A pochi giorni di distanza dalla sua prima rappresentazione a Maribor, Filippo Tonon, regista del nuovo allestimento de La Gioconda di Amilcare Ponchielli, è già al lavoro a Verona per le prove dello spettacolo che debutterà al Teatro Filarmonico il 23 ottobre, prima tappa di una coproduzione tra Fondazione Arena, il circuito lirico lombardo e il Teatro Massimo Bellini di Catania. Incontro Filippo durante una pausa tra una prova di regia e l’altra, e ho modo di chiacchierare con lui e fargli qualche domanda sull’allestimento.
Questa non è la tua prima produzione che fai a Maribor e che viene esportata con successo in Italia. Quando è iniziata questa collaborazione?
Ho iniziato con Hugo De Ana, nel 2008, con La traviata, come suo assistente alla regia e alle scene, di cui ho ripreso i suoi allestimenti de La vedova allegra nel 2012 e de La sonnambula nel 2018. È stato proprio grazie a lui che ho conosciuto questa realtà che ha tanta voglia di dare e di mettersi in gioco. La mia prima produzione da regista a Maribor è stata nel 2016, Turandot, poi Il trovatore nel 2017, Nabucco nel 2018. Nel 2019, anno in cui abbiamo portato tutte le maestranze di Maribor al Teatro Verdi di Padova la produzione di Turandot, non solo mi è stato proposto di fare un’altra produzione, ma mi chiesero inoltre di decidere un titolo. Confesso che ero molto indeciso su quale scegliere, ma pensando che dovevamo farlo nel 2021, anno in cui cadeva il 145° anniversario della prima assoluta de La Gioconda, mi sono detto che sarebbe stato il titolo perfetto, soprattutto tenendo conto che era previsto come spettacolo inaugurale della stagione e mi era stata chiesta un’opera che coinvolgesse tutti i settori, tra cui il Corpo di Ballo che hanno a Maribor. All’inizio erano molto sorpresi, perché è un titolo che non rappresentavano da molto tempo, ma si sono lasciati convincere anche perché, considerando che nel 2026 ricorreranno i 150 anni dell’opera, avranno in repertorio uno spettacolo da riproporre per l’occasione. Da lì si sono aggiunte prima Verona, poi il Circuito lirico lombardo e infine Catania, quindi quella di Gioconda si è rivelata una scelta decisamente vincente…
Come hai concepito questo allestimento? La nostra rivista ha già recensito la prima rappresentazione a Maribor ed è rimasta piuttosto incuriosita dalla collocazione temporale diversa rispetto a quella indicata nel libretto.
Lo spostamento d’epoca è dovuto a due cose principali. La prima è stata appunto l’occasione, purtroppo mancata, di celebrare il 145° anniversario dell’opera ambientandola nell’anno della sua prima rappresentazione. La seconda è la musica, che lego totalmente all’anno in cui è stata composta. Personalmente, non riesco a immaginarmi quelle parole, quel testo e quelle frasi musicali nel Seicento. È troppo legata al contesto culturale in cui è nata: Boito usciva dalla Scapigliatura, in quell’anno c’è il Naturalismo francese che porta al Verismo in Italia, la coraggiosa fuga di Laura dal marito inoltre mi ha fatto pensare che proprio negli anni Settanta dell’Ottocento si consolida il movimento femminista, che parte come rivoluzione del costume, abbandonando quegli stretti corsetti che spesso portavano alla morte chi li indossava. Nel libretto poi sono presenti parole molto forti, come “ribrezzo” e “corpo”, e Ponchielli stesso nel finale fa lanciare a Barnaba “un grido soffocato”: un’opera che si conclude con un urlo! Può essere forte questa dichiarazione, ma per me Gioconda è quasi un’opera verista, e così la tratto. Per questo ho scelto di ambientarla l’8 aprile del 1876, esattamente l’anno in cui è stata composta.
Come sei riuscito a giustificare drammaturgicamente questa trasposizione temporale? I riferimenti al Seicento sono comunque evidenti, penso alla presenza del Doge, o al linciaggio che rischia la Cieca perché accusata di stregoneria…
Innanzitutto, La Gioconda non è un’opera politica. Non mi sono fatto quindi particolari problemi per l’assenza del Doge, figura per altro già assente in Angel, tyran de Padue di Victor Hugo, che infatti non è ambientata a Venezia. Un Doge può essere qualsiasi figura politica di riferimento, anche attuale o contemporanea all’epoca in cui la ambiento, ma non è comunque uno dei protagonisti, che rimangono Barnaba, Gioconda, Enzo, Laura, Alvise…Gioconda è un intreccio amoroso, non c’è uno sfondo politico. Il concetto di strega, invece, è molto relativo, cambia di epoca in epoca. Nell’ultimo secolo, quasi settant’anni fa una donna in Val di Susa veniva riconosciuta come strega e uccisa per questo motivo. Documentandomi per un allestimento di Trovatore, ho scoperto inoltre il caso di una governante tedesca condannata per stregoneria perché la bambina che accudiva a cui aveva appena offerto un biscotto si era messa a piangere (ma la bambina invece non è morta!). Quindi, il concetto della “strega” non è certo un concetto solamente medievale o seicentesco, è ancora molto attuale.
A livello scenico, che tipo di allestimento hai concepito?
Quello che il pubblico vedrà è una Venezia decadente: i marmi delle Procuratie e della Biblioteca Marciana anneriti dalla pioggia, dall’umidità, dal tempo…è una Venezia corrotta, dove il male lavora senza mai fermarsi e sceglie a chi far del male. Barnaba d’altronde fa questo: è il Male allo stato puro, spia sempre, non smette mai di lavorare (“Io qui rimango a far l’ufficio mio” - “E ridi, e vigila, e canta, e spia”). La scena rappresenta quindi la corruzione di questa Venezia malata, con degli elementi scenografici rovinati e sconnessi, come la pavimentazione, una copia ingigantita della trabeazione del cornicione di Palazzo Ducale, che, appoggiandosi sul palcoscenico, piomba sul popolo e lo schiaccia, e in proscenio la riproduzione della Bocca del Leone, che rimane sempre lì, sotto i piedi di tutti.
La Gioconda è famosa soprattutto per la celeberrima Danza delle ore: come ti sei posto nei confronti dei momenti coreografici? Non pensi che questi divertissement possano far crollare la potenza teatrale e drammaturgica dell’opera?
No, anzi. Sia la Furlana che la Danza delle ore, con la loro funzione di alleggerire la trama e di intrattenere il pubblico, creano il giusto contrasto tra la loro leggerezza e il dramma in corso per sorprendere il pubblico in maniera più drastica e inattesa. La festa della Ca’ d’Oro deve assolutamente rimanere tale, e la tragedia torna in scena solamente con l’arrivo di Barnaba che si trascina dietro la Cieca.
Martino Pinali