Mustafà | Paolo Pecchioli |
Elvira | Liudmila Zhiltsova |
Taddeo | Alessandro Battiato |
Isabella | Manuela Custer |
Lindoro | Giovanni Botta |
Haly | Davide Rocca |
Zulma | Nadia Engheben |
Regia | Aldo Masella |
Orchestra Sinfonica Carlo Coccia |
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Coro del Teatro Coccia |
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Direttore | Enrico Reggioli |
Produzione Teatro Coccia |
"Chi non ride e resta serio e riservato, sarà una seria e degnissima persona, ma da compiangere." Con questo sintetico ma efficace inciso lo scrittore Riccardo Bacchelli coglieva l'essenza della comicità talvolta al limite della follia che aleggia un po' dovunque nello spartito e nel libretto de L'Italiana in Algeri, decimo lavoro di Rossini, presentato nel maggio del 1813 al Teatro San Benedetto di Venezia. E' davvero difficile dargli torto, quest'opera è sempre in grado di restituire allo spettatore, anche il più distratto e distaccato, il buon umore o quanto meno, a scacciare per un paio d'ore dalla testa i pensieri della routine di tutti i giorni, grazie all'inventiva musicale del genio pesarese, la cui fantasia crea figure talmente ben congegnate che è improbabile rimanervi indifferenti. La proposta del Teatro Coccia di Novara, unico titolo buffo della stagione operistica, ha colto nel segno con un allestimento di piacevolissimo impatto visivo, grazie in particolare alla luminosità delle scene ed al felice accostamento dei colori, cui ha comunque risposto anche una più che discreta resa sotto il profilo strettamente musicale. A dirigere le operazioni dal podio è stato chiamato il maestro Enrico Reggioli che si è distinto per una sostanziale correttezza nella scelta dei tempi e delle dinamiche orchestrali, anche se qualche volta si sarebbe gradito qualche stacco più mosso (mi riferisco in particolare al finale primo), assistito da un'orchestra in discreto stato di forma, salvo qualche inciampo occasionale (e qui è di rigore una tiratina di orecchi al corno che si è esibito in un pasticcio fuori programma nella splendida introduzione alla prima aria di Lindoro), riuscendo comunque a mantenere un buon rapporto con i cantanti e creando la giusta verve che deve necessariamente caratterizzare la lettura di questo spartito: nota di merito particolare la scelta di non aver operato alcun taglio, né nelle ripetizioni delle arie (tutte eseguite con daccapo variati, più o meno interessanti) né nei recitativi, riproposti in tutta la loro interezza e questo è un giusto tributo all'arte di Rossini, oltre ad essere di grande utilità per una migliore fruibilità della vicenda da parte di un pubblico che non sempre si suppone venga a teatro preparato. Protagonista di questa messa in scena novarese una cantante praticamente di casa, piemontese di Trecate, Manuela Custer: la voce di questo contralto non credo possa definirsi bella da un punto di vista squisitamente timbrico, in particolare evidenzia una certa tendenza a perdere in armonici nelle note più centrali della tessitura, oltre ad essere di volume piuttosto ridotto, ma l'artista sopperisce ai suddetti limiti con una grandissima musicalità ed un eccellente buon gusto nella scelta delle variazioni. Paradigmatica in questo senso la pregevole esecuzione della grande scena del secondo atto "Per lui che adoro", sicuramente il suo momento migliore, in cui ha saputo trovare i giusti colori e la sensibilità adeguata per differenziare l'aspetto amoroso e patetico del personaggio, immediatamente contrastato dalla furbizia ed arguzia tipicamente rossiniane, che sono un po' la cifra dominante del ruolo di Isabella; bene anche la scena finale "Pensa alla patria", dove ha dato sfoggio di una più che sufficiente sicurezza nell'affrontare i passaggi di agilità con una bella puntatura acuta a chiusura dell'aria ed in genere positive anche le scene d'assieme. Da rilevare la bella presenza scenica (che non guasta mai, specie in un ruolo del genere) e la disinvoltura con cui ha saputo muoversi sul palcoscenico. Di buon livello anche la prova del basso Paolo Pecchioli nel ruolo di Mustafà: il timbro é decisamente interessante, le agilità sono a posto, ben fluide e snocciolate con precisione, e questo è un merito non da poco per una voce che comunque non ha nelle sue peculiarità una propensione naturale per un simile tipo di canto, ragguardevolissimo il registro acuto (non posso fare a meno di ricordare i tre passaggi al termine delle strofette del Pappataci, in cui è richiesto al basso di eseguire proprio sulla parola Pappataci uno scabrosissimo intervallo di nona discendente, che parte da un sol acuto, intervallo che ha creato qualche problemino quanto meno dal punto di vista dell'emissione della nota acuta al baritono, mentre è sembrato scivolare via senza alcun imbarazzo per il basso). Ottima la presenza scenica, anche se un po' in controtendenza rispetto a quanto di solito siamo abituati a trovarci di fronte per il ruolo del Bey: altro che bassotto e grassoccio, in questo caso credo che Isabella avrebbe potuto tranquillamente rimanere conquistata dalle grazie di questo simpatico sultano alto e dalla bionda chioma fluente. Discreto il Taddeo di Alessandro Battiato, dalla voce piuttosto chiara e con la tendenza ad esaltare un po' troppo l'aspetto macchiettistico del personaggio, ma sostanzialmente corretto e funzionale nei suoi interventi, a posto la Zulma di Nadia Engheben e l'Haly di Davide Rocca, che ha eseguito la sua aria di sorbetto con il giusto colore. Completamente spaesata dal contesto generale il soprano Liudmila Zhiltsova, subentrata all'ultimo momento alla prevista Linda Campanella, indisposta, il vero anello debole della catena era il tenore Giovanni Botta. Si sa che Rossini non è mai stato particolarmente tenero con la corda tenorile ed il ruolo di Lindoro credo sia uno dei più impegnativi, pur nella sua sostanziale brevità, per l'insistenza quasi ossessiva della tessitura nelle zone più alte del pentagramma, tuttavia il giovane cantante napoletano è risultato del tutto inadeguato per un simile impegno e solo la clemenza del pubblico novarese gli ha permesso di concludere la serata senza particolari danni: per la cronaca, comunque, l'aria del secondo atto è passata sotto totale silenzio. Niente di particolare da segnalare per quanto attiene all'impostazione registica che si è limitata a ben gestire i movimenti degli interpreti, con qualche isolato richiamo a mossette e gags tipiche di questo repertorio, ma senza mai soverchiare la musica che, come giustamente ha osservato il regista nelle note di sala, già da sola crea la vera forza comica dello spettacolo. Successo di cortesia, senza toni particolarmente accesi al termine della recita da parte di un pubblico piuttosto freddino, che non gremiva del tutto la sala. Prossimo appuntamento in chiusura della stagione con l'attesa accoppiata Cavalleria e Pagliacci che vedrà il ritorno sulla scena di Tiziana Fabbricini nel ruolo di Santuzza.
Vittorio Zambon