, monotonamente ci divorava la vita...
Carlo Curami
Aldo Bertolo e Michèle Lagrange: I puritani "A te o cara" - V. Bellini - Parigi, Opéra Comique 1987
Aldo Bertolo: Don Pasquale "Povero Ernesto... e se fia" - G. Donizetti - direttore Bruno Campanella