Venere | Teresa Romano |
Ascanio | Ketevan Kemoklidze |
Silvia | Nino Machaidze |
Aceste | Donat Havar |
Fauno | Han Ying Tso |
-- |
|
Direttore | Giovanni Antonini |
Regia | Franco Ripa di Meana |
-- |
|
L’orchestra Dell’accademia del |
|
Teatro alla Scala |
|
-- |
|
Coro Dell’as. Li. Co |
|
E Dell’accademia del Teatro alla Scala |
|
-- |
|
In Collaborazione Con |
|
Accademia D'arti e Mestieri Dello |
|
Spettacolo del Teatro alla Scala |
L’ultimo titolo in cartellone per la stagione scaligera di opera e balletto 2005/2006 vede protagonisti i giovani allievi ed ex-allievi della prestigiosa Accademia d’Arti e Mestieri dello Spettacolo del Teatro alla Scala, un’istituzione giunta al sesto anno accademico e che, oltre ad organizzare una serie molto diversificata di corsi (per cantanti lirici, artisti del coro, orchestrali, ballerini, attrezzisti, parrucchieri teatrali, ecc.), promuove ogni anno il Progetto Accademia.
Tramite questa iniziativa ai giovani, preparati dai qualificati docenti dell’Accademia, è offerta la possibilità di misurarsi concretamente con la realizzazione di uno spettacolo, vivendo in prima persona l’emozione dell’allestimento di un’opera ma affrontando questa prova impegnativa con la sicurezza di poter contare sull’attenta supervisone degli insegnanti: si tratta di un’opportunità di crescita professionale molto importante che si colloca come ideale tappa conclusiva di un percorso formativo che si prefigge il raggiungimento della maturità artistica da parte dell’allievo.
La scelta del titolo da rappresentarsi di anno in anno è influenzata principalmente dalle caratteristiche vocali degli allievi del corso biennale per cantanti lirici e dalle loro particolari predisposizioni verso uno specifico repertorio; ecco allora che durante le edizioni precedenti del Progetto Accademia la presenza nel vivaio scaligero di voci idonee per il repertorio belcantistico, verdiano o pucciniano ha fatto sì che venissero portate in scena di volta in volta opere di autori appunto quali Rossini, Donizetti, Verdi e Puccini. Quest’anno il celebre soprano Leyla Gencer, che ricopre la carica di direttore artistico dell’Accademia di canto, rilevando la presenza di allievi dotati di spiccate attitudini verso il repertorio mozartiano, ha ritenuto opportuno promuovere l’allestimento di un’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, patrocinando con entusiasmo la messa in scena della festa teatrale Ascanio in Alba, titolo giovanile poco rappresentato del genio salisburghese e lavoro che si inserisce quindi come una scelta originale nell’ambito del ricco calendario di proposte per i festeggiamenti del 250° anniversario dalla nascita del compositore. Questa scelta trova un’ulteriore valida giustificazione nello stretto legame che, fin dalle sue origini, collega quest’opera con il capoluogo lombardo, infatti fu proprio presso il Regio Ducal Teatro di Milano che questa serenata drammatica venne rappresentata per la prima volta il 17 Ottobre 1771 in occasione delle fastose celebrazioni per il matrimonio tra Maria Ricciarda Beatrice d’Este, principessa di Modena, e l’arciduca Ferdinando d’Austria, terzo figlio dell’imperatrice Maria Teresa e governatore della Lombardia sotto il dominio asburgico.
La festa teatrale o serenata drammatica, sorta di commistione tra la cantata encomiastica ed il dramma per musica, consisteva in un lavoro di carattere celebrativo caratterizzato da un’ambientazione pastorale; i tributari delle celebrazioni rivivevano sulla scena in chiave allegorica ed i frequenti interventi corali lodavano le virtù morali dei dedicatari committenti dell’opera. Sapientemente adeguato alle esigenze del genere, il libretto dell’Ascanio in Alba, approntato dal poeta Giuseppe Parini, presenta una trama inconsistente, priva di sviluppo drammatico e paga di svolgere diligentemente la funzione di elogio in chiave retorica della vittoria del senso del dovere sulla pulsione erotica. I personaggi che agiscono sulla scena alludono palesemente ai protagonisti dei grandiosi festeggiamenti nuziali milanesi ed ecco che allora, sotto le celesti spoglie delle divina Venere promotrice dell’unione tra il figlio Ascanio e la ninfa Silvia discendente dalla stirpe d’Ercole, non si faticherà a riconoscere quella Maria Teresa, illuminata imperatrice d’Austria, che, proprio come la dea, promosse le nozze del figlio Ferdinando con una nobile principessa della casata estense.
Da queste considerazioni risulta evidente come non ci si possa che accostare a questo titolo inconsueto con comprensibile perplessità dal momento che sorge spontanea la domanda su quanto senso abbia realizzare oggi in forma scenica un lavoro così strettamente legato a circostanze passate tanto specifiche e così profondamente lontano dalla sensibilità del pubblico odierno. A questo interrogativo ha fornito una risposta plausibile il regista Franco Ripa di Meana, responsabile dell’allestimento dell’Ascanio in Alba scaligero, il quale ha proposto una rilettura personale della drammaturgia dell’opera evidenziando i tre punti principali che hanno orientato il suo lavoro e che gli hanno permesso di attualizzare la funzione di questa festa teatrale:
rappresentare i personaggi del dramma in chiave evolutiva, sottolineando in essi la transizione dallo stato adolescenziale a quello di individui adulti in modo da rispecchiare la condizione degli allievi della Accademia che, attraverso questa importante esperienza, potranno raggiungere la maturità artistica necessaria per affrontare la professione;
proporre una rivisitazione originale dei festeggiamenti milanesi per le nozze imperiali sulla base della descrizione degli stessi tramandataci dall’autore del libretto;
recuperare il carattere encomiastico dell’opera per celebrare la recente costruzione del nuovo palcoscenico della Scala.
Attraverso questa rilettura registica il personaggio di Ascanio viene rappresentato come un ragazzo che, stimolato dalla madre autorevole, abbandona il candido paradiso infantile di giochi innocenti in cui è collocato nella scena iniziale, per discendere sulla terra dove dovrà svolgere la propria missione: trovare la giovane promessa sposa che, come lui, abbandonerà progressivamente lo stato di innocenza in cui si trova per raggiungere, spinta dal padre, la consapevolezza delle proprie pulsioni sessuali. Durante il loro percorso di maturazione i due protagonisti si incontreranno e verranno a contatto con personaggi misteriosi (in particolare un Fauno rappresentato in chiave schiettamente erotica) che li coinvolgeranno in giochi carnali conturbanti che permetteranno ai due giovani di raggiungere la maturità recuperando, a conclusione dell’opera, le rispettive identità reali: la scena finale dello spettacolo proporrà infatti una citazione letterale dei personaggi storici che non compariranno più come Ascanio e Silvia ma vestiranno finalmente i panni settecenteschi dei dedicatari Ferdinando e Maria Ricciarda Beatrice.
L’azione pensata da Ripa di Meana si snoda in modo scorrevole sullo sfondo di un’ambientazione scenica colorata ricca di elementi simbolici che richiamano in modo ironico l’ambientazione bucolica prescritta dalle didascalie del libretto oppure lo sfarzo degli arredi settecenteschi in un gioco continuo di rimandi temporali tra periodo classico, XVIII° secolo ed epoca moderna ed in cui vengono inseriti effetti spettacolari di gusto barocco particolarmente riusciti in corrispondenza di ogni apparizione della dea Venere (all’inizio della prima parte ci viene presentata all’interno di una lussuosa carrozza ed in seguito abbandona la scena sollevata proprio sul grande lampadario della Scala che viene calato sul palco per permetterle di salirvi a bordo proprio come se fosse una meravigliosa mongolfiera; in conclusione della prima parte la ritroviamo all’interno di un palco laterale ed in seguito addirittura sfilerà nel corridoio centrale della platea per operare la miracolosa fondazione della mitica città di Alba, situazione che offre al regista lo spunto di proporre una celebrazione civile della città di Milano tramite la proiezione della facciata della Scala e di immagini che testimoniano le varie tappe della recente ricostruzione del palcoscenico del Teatro).
Dal punto di vista musicale Ascanio in Alba consiste in un classico esempio di opera a pezzi chiusi in cui si alternano brani strumentali, cori, recitativi secchi ed accompagnati ed un ampio numero di arie solistiche (la maggior parte di esse nella tradizionale forma tripartita detta con il “da capo” in cui gli interpreti dovevano dare prova di grande virtuosismo) a discapito dei rari pezzi di insieme (nell’Ascanio in Alba si segnala soltanto il terzetto conclusivo tra Ascanio, Silvia ed Aceste).
Il cast raccolto per l’occasione si è dimostrato omogeneo ed all’altezza della situazione sia per quanto riguarda la preparazione musicale dei rispettivi ruoli sia per andare incontro alle esigenze della visione registica così singolare pensata da Ripa di Meana. La parte del protagonista era affidata a Ketevan Kemoklidze, mezzosoprano acuto dal caratteristico vibrato stretto che è venuta a capo in modo convincente della scrittura vocale mozartiana (corrette le agilità e sicura l’intonazione), ma che, tuttavia, mancava un po’ di quella consistenza del registro centro-grave necessaria per affrontare questo ruolo che prescriverebbe un contralto. Infatti nei molti punti della partitura in cui la linea melodica di Ascanio permane nel settore grave, le lodevoli intenzioni interpretative della Kemoklidze non potevano esprimersi compiutamente in quanto la voce veniva completamente coperta dal suono orchestrale. Lo stesso tipo di problematica evidenziava il tenore Donat Havar che impersonava il ruolo di Aceste: anche in questo caso l’impressione comunicata dal suo canto era quella di una voce lirico-leggera impiegata in una parte troppo centralizzante per i propri mezzi. ma che in più evidenziava qualche difficoltà nelle impervie agilità mozartiane soprattutto in corrispondenza del terzetto conclusivo. Al ruolo della ninfa Silvia, affidato al soprano Nino Machaidze dal timbro gradevole e dall’estensione sicura., Mozart riserva alcune fra le pagine più ispirate dell’opera e questa considerazione risulta quanto mai indicativa della genialità mozartiana, dal momento che Silvia rappresenta una figura che, contrariamente agli altri personaggi, è dotata di un minimo di spessore drammatico, divisa com’è tra l’attrazione fisica che la spinge verso l’immagine onirica di uno sconosciuto apparsale in sogno ed il senso del dovere che la vorrebbe promessa sposa dell’altrettanto sconosciuto Ascanio. La Machaidze è riuscita ad affrontare le impegnative agilità delle sue arie con grande sicurezza concedendosi alcune puntature all’acuto molto ben risolte. Dal punto di vista interpretativo ha circoscritto il proprio personaggio ad un gentile patetismo forse facendo avvertire un po’ la mancanza di quel maggiore trasporto che le avrebbe consentito di delineare una figura più caratterizzata (per esempio nella splendida aria “Infelici affetti miei” ha insistito eccessivamente su sonorità troppo ridotte limitando fortemente la carica emotiva di questo brano).
La parte di Venere era invece affidata all’unico elemento italiano del cast, il soprano Teresa Romano, dotata di mezzi decisamente imponenti quanto ad intensità di cavata, estensione, e robustezza timbrica e dal talento teatrale sviluppato. Questa cantante ha tratteggiato un personaggio di notevole impatto grazie ad un gioco scenico molto convincente che le ha permesso di disegnare una Venere autorevole e maestosa che, tuttavia, si conquistava la simpatia del pubblico grazie alla abilità con cui inseriva nella recitazione i diversi spunti ironici suggeriti dal regista (per esempio il sorseggiare con compiacimento una tazza di the o di cioccolata nella scena finale). Dal punto di vista musicale si può evidenziare il fatto che certe eccessive aperture di suono in corrispondenza del registro grave non sono molto in linea con lo stile mozartiano e denunciano forse una maggiore predisposizione della Romano verso un repertorio decisamente successivo, tuttavia non si può negare che questo giovane soprano sia un elemento di grande interesse fra le nuove leve italiane che merita di essere seguito con attenzione.
Il ruolo del Fauno era affidato ad Han Ying Tso. Si tratta di una parte decisamente impegnativa cui Mozart affida una splendida ma impervia aria nella seconda parte: “Dal tuo gentil sembiante”, lunga e ricca di difficili colorature. La Tso, soprano taiwanese che nel suo paese ha già raggiunto la celebrità essendo la prima cantante originaria di Taiwan ad esibirsi alla Scala, è dotata di una voce lirico-leggera estesa e ben proiettata che, nonostante il timbro chiaro e dolce, corre con facilità in teatro. Ha risolto le agilità micidiali del suo ruolo con grande sicurezza conquistandosi il plauso del pubblico al termine delle sue due arie. Dal punto di vista scenico ha aderito completamente alle lettura registica di Ripa di Meana disegnando un personaggio decisamente scandaloso sia per la natura ermafrodita che per gli ostentati eccessi erotici.
Buona la prova del Coro dell’As. Li. Co. e dell’Accademia del Teatro alla Scala, semplici e funzionali i movimenti coreografici ideati da Giorgio Mancini ed entusiasmante per omogeneità e pregevolezza timbrica l’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala guidata con sicurezza dal direttore Giovanni Antonini che ha saputo recuperare con abilità alcuni occasionali sbandamenti ritmici. Al termine della recita il teatro affollato ha riservato applausi prolungati per tutti con punte di particolare entusiasmo per il direttore d’orchestra, la Machaidze, la Romano e la Tso.
Fulvio Zannella