Il Conte | Simon Keenlyside |
La Contessa | Veronique Gens |
Susanna | Patrizia Ciofi |
Figaro | Lorenzo Regazzo |
Cherubino | Angelica Kirchschlager |
Marcellina | Maria Mclaughlin |
Basilio,curzio | Kobie Van Rensburg |
Bartolo,antonio | Antonio Abete |
Barbarina | Nuria Rial |
Collegium Vocale Gent |
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Concerto Köln |
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Pianoforte | Nicolau De Figueiredo |
Direttore | René Jakobs |
Harmonia Mundi France - 2004 |
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3 Cd |
Le “Nozze di Figaro”, ovvero la risposta in musica (con implicazioni politiche meno evidenti) de “Le Mariage de Figaro” di Beaumarchais, ovvero il primo tassello del “Trittico” della felice accoppiata Mozart/ Da Ponte, primo atto di una tra le più ciniche commedie umane, dove l’amore viene messo in gioco in tutte le sue possibili declinazioni e in questo gioco ben pochi ne risultano vincitori.
Un classico e come tutti i classici sempre difficile da interpretare, specie nell’ambito di una così nutrita discografia (solo in cd ne esisteranno almeno una trentina di versioni, partendo dall’edizione Busch del 1934 a quella più recente di Abbado del 1994).
Il direttore belga René Jakobs ritorna così a Mozart, dopo la felice interpretazione del più amaro “Così fan tutte”, a capo di una compagine tra le più valide e indiavolata nell’ambito degli strumenti originali.
Con Jakobs siamo sempre pronti a tutto, spesso le sue interpretazioni possono essere discutibili o estreme, come il suo Haendel iperbarocco, le sue dinamiche contrastatissime, il profluvio di abbellimenti e ornamentazioni, che in parte avevano caratterizzato la visione drastica e feroce del “Così”; invece fin dall’Ouverture e dal primo duetto, si vede che rientriamo dentro binari più “canonici”.
E’ lo stesso direttore, nelle note di copertina, a dichiarare che le “Nozze” sono un’opera neoclassica, dove tutto è all’insegna della spontaneità e dell’immediatezza drammaturgica.
Mai fu data così tanta attenzione e cura ai recitativi, che risultano non manierati e affettati come nella maggior parte delle esecuzioni, ma dosati, naturali, sempre aderenti alla parola e al contesto scenico.
In questo è complice e promotore la presenza costante del pianoforte (del sempre ottimo e fantasiossimo de Figuerido) che di volta in volta, ora ironico, ora civettuolo, ora languido, ora brillante, dialoga con gli attori allo stesso livello e crea una continuità logica tra recitativo e canto.
Mai parola e musica furono così intimamente connesse, imprescindibili l’una dall’altra, complementari in continuo scambio dialettico.
Prendiamo ad esempio la scena del giudizio, che si apre con tutto uno sghignazzare sulfureo dei vari “cattivi”, scelta rischiosa, sul filo sottile del cattivo gusto, ma che qui risulta pienamente giustificata, tanto avviene in modo naturale, quasi da attori consumati e che a me ricorda tanto il cicaleccio anarcoide delle maschere nell’Arlecchino strehleriano.
Una versione che per certe caratteristiche mi sento di accomunare alla teatralissima edizione di Giulini, solo in un’ottica più moderna (a gravare,là, era la leziosità di una Schwarzkopf e qualche gigionata pur godibilissima di un Taddei).
Il cast aderisce appieno alle indicazioni del direttore, e si offre come uno tra i più omogenei e affiatati, non vanta personalità carismatiche e debordanti (salvo un’eccezione eccellente), ma anzi proprio nel lavoro di assieme, in un gioco scatenato di complicità, che i limiti individuali vengono assorbiti .
L’eccezione di cui sopra è il Conte magnifico di Keenlyside, morbidissimo, felino, seducente e carismatico, uno tra i meglio cantati e tra i più fascinosi.
Ottima la coppia “popolare” di Regazzo e della Ciofi, che infondono umanità e simpatia ai loro personaggi.
Più incolore la Gens, ma è quasi impossibile, a mio avviso, rendere l’iperuranica e femminea dolcezza della Contessa.
Solido il canto della Kirchschlager, ma anche lei, come la Gens, si trova alle prese di uno tra i personaggi più complessi del repertorio mozartiano.
Cherubino incarna l’eros, o meglio, la scoperta febbrile dell’eros, in tutte le sue contraddizioni, in un vero e proprio “risveglio di primavera” alla Wedekind.
In passato abbiamo avuto la visione passionale di una Ludwig,la sontuosità di una Cossotto, la dolcezza di una Von Stade o l’incantevole freschezza di una Bartoli e la Kirchschlager semplicemente svanisce, risolvendoli compito con compita diligenza.
Persino le gustose variazioni al celeberrimo “Voi che sapete” risultano sì corrette, ma anche molto scolastiche, senza il febbrile abbandono, l’ambigua sospensione, la sensualità a fior di pelle che dovrebbero invece caratterizzare il brano.
Spinosissima sempre la questione dei comprimari, in questa edizione risolta da interpreti spigliati ed efficaci, capeggiati dall’istrionismo sapidissimo di van Rensburg; anche se non riescono a far rimpiangere le prove fulgide di un Ercolani, di una Casula, di un Cappuccilli o, per parlare di tempi più recenti, di un D’Arcangelo.
Un’edizione da conoscere e da gustare tutta d’un fiato, rapinosamente, in una folle giornata e che fa solo sperare bene per un nuovo Don Giovanni di cui sentiamo ancora il bisogno.
Marco Fornengo