L’ufficio Pubbliche Relazioni del Teatro Verdi di Trieste, nella persona della dott.sa Nicoletta Cavalieri, mi aveva avvertito: “Si faccia accompagnare da qualcuno della portineria dal Dr. Fanni, perché è molto facile perdersi, nei corridoi del Teatro.”
Così ho fatto, all’andata, ma purtroppo c’è sempre un ritorno, e per fortuna una gentile ed anonima signora mi ha aiutato ad uscire, altrimenti avrei dormito in qualche sottoscala.
Comincio così, dalla fine, questo mio resoconto dell’interessante ed istruttivo pomeriggio passato con Umberto Fanni, Direttore Artistico del Teatro triestino.
Dr. Fanni, credo non ci siano dubbi sul fatto che lei sia la persona giusta al posto giusto, vista la sua formazione professionale e culturale. Mi permetta di chiederle: lei ha “studiato” da Direttore Artistico o la vocazione è arrivata dopo?
Guardi, io nasco come pianista, ed amo tuttora il pianoforte: mi sono diplomato al Conservatorio di Brescia con il M° Orizio ed in seguito mi sono perfezionato a Ginevra. La lirica fa parte del mio background culturale perché fin da bambino ascoltavo opere in continuazione, Verdi in particolar modo. Mio padre mi portava a teatro ed io ho amato subito questa forma d’Arte.
A fianco dell’attività di pianista a livello professionale, che ho svolto fino ad un decennio fa, ho fatto anche alcuni concerti con una giovane Cecilia Gasdia, nel 1985; al Conservatorio di Darfo Boario Terme (sede staccata di Brescia) ero insegnante di pianoforte nel corso di canto e questo mi ha permesso di acquisire una certa dimestichezza con le voci.
Quindi, il sogno di poter dedicare la mia passione e le mie energie in questo settore, esiste da sempre.
Contemporaneamente ho studiato la programmatica della gestione degli enti lirici in Italia. Sono docente all’Università Cattolica di Milano sul tema della Progettazione, ed insieme al prof. Trimarchi abbiamo organizzato un master, che si chiama proprio “Music and Opera Management” legato alle problematiche degli enti lirici italiani ed esteri. Da tutto ciò è nato uno studio legato non solo alla tematica artistica ma anche alla questione gestionale: rapporti con le agenzie, il ciclo produttivo di un’opera teatrale, uscire dalla cosiddetta tradizione con metodologie tecnologiche innovative.
Anche regie?
Sì ho svolto anche l’incarico di Direzione Artistica in alcuni Teatri ove si svolgeva attività di prosa, mentre il mio primo impegno nel mondo della lirica è stato al Teatro Grande di Brescia, che fa parte del Circuito Lirico Lombardo.
Credo di poter affermare che in questi anni si è fatto un buon lavoro sulle produzioni lombarde, sia come allestimenti sia come cantanti che partecipano agli spettacoli.
Giovedì prossimo debuttiamo a Brescia con Madama Butterfly, che è una ripresa dello spettacolo del 2000 con la regia di Hiroki Ihara e, nel ruolo del titolo, abbiamo Liping Zhang, cantante cinese straordinaria, che ha appena interpretato il ruolo alla Royal Opera House di Londra. L’ottica è quella di affiancare professionisti di valore consolidato e debuttanti dal potenziale considerevole.
Questa sua descrizione mi dà l’occasione per porle una domanda che era in “scaletta”:
Agenzie, “croce e delizia”, si può dire così? (Sorride alla mia domanda, piuttosto sornione).
Oggi come oggi il rapporto con i cantanti e quindi con i loro agenti è essenziale, ma credo sia importante raggiungere un equilibrio. Gli agenti non si possono bypassare, laddove è possibile chiudere un contratto si firma, nel rispetto della recente normativa legata ai tetti sui top fee; aldilà di questa circostanza, io in ogni caso mi rifaccio alle indicazioni del sovrintendente, il Dott. Zanfagnin, che esige qualità produttiva nel rispetto di un piano generale di risparmio. L’indicazione è una riduzione del 15% del budget dello scorso anno. Penso di poter sostenere che abbiamo ottenuto un buon risultato; consideriamo anche il pieno rilancio e successo del “Festival dell’Operetta” che era praticamente scomparso ed il buon impulso dato alla stagione sinfonica.
Inoltre, dal mio insediamento ad oggi, ho effettuato 280 audizioni di giovani cantanti e credo che qualcuno di questi possa essere “spendibile” per un inizio di carriera importante.
Sì, la stagione di Trieste è molto apprezzata, nelle discussioni tra appassionati, come peraltro quella dell’anno scorso. Poi, è chiaro che i cast, i cantanti sono oggetto di continue discussioni tra i melomani.
Una curiosità: il suo collega Brian Dickie, Direttore del Chicago Opera Theater ha aperto un blog (http://briandickie.typepad.com/my_weblog/) dove racconta ciò che fa per mandare avanti il teatro. Lei ci ha mai pensato? Che rapporto ha con la Rete?
Io utilizzo tantissimo la Rete perché è uno strumento fondamentale. Sono, ad esempio, abbonato ad OperaClick, è uno strumento che uso moltissimo, lo trovo molto utile e credo sia un luogo d’incontro di pareri ed opinioni fondamentale, soprattutto c’è la possibilità di verifica delle proprie sensazioni, in un mondo come quello della Lirica che vive di confronti: avere un contatto quotidiano con ciò che succede in Italia e all’estero è fondamentale per confermare o modificare le proprie opinioni sui cantanti e direttori.
Inoltre leggo i blog, ad esempio Il Sottoscala (http://lavoratoriscala.splinder.com/): insomma trovo che, aldilà di qualche considerazione personale piuttosto fastidiosa nei siti che non sono moderati, si riesca a captare un po’ l’umore che circonda uno spettacolo o una determinata situazione specifica.
Quindi, se ho inteso bene il suo pensiero, lei ritiene che una pluralità di voci sia necessaria, in un momento che c’è una specie di “attacco”al chiamiamolo così, giornalismo indipendente, da parte di quello ufficiale?
Sì perchè io non vedo neanche una grande distinzione tra le due parti in conflitto: come ci sono situazioni discutibili ed altre interessanti da parte del giornalismo ufficiale dei grandi media, così succede anche nel mondo della Rete.
In particolare, è molto interessante attingere a più fonti perché oggi c’è la tendenza a mettere alla gogna un artista per una serata storta: magari quella sera aveva problemi familiari, o stava male, il giudizio definitivo, e non vale solo per la lirica, non ha senso.
Ha mai pensato di aprire un suo spazio in Rete?
No, non ci ho mai pensato, non tanto per mancanza di tempo, ma soprattutto perché vedo che poi è molto difficile gestire con professionalità il tutto: il blog di Beppe Grillo, ad esempio, ha raggiunto ormai numeri tali che mi fanno dubitare che abbia la possibilità materiale di gestirlo personalmente.
Passiamo ad altro. La strada per uscire dalla crisi economica che attanaglia il mondo dell’opera, è quella delle coproduzioni?
È anche quella delle coproduzioni, ma non solo quella. Io credo, anche qui, che il concetto di “rete” sia fondamentale. Coproduzione significa incontrarsi sulla scelta di un titolo tra più teatri, e di solito questa scelta è piuttosto estemporanea. Quello che serve è un progetto culturale coordinato e ciò oggi in Italia accade raramente per non dire proprio che questa sinergia è inesistente.
Perché?
Tra i vari Direttori Artistici non c’è una strategia comune: troppo spesso, anche per una comprensibile ambizione professionale, si tende a sopraffare l’interesse particolare, senza tenere conto delle esigenze precipue di ognuno. Bisognerebbe, qualche volta, fare un passo indietro a favore della Musica e del progetto comune. Ci sono delle intenzioni propositive, però, al momento, non vedo un’immediata ricaduta concreta di queste buone intenzioni.
Affrontiamo un discorso spigoloso. Lo sciopero della Scala: qual è la sua opinione in merito?
È assolutamente ovvio che i lavoratori debbano essere tutelati dai contratti di lavoro, ma non può essere il punto centrale della strategia di un ente lirico; occorre agire cum granu salis, fare qualche volta un piccolo passo indietro in favore di una causa più alta, in questo caso verso il pubblico. Non voglio fare demagogia spicciola, ma il pubblico è una delle componenti fondamentali del teatro lirico, in Italia ed altrove: se nessuno viene a teatro, cade tutto.
Il pubblico, però, dovrebbe essere più responsabile, nel senso che è vero che si tende a riversare la colpa, in caso di disservizi, ai sovrintendenti, ai direttori artistici, alle agenzie o quant’altro, però a volte c’è una posizione piuttosto passiva. Il teatro e i luoghi ove si produce cultura in generale dovrebbero essere delle realtà strettamente legate al territorio, non appartenere per esempio al Verdi, al Direttore Artistico, o all’artista che canta una sera, perché questi elementi inevitabilmente mutano nel tempo.
Quindi non è solo una difesa un po’ ristretta del momento contingente, il Verdi di Trieste esiste da 206 anni, si tratta di difendere i diritti dei lavoratori ma anche quelli dei nostri figli e dei figli dei nostri figli i quali, si spera, diventeranno il pubblico del futuro.
Al pubblico è stato imposto quest’atteggiamento, che è anche il motivo per cui i titoli cosiddetti di repertorio sono ormai ridotti ad un paio di decine, mentre nel novero della produzione artistica la scelta è sterminata, enorme; gli impulsi al cambiamento, diciamo così, devono venire dal “basso”.
Trieste, da questo punto di vista, credo si possa dire sia all’avanguardia, nel passato spesso si sono allestiti spettacoli almeno inconsueti o rari. Lei ha intenzione di proseguire su questa strada, mi pare di capire.
Certo, la strada da seguire è quella di proporre un giusto mix di titoli desueti, particolari, e altri di cassetta, ma guardi che è proprio il pubblico che lo chiede, attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione: lettere, sondaggi di fine stagione, ad esempio. Vorrei che Trieste divenisse un polo d’attrazione di spettatori anche da altre città d’Italia e dall’estero, per la sua proposta culturale.
Per quanto riguarda il ’900 ad esempio, non solo nella lirica ma anche nella sinfonica vorrei proporre Compositori che sono poco eseguiti. Insomma, i due titoli di quest’anno, “Trouble in Tahiti”ed i “Sette Vizi capitali” non rimarranno un caso isolato.
Bene, parliamo un po’ di lei come appassionato, più che come dirigente di un teatro: quali sono i suoi Compositori preferiti?
Sì, come già detto all’inizio il mio imprinting si rifà a Verdi, ma amo moltissimo anche Janacek, che peraltro non sono ancora riuscito a mettere in cartellone, ed i compositori russi, forse per i miei studi pianistici. Sa, molto probabilmente una quindicina d’anni fa Trieste era considerata l’estremo oriente dell’Italia, oggi invece è al centro dell’Europa e, nello spirito che le dicevo prima di legame con il territorio, spero di dare forma concreta a questi miei gusti personali.
C’è qualche cantante che vorrebbe portare a Trieste in particolare, un suo sogno nel cassetto?
Io preferirei non fare nomi, ma piuttosto garantire il mio impegno di rivolgermi ad artisti che mi assicurino professionalità e capacità di trasmettere emozioni, e queste caratteristiche non coincidono sempre con il “grande nome”. Il pubblico merita rispetto anche per questo, si rende conto perfettamente di quando un cantante è sul palco per fare il suo compitino, anche se non ha la preparazione tecnica per valutare la voce, la freddezza, la genericità, si nota subito.
Il Verdi di Trieste quest’anno propone un importante debutto: Eva Mei, splendida Amina l’anno scorso, si cimenta nel “Roberto Devereux”. Questa scelta è molto discussa tra gli appassionati, come si è arrivati a quest’esordio?
Guardi, io le ho proposto quest’opzione e lei ci ha pensato molto. Dopo lunga riflessione ha detto sì, che ci vuole provare perché sente il personaggio. Si rende conto che è un passo importante ed anche rischioso, ma se una cantante intelligente come Eva ha deciso d’intraprendere questo rischio, io sono sicuro che lo farà a ragione veduta. Certamente non mancheranno, alla luce di quello che ho detto prima, emozioni sul palco.
Immagino che lo stesso discorso valga per Alessandra Marianelli, che sarà Fiorilla l’anno prossimo, anche se per lei non è un debutto vero e proprio.
Io sono andato a sentirla a Pesaro, prima di confermare la sua presenza al Verdi, e devo dire che mi ha molto impressionato. È giovanissima, ha cantato qui una splendida Zerlina l’anno scorso, ed ha potenzialità enormi. Certo, non ha l’esperienza e la maturità per questo ruolo, al momento, ma le premesse per una lettura consapevole del personaggio ci sono tutte, immagino che avrà anche approfondito il ruolo, dopo Pesaro.
Invidia, si fa per dire, qualche suo collega che può disporre di budget più elevati e quindi disporre di cantanti più famosi, che magari s’esibiscono con più facilità a Milano invece che a Trieste?
Sinceramente non ci ho mai pensato, il mio motto è hic et nunc: ovviamente mi tengo informato, ma non do valenze positive o negative alla circostanza specifica. La vera sfida è che il lavoro che si svolge sia apprezzato. Un lavoro che viene espletato naturalmente non solo dal sottoscritto ma innanzitutto dalla tenacia e passione del Sovrintendente Zanfagnin e da tutti coloro che collaborano nella struttura del Teatro Verdi.
Come sono i suoi rapporti con i media?
Sono sempre stati molto buoni. Spero che la programmazione d’alcuni titoli richiami qualche critico da fuori Trieste, in maniera che ci sia un ritorno d’immagine utile per quel progetto che le dicevo prima, vale a dire fare di Trieste un polo culturale sì inserito nel territorio, ma anche proiettato all’esterno.
C’è collaborazione con le altre realtà culturali in regione?
I rapporti sono molto buoni. Noi da anni organizziamo delle uscite col Verdi a Pordenone, Udine e Gorizia, nell’ambito di una politica culturale regionale programmata.
Il futuro del Festival dell’Operetta?
Stiamo lavorando per il prossimo Festival, nel 2008. Oltre a due classici, stiamo preparando un lavoro nuovo con il Politeama Rossetti, sul quale per ora vorrei non entrare in particolari, ma le anticipo che saranno coinvolti un noto attore di prosa ed un altrettanto noto compositore.
Vorrei, in conclusione, che questo teatro fosse sempre più aperto alla città, ed è un risultato al quale tengo molto; un modo per raggiungere questo obiettivo è la stretta collaborazione anche con il teatro di prosa.
Ecco, questo il resoconto della piacevolissima chiacchierata con Umberto Fanni, Direttore Artistico del Teatro Verdi di Trieste.
Dopo questa conversazione, mi sono reso conto che si tratta proprio “dell’uomo giusto al posto giusto”.
Non mi resta che auguragli buona fortuna.
Paolo Bullo