Conte di Luna | Franco Vassallo |
Leonora | Svetla Vassileva |
Azucena | Tea Demurishvili |
Manrico | Vincenzo La Scola |
Ferrando | Mirco Palazzi |
Ines | Milena Josipovic |
Ruiz | Cristiano Olivieri |
Un Vecchio Zingaro | Stefano Cescatti |
Un Messo | Matteo Barca |
Regia, Scene, Costumi | Pier Francesco Maestrini |
Su Progetto Scenografico di Vincenzo La Scola |
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Maestro del Coro Marco Faelli |
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Orchestra e Coro Della Fondazione Arturo Toscanini |
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Maestro Concertatore e Direttore | Roberto Rizzi Brignoli |
La luna piena, regina della notte e simbolo di una casata, si spezza in due tronconi che solo alla fine della lunga, feroce vicenda, si ricongiungeranno. Azucena porge, spietata, al Conte il medaglione che Manrico, “tratto al ceppo”, le ha gettato, come suo estremo ricordo e che s’incastra perfettamente con quello che ha al collo lui: l'uccisore di suo fratello. E' un'altra sfida vinta questo Trovatore che si dipana con grazia sul piccolo palcoscenico di Busseto. Quattro quadri, venti scene: c'è tutto. Senza impianti ipertecnologici da "vi stupiremo con i nostri effetti speciali”, senza trasposizioni artificiose, ma con il piacere di raccontare che viene da libri di favole di antichi bambini, dove le montagne sono azzurre e aguzze, le torri dei castelli altissime e merlate, e intorno svolazzano nere cornacchie, e ardono fiaccole. La magia del teatro vive di cose semplici. Tra due alte muraglie difensive scorrono, sul fondale, disegni animati, e i personaggi ci vivono dentro passando fluidamente da una scena all’altra, con effetto quasi cinematografico, rendendo questa trama complicata inaspettatamente semplice e fruibile. La favola di due fratelli (si capisce subito, nel duello, che lo sono: portano al collo lo stesso medaglione) divisi da bambini, del loro amore per la stessa donna e di una zingara tormentata dalla sua ossessione.
La favola di un tenore che pensa a Manrico da così tanti anni che, quando trova un teatro che glielo propone, è così preparato da osare perfino suggerire, vedendolo realizzato, il progetto scenico del suo debutto. E forse per questo Vincenzo La Scola in tale cornice ci sta benissimo. La bella voce da autentico lirico, che mai forza verso altre strade espressive, il fraseggio elegante da vero trovatore, costruiscono un malinconico, affascinante antieroe. Infatti è bravo con la spada come con il liuto, ma non abbastanza cattivo da vincere – non ha ucciso in duello l’ignoto fratello – e per questo è destinato a perire. Si spegne, infatti, nel buio della torre il luminoso acuto che conclude il suo assalto. Il Conte, interpretato da Franco Vassallo, è tutt’altra cosa. Uomo d’azione, atteggiamento vincente. Eccessivo, a tratti, ma – è pur sempre il fratello del lirico Manrico – quando si guarda dentro trova accenti bellissimi. La romanza attaccata in pianissimo cresce dolcemente, come un sentimento che si fa strada nel cuore, fino all’emozione di “Ah! l'amor, l'amore ond'ardo”, e questo bel momento conferisce al personaggio grande spessore umano. Svetla Vassileva, invece, come Leonora è sembrata a disagio. Già nell’aria d’ingresso “Tacea la notte placida” manca l’afflato dei grandi legati che dovrebbero rendere palpitante il racconto del primo incontro. Manca la piccola sosta estatica, che, spezzando la frase, alla ripetizione di “al cor” racconta l’emozione. Il soprano - quando non incorre in incidenti vocali – non ha il necessario peso specifico per esprimere la passionalità, la fermezza di carattere, la determinazione di Leonora: uno dei quattro monoliti su cui si regge la vicenda. Tea Demurishvili, gia incontrata come Azucena nel Trovatore 2001 del Regio di Parma, conferma la sua interessante lettura. Una zingara introspettiva, che quando è preda delle sue ossessioni, sembra quasi rinunciare alla brillantezza del fraseggio, che è invece sbalzato con drammaticità a partire dal duetto con Manrico. Il suono è a volte disomogeneo, ma sempre ottimamente controllato e il personaggio non ha mai cadute di stile. Nemmeno nell’originale finale, in cui, per prolungare l’atteso momento della sua vendetta, consegna lentamente, sul crescendo vibrante degli archi, il medaglione di Manrico al Conte, dicendogli, quasi senza emozione “Egli era tuo fratello”.
Buona anche la prova di Mirco Palazzi come Ferrando. Il timbro è chiaro, quindi l’immagine trasmessa è forse un po' troppo giovanile rispetto al personaggio interpretato, ma il basso canta con piglio sicuro e credibile autorevolezza. Risolti felicemente i ruoli di contorno, affidati a Milena Josipovic (Ines), Cristiano Olivieri (Ruiz), Stefano Cescatti (un vecchio zingaro) e Matteo Barca (un messo).
In uno spazio angusto com’è quello di questo affascinante teatro, può risultare difficile calibrare il peso di coro e orchestra. Riescono bene nell’impresa Marco Faelli, perfetti gli zingari del secondo atto, e Roberto Rizzi Brignoli, che paga un po’ caro, a volte, il necessario sfoltimento della compagine orchestrale. Classici, di ispirazione tardo-medievale, i costumi, curati, così come le scene, dal regista Pier Francesco Maestrini, a cui l’esiguità del palcoscenico ha suggerito movimenti limitati ed azioni simboliche, che, in pieno accordo con l’effetto scenografico, hanno creato momenti di suggestione e poesia.
Patrizia Monteverdi