Ernani | Roberto Aronica |
Don Carlo | Giovanni Meoni |
Don Ruy Gomez Da Silva | Giorgio Surian |
Elvira | Alessandra Rezza |
Giovanna | Teresa di Bari |
Don Riccardo | Fulvio Oberto |
Jago | Carlo di Cristoforo |
Regia, Scenografia e Costumi | Pier Luigi Pizzi |
Orchestra e Coro del Teatro Filarmonico |
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Direttore Marco Armiliato |
Nel 1830 vede la luce “Hernani”, il dramma di Victor Hugo che per anni sarà considerato uno dei vertici della letteratura romantica; che dunque di più avvincente di una donna contesa fra tre uomini sullo sfondo di esaltanti vicende storiche?
Il trentunenne Verdi, che dopo il trionfo di “Nabucco” e dei “Lombardi” si trova a vivere quelli che egli stesso definirà “anni di galera”, coglie immediatamente il potenziale teatrale del testo del Vate Francese.
Verdi, come sarà sempre suo carattere, prenderà in mano le redini della stesura del libretto, affidato a Francesco Maria Piave, il quale, da allora in avanti, sarà il fedele esecutore della volontà drammaturgica del grande Bussetano in molte occasioni, e farà apportare poche modifiche al dramma di Hugo, del quale mantiene tutti gli elementi essenziali, accentuando però il carattere “corale”, dando vigore alle masse, “risorgimentalizzandolo”.
Particolare attenzione Verdi dedica, guarda caso, al vecchio Silva, facendone il motore dell’azione, colui dal quale dipendono le sorti degli altri protagonisti; Don Ruy Gomez è un vecchio solo, amareggiato, conscio dell’avanzare degli anni e tuttavia nobilmente indomito, altero nella sua intransigenza, implacabile nella vendetta.
Silva è dunque, nell’esemplare percorso di evoluzione compositiva del Maestro, il precursore di altri due giganteschi “vecchi”: Fiesco e Filippo.
“Ernani” è un’opera di connotazione fortissimamente “popolare”, intesa nell’accezione più alta del termine, è un dramma a tinte forti, di sentimenti assolutamente definiti, di interventi appassionati delle masse; la musica è sanguigna, talvolta forse troppo, ma lo scopo è trascinare, coinvolgere, galvanizzare la platea, e tutto questo la rende assolutamente esaltante.
“Popolare” tuttavia non va confuso con “volgare”: l’eleganza assoluta dei concertati è inoppugnabile, gli aspetti più marcatamente sentimentali sono trattati con la perizia estrema che diventerà perfezione nelle prove successive.
Per quanto sopra esposto “Ernani” risulta opera di difficile allestimento, a partire dalla scelta dei protagonisti; occorrono voci eroiche e sentimentalmente appassionate ad un tempo, voci a tutto tondo, capaci di piegarsi duttilmente all’accento verdiano in tutte le sue sfaccettature; lo stesso Verdi, se si eccettua il debutto veneziano, non fu mai pienamente soddisfatto delle seguenti riprese, soprattutto per quanto attiene al tenore: ecco il motivo per il quale “Ernani” è uno dei titoli meno rappresentati della produzione verdiana.
A Verona, in tempi moderni, l’unica rappresentazione delle vicende del nobile bandito vide la luce all’Arena ne 1972, protagonisti Franco Corelli, Ilva Ligabue, Piero Cappuccilli, Ruggero Raimondi…fu un successo.
Anche l’ “Ernani” proposto ieri sera al Filarmonico è stato un trionfale successo, ma ce ne chiediamo il perché.
Lo spettacolo, il cui allestimento è totalmente firmato da Pierluigi Pizzi, è francamente bruttino, ed è bruttino perché Pizzi, che ci ha avvezzati a ben altre prove, sembra non crederci nemmeno per un momento.
I protagonisti si muovono a casaccio, il coro pare precipitato sulla scena per sbaglio, il tutto è sciattino e sfilacciato: una non-regia.
Insignificanti anche le scene, una serie di scale rosse che sembrano costruite coi mattoncini Lego e di praticabili malverniciati, sui quali si avventurano perigliosamente i cantanti; anonimi i costumi, rossi anch’essi.
Un sorriso lo strappa il Finale terzo, nel quale Silva fa la questua col cappello in mano tra i congiurati ai piedi di una statua orante che tutto sembra fuorché Carlo Magno.
Non meglio è andata sul versante musicale.
Marco Armiliato sceglie come cifra interpretativa un “tutto forte, tutto piatto” che esalta gli aspetti “pomponnier” della partitura trascurando di fatto quelli più intimi, che sarebbero di gran lunga i migliori: non un momento di abbandono, non un “rubato”, non una smorzatura, il tutto unito ad una costante tendenza a correre davanti alle voci; gli archi poi, insieme ai legni, sono sacrificati sull’altare degli ottoni, i quali costituiscono una presenza sempre troppo ingombrante.
Per quanto attiene al canto, dobbiamo, fortunatamente, rilevare la buona prova di Alessandra Rezza, Elvira. Il giovane soprano laziale ha una voce torrenziale e ben timbrata, agilità sicure ed una spavalderia che le consente di affrontare con sicurezza anche i passaggi più insidiosi. Crediamo che un maggiore approfondimento del personaggio la porterà nel tempo a risultati anche migliori
Bene anche il Silva di Giorgio Surian, una vera sicurezza sul palcoscenico; la
caratterizzazione del personaggio è intensa ,la voce è ancora tornita e piacevolmente brunita. Peccato che la regia lo condanni quasi sempre all’immobilità.
Giovanni Meoni ha sostituito all’ ultimo istante l’indisposto Vladimir Stoyanov e ha tratteggiato, con la sua voce non sgradevole, ma assai piccola e molto chiara, un Don Carlo “intimistico”. Onore a lui per aver comunque salvato la serata.
Roberto Aronica non ha, purtroppo, le caratteristiche vocali richieste ad Ernani; se pure si applica a livello interpretativo la sua prova non è sufficiente. Non si può non rilevare la sua continua tendenza a calare e le difficoltà di emissione che si sono evidenziate sempre più nel corso della serata. Peccato.
Buoni i comprimari: Fulvio Oberto, Don Riccardo, Carlo Di Cristoforo, Jago, e anche Teresa Di Bari, Giovanna.
Davvero bene il coro, che fa progressi ad ogni rappresentazione
Alla fine, come gia accennato sopra, ovazioni per tutti, ma proprio per tutti.
Alessandro Cammarano