Musiche per il cinema o colonne sonore: è riduttivo parlare della musica di Ennio Morricone in questi termini? Direi di no. Quando la musica costituisce non già supporto bensì parte integrante di una produzione cinematografica, tale che non si riesca a pensare all’uno in termini separati dall’altro, in altre parole quando la mente umana visualizza all’istante una stessa o più immagini simili sentendo un brandello di melodia, allora siamo nel campo della vera arte, della creazione musicale autonoma di nome, giustappunto, musica per il cinema o colonna sonora.
Da musicista e direttore d’orchestra a tutto tondo (giova ricordare la sua formazione orchestrale sotto la guida di Goffredo Petrassi), Morricone ha sempre scritto le sue musiche come composizioni per orchestra, eventualmente poi arrangiate a seconda delle esigenze filmiche che si potevano presentare.
Si è spesso detto che l’opera lirica “popolare”, quella di melodie che catturano l’attenzione dell’ascoltatore anche più refrattario a questo genere perché il genio del compositore dà loro un germe, un quid capace di affascinare, sia finita con la Turandot di Puccini. Che sia vero o no la musica nella sua accezione più ampia ha invece trovato in Morricone il nuovo interprete della bellezza collettiva, capace di rendere di nuovo immediatamente riconoscibile un suono orchestrale al pari dei geni di tutti i secoli: chi non riconosce come un qualcosa di ancestralmente proprio l’attacco della Quinta di Beethoven magari anche non sapendo cosa sia e chi l’abbia composta? Bene, lo stesso senso di appartenenza ancestrale lo suscitano l’immortale attacco del tema principale de Il buono, il brutto, il cattivo, il vocalizzo di C’era una volta il West, il ricamo dell’oboe sotto la possanza del coro di The Mission.
Con Morricone scompare quindi non solo un grande musicista, ma forse davvero l’ultimo apostolo della musica come essenza primordiale, che tocca i cuori e le menti dell’uomo.
Domenico Ciccone