Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
- michele_gallo_55
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Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
A celebrazione dei 150 anni dalla sua nascita - A. Schönberg nacque giusto il 13 settembre 1874 - sono in programma nell'area di Milano rappresentazioni celebrative:
alla Scala "die Gurrenlieder" e per MiTo il lavoro giovanile "Pelleas e Melisande", entrambi le composizioni sono da ascrivere al primo suo periodo romantico.
In attesa dei commenti all'ascolto dei concerti, vorrei condividere una breve e succosa nota sull'autore, reperita su BR
https://www.br-klassik.de/aktuell/news- ... t-100.html
augurandomi possa risultare interessante anche per altri che seguono il forum (la funzione "Traduzione" dal browser è di aiuto)
Riporto poi il link per lo streaming dei Gurrenlieder diretti a Monaco da Sir Rattle nello scorso aprile, con la orchestra Isarphilarmonie ed il coro della TV bavarese
https://www.br-klassik.de/concert/ausst ... 25884.html
Questa di Sir Rattle potrebbe servire come termine di paragone per quanto si sentirà alla Scala, il coro ospite dovrebbe essere il medesimo
alla Scala "die Gurrenlieder" e per MiTo il lavoro giovanile "Pelleas e Melisande", entrambi le composizioni sono da ascrivere al primo suo periodo romantico.
In attesa dei commenti all'ascolto dei concerti, vorrei condividere una breve e succosa nota sull'autore, reperita su BR
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Questa di Sir Rattle potrebbe servire come termine di paragone per quanto si sentirà alla Scala, il coro ospite dovrebbe essere il medesimo
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MGL
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Re: Schönberg _ Gurrenlieder ed altro
Molto bello l’articolo, che ricorda come Schönberg non abbia abiurato la tonalità in sé , scrivendo composizioni tonali anche dopo l’adozione del suo sistema dodecafonico. Non dà però molto rilievo ai Gurre-Lieder , che è il compimento massimo del traghettamento dal sistema tonale a quello dodecafonico, sintesi di tutta la storia musicale occidentale di area tedesca da Bach (il contrappunto) a Wagner (il dramma) a Strauss (il Lied). Il contrappunto: basta pensare alla prima pagina dell’opera con gli archi alti divisi in dieci parti (i Gurre-Lieder sono ancora oggi una partitura che non ha uguale : scritta su carta da musica a 48 parti che il compositore fece creare apposta perché non esistente); il dramma: la composizione serve su un piatto d’argento una messa in scena mentale, tutta la prima parte è un duetto d’amore che ha nel “Tristano e Isotta” (anche tematicamente) il suo modello e negli ultimi versi di Tove (“Denn wir gehn zu Grab wie ein Lächeln,ersterbend im seligen Kuß”) addirittura il “Siegfried” con il “ leuchtende Liebe, lachender Tod!” di Brünnhilde, un duetto che parte dall’attesa (i primi due Lied) giunge all’arrivo e all’amplesso (terzo e quarto Lied) e infine al presagio commiato e epicedio (quinto sesto settimo ottavo e nono Lied affidato alla voce della colomba nel bosco); la seconda parte un’invettiva contro Dio fondata sull’intervallo di quarta aumentata, quindi una bestemmia da parte di Waldemar, la terza parte una cavalcata di morti dove, sempre con il fondamento della quarta aumentata che diventa “tema del destino” dalla Quinta di Beethoven, si assiste quasi scenicamente e visivamente alla ricostruzione materica delle ossa sepolte in uno scheletro animato (grazie allo xilofono che da Saint-Saens in poi è destinato ad evocare macabri scricchiolii e tocchi d’ossa) e il coro di Morti ingressa tematicamente riferendosi a quello dei Guerrieri della Gotterdämmerung (le note alle parole “ Lokes Hafer gebt den Mähren,michele_gallo_55 ha scritto: ↑13 set 2024 14:48A celebrazione dei 150 anni dalla sua nascita - A. Schönberg nacque giusto il 13 settembre 1874 - sono in programma nell'area di Milano rappresentazioni celebrative:
alla Scala "die Gurrenlieder" e per MiTo il lavoro giovanile "Pelleas e Melisande", entrambi le composizioni sono da ascrivere al primo suo periodo romantico.
In attesa dei commenti all'ascolto dei concerti, vorrei condividere una breve e succosa nota sull'autore, reperita su BR
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Riporto poi il link per lo streaming dei Gurrenlieder diretti a Monaco da Sir Rattle nello scorso aprile, con la orchestra Isarphilarmonie ed il coro della TV bavarese
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Questa di Sir Rattle potrebbe servire come termine di paragone per quanto si sentirà alla Scala
wir wollen vom alten Ruhme zehren” sono la
citazione alle parole “Da Hagen der Grimme” del “Männerchor” wagneriano ), mentre poeticamente e letterariamente all’equipaggio dell’Olandese Volante (e alla fine Valdemar è l’Olandese, nè più nè meno, condannato dalla sua bestemmia in eterno a evocare ogni notte un esercito di morti senza pace, come racconta il Folle che di quella armata di ossa e teschi ricomposti fa parte: la donna che toccherà a Valdemar di incontrare, dopo Tove sarà la redentrice Senta). Nella terza parte la “nuova musica” irrompe con lo Sprechgesang (notevole da parte di Chailly la scelta di affidare la parte a un cantante invece che a un attore, perché le altezze delle note, che devono essere sì solo accennate, ma esistenti, sono esatte e scritte chiaramente in partitura e un attore è portato a recitarle e a non cantarle, con nocumento esecutivo). Il trionfo finale è affidato alla tonalità , in Do maggiore, solare per eccellenza.
Vi può essere anche una lettura autobiografica dei “Gurre-Lieder” su modello dell’Heldenleben di Strauss: l’artista che celebra se stesso come innovatore portando la musica e la sua storia oltre una nuova frontiera: il sorgere del sole finale è anticipato nei primi interventi della tromba a inizio opera , in arpeggio discendente (battuta 16, seconda tromba in FA sol sib la), che echeggiano letteralmente l’apertura dello Zarathustra di Strauss, ma in chiave speculare. Non sorge il sole, tramonta nel crepuscolo, quindi l’arpeggio è discendente e non ascendente come l’Einleitung del poema sinfonico straussiano (la musica e il giorno volgono alla fine , verso la notte del disfacimento, dell’amore e della morte; si annega nel “Tristan”!), solo al termine, dopo lo Sprechgesang , trionfa in un nuovo sole, ma, e qui è lo splendido paradosso, nel fulgore del Do-maggiore tonalissimo e da Schönberg mai rinnegato.
Per quanto riguarda la documentazione discografica i Gurre-Lieder è una delle partiture meglio rappresentate. Tutte le registrazioni a me note (non in ordine di preferenza Sinopoli, Salonen, Stenz, Abbado, Mehta, Ozawa, Rattle, Chailly) sono di altissimo pregio e tutte mettono in evidenza un lato della partitura . Le apprezzo tutte e tutt’oggi la versione di Ozawa a Boston (un live Philips del 1979) rimane per me la più curiosa e stupefacente perché trovo ad ogni riascolto sempre incredibile come un direttore avulso dalla civiltà musicale tedesca (e occidentale tout-court) e dalla sua lingua abbia potuto trovare per esclusiva via musicale una sintesi sonora di tale appropriata e abbagliante essenzialità drammatica, fascino sonoro ed elegante asciuttezza cameristica nell’accompagnamento liederista. Ascoltare i “Gurrelieder” con Ozawa è come rivivere la sua “Elektra” al Maggio Musicale Fiorentino di diversi anni fa.
- michele_gallo_55
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
Dal punto di vista musicologico certo una composizione di pregnanza tale da disorientare.
Nato nei primi del '900 ma completato dopo un decennio, il decennio di grande svolta per la musica occidentale, del quale mi sembra superfluo richiamare nomi ed eventi. Decennio anche di grande travaglio personale dell'autore: abbandono da parte della moglie che gli aveva scelto il suo stesso amico pittore , ritorno sofferto della moglie, successivo suicidio del pittore, pensiero ricorrente di suicidio dello stesso Schönberg, scusate se è poco.
Come potrebbe tutto questo non lasciare traccia nel completamento della composizione, al di là delle pure intenzioni musicali originali dell'autore ?
Ad un ascolto di oggi, che di tutto questo può tenere conto oppure lo può trascurare per occuparsi solo dell'esito musicale, cosa rimane?
Ad ognuno la sua risposta. La mia meraviglia per la grandiosità dell'impianto, per la stupefacente orchestrazione e ricchezza di tinte, si scontra con la scarsa qualità letteraria del testo musicato, che certamente non viene migliorata dalla sua traduzione nei sovratitoli.
Anche se il testo originale è danese quindi tradotto in tedesco, cosa ne avrebbe detto un redivivo Goethe , nella sua figura di fondatore e garante della letteratura tedesca moderna , di quella diluizione di figure retoriche, di deboli e protratti richiami naturalistici, anche del richiamo a elfi e trolls. Certo ci sono di mezzo i concetti cardine del romanticismo di matrice tedesca, la esaltazione della epica medioevale nordica, la solita vicenda di passione d'amore adulterina che si converte in morte, in questo caso subentra anche una critica al divino (Nietzsche era già comparso nell'orizzonte letterario a legittimare il principio...) ed alla fine un senso di rinascita (e finalmente e solo negli ultimi cinque minuti canta il doppio coro femminile di almeno 60 elementi, prima muto).
Sono pochi quelli che colgono un chè di non risolto e frammentato in tutta questa grandiosità di mezzi e di intenti, al di là della mirabile capacità compositiva ?
Questa frammentarietà mi è parsa di sentirla anche nella resa esecutiva nella seconda rappresentazione di ieri, la tensione della trama narrativa non era, per il mio ascolto, sempre così tesa.
Le piccole sbavature degli ottoni, grazie al cielo, non mancano mai alla Scala ed anche ieri non sono mancate. Forse andrà meglio con la terza rappresentazione (o la quarta oppure la quinta, se ci fossero, oppure mai).
Poi, certo, nota di merito generale va fatta al complesso degli esecutori, con una eccezione di gradimento per il soprano che interpretava Tove, la cui voce non si espandeva in sala come sarebbe stato opportuno con tutto ciò che le si trovava alle spalle, togliendo morbidezza ed importanza al personaggio.
Suggerirei, a chi fosse interessato all'oggetto, di dare uno sguardo alla guida all'ascolto a cura di Roman Vlad, anche per sorvolare più velocemente sul mio zoppo post.
https://www.flaminioonline.it/Guide/Sch ... ieder.html
Nato nei primi del '900 ma completato dopo un decennio, il decennio di grande svolta per la musica occidentale, del quale mi sembra superfluo richiamare nomi ed eventi. Decennio anche di grande travaglio personale dell'autore: abbandono da parte della moglie che gli aveva scelto il suo stesso amico pittore , ritorno sofferto della moglie, successivo suicidio del pittore, pensiero ricorrente di suicidio dello stesso Schönberg, scusate se è poco.
Come potrebbe tutto questo non lasciare traccia nel completamento della composizione, al di là delle pure intenzioni musicali originali dell'autore ?
Ad un ascolto di oggi, che di tutto questo può tenere conto oppure lo può trascurare per occuparsi solo dell'esito musicale, cosa rimane?
Ad ognuno la sua risposta. La mia meraviglia per la grandiosità dell'impianto, per la stupefacente orchestrazione e ricchezza di tinte, si scontra con la scarsa qualità letteraria del testo musicato, che certamente non viene migliorata dalla sua traduzione nei sovratitoli.
Anche se il testo originale è danese quindi tradotto in tedesco, cosa ne avrebbe detto un redivivo Goethe , nella sua figura di fondatore e garante della letteratura tedesca moderna , di quella diluizione di figure retoriche, di deboli e protratti richiami naturalistici, anche del richiamo a elfi e trolls. Certo ci sono di mezzo i concetti cardine del romanticismo di matrice tedesca, la esaltazione della epica medioevale nordica, la solita vicenda di passione d'amore adulterina che si converte in morte, in questo caso subentra anche una critica al divino (Nietzsche era già comparso nell'orizzonte letterario a legittimare il principio...) ed alla fine un senso di rinascita (e finalmente e solo negli ultimi cinque minuti canta il doppio coro femminile di almeno 60 elementi, prima muto).
Sono pochi quelli che colgono un chè di non risolto e frammentato in tutta questa grandiosità di mezzi e di intenti, al di là della mirabile capacità compositiva ?
Questa frammentarietà mi è parsa di sentirla anche nella resa esecutiva nella seconda rappresentazione di ieri, la tensione della trama narrativa non era, per il mio ascolto, sempre così tesa.
Le piccole sbavature degli ottoni, grazie al cielo, non mancano mai alla Scala ed anche ieri non sono mancate. Forse andrà meglio con la terza rappresentazione (o la quarta oppure la quinta, se ci fossero, oppure mai).
Poi, certo, nota di merito generale va fatta al complesso degli esecutori, con una eccezione di gradimento per il soprano che interpretava Tove, la cui voce non si espandeva in sala come sarebbe stato opportuno con tutto ciò che le si trovava alle spalle, togliendo morbidezza ed importanza al personaggio.
Suggerirei, a chi fosse interessato all'oggetto, di dare uno sguardo alla guida all'ascolto a cura di Roman Vlad, anche per sorvolare più velocemente sul mio zoppo post.
https://www.flaminioonline.it/Guide/Sch ... ieder.html
Ultima modifica di michele_gallo_55 il 17 set 2024 19:23, modificato 6 volte in totale.
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
Soprano che dovrebbe interpretare Brunilde nel Ring prossimo venturo.michele_gallo_55 ha scritto: ↑17 set 2024 08:14... con una eccezione di gradimento per il soprano che interpretava Tove, la cui voce non si espandeva in sala come sarebbe stato opportuno con tutto ciò che le si trovava alle spalle, togliendo morbidezza ed importanza al personaggio...
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
Segnalo che nel programma di sala dello spettacolo veneziano in cartellone questa settimana è contenuta una breve intervista a Nuria Schönberg Nono con un gustoso racconto dei rapporti tra suo padre e la sua nonna materna, che per un breve periodo abitò con figlia, genero e nipoti nella stessa casa di Los Angeles. La vecchia Viennese le diceva "tuo padre cambia religione come ci si cambia la camicia", e questi replicava di non sopportare che gli mancasse di rispetto...
Purtroppo mi sembra che, diversamente da qualche tempo fa, i programmi di sala della Fenice non siano piú resi liberamente disponibili nel sito del teatro poco dopo la fine delle recite, ma che possano essere consultati solo «su richiesta». Quelli piú recenti sono ritornati ad essere di buona qualità, sebbene ancora lontani dal livello altissimo dell'epoca Chiarot.
Si ce que je dis ne vous plaist pas, je ne scais qu'y faire. C'est moi, pourtant, qui exprime la vérité (JC, d'après GTdL)
τί μοι σὺν δούλοισιν;
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
Fu già detto e scritto allorchè Riccardo Chially li diresse al Concertgebouw di Amsterdam nel febbraio scorso, e li porta nel cuore da tutta una vita in musica: la sua lettura dei Gurre Lieder è un vertice mondiale assoluto contemporaneo (e non solo) della direzione e dell'interpretazione musicale.
Schoenberg "apre" il Novecento, secolo di drammi di vita e rivoluzioni artistiche, con questo divino affresco quasi indefinibile (opera, cantata, oratorio laico-religioso, fiaba-leggenda? Tutto!) che dall'identità ancora tonale e melodica si proietta nel futuro che lo stesso autore scriverà.
Organismo di suoni della Natura e dello Spirito, una "struttura di suoni e colori" allo stesso tempo fluida e definita. Baluiginii di tinte che si fanno corpo musicale, per narrare la leggenda (e qui culmina tutta una tradizione) : tutto è costruito sui suoni, Natura e Poesia. Di tutta questa materia Chailly è interprete allo stesso tempo lucidissimo e identificato, la governa eppure vi entra portandola ad un grado di bellezza sonora, sfumature (prima parte) e poi incandescenza (tutta la seconda parte, fino alla luce totale dell'inno al sorgere del sole).
E come un "organismo di Natura in musica" suona e narra, stupefacente, l'Orchestra della Scala. Giustamente premiata ad Amsterdam nei mesi scorsi dall'Award per l'opera, pone la sua natura, la sua stessa "teatralità", ed il calore di un suono di morbidezza e tinte calde che ne fanno l'identità unica, a totale servizio dell'impresa. E' un ascolto sensazionale e andrebbero citati tutti proprio tutti. Facciamo qualche nome: le due file, sterminate ed eccezionali, dei legni, al cuore il clarinetto vellutato di Fabrizio Meloni. La tromba dorata di Marco Toro. L'intera favolosa sezione percussioni. Luisa Prandina e le due colleghe arpe, uno splendore. La tenerezza del suono del violino di Francesco De Angelis. Gli archi tutti, segnatamente l'episodio fantastico dei celli. Gli ottoni oggi una vera squadra compatta e sicura (l'era-Chailly). Ma tutti, davvero.
I cori della Scala e della Radio Bavarese danno bellissimo contributo poetico-timbrico anche se (non è colpa loro nè di alcuno) la pure preziosa e benvenuta scatola acustica (che fu essenziale nell'Ottava di Mahler) manda un po' indietro e "schiaccia", in alto sotto il soffitto nella struttura, le voci specie maschili, ma la Scala è come è, ha dei limiti strutturali forse insormontabili.
I cantanti, nell'ordine: il favoloso sprechgesang, nell'immaginifico "bestiario" della seconda parte, di Michael Volle che compie un miracolo dichiaratoci da Chailly stesso: "quasi mai, nell'esecuzione di quel passo straordinario dei Gurre Lieder, la voce cantante-parlante riesce ad andare in sincrono con l'orchestra sottostante. Volle, fenomenale, ci riesce a perfezione". Vero, e del resto parliamo di una leggenda vivente del canto. Okka von Damerau, splendida densità vocale e poetca nel lungo, divino lamento della prima parte. Andreas Schager-Waldemar, nella voce i segni di una carriera gloriosa ma, intatti, il canto sulla parola e la dizione consapevole del testo. Norbert Ernst, vicalità penetrante ed incisiva come Klaus Narr. La grande Camilla Nylund, pur nella bellezza del timbro non pare nel miglior momento, intenzioni non pareggiate da una vocalità non più (o non ora) fermissima. Ma è un dettaglio, in una esecuzione e lettura poetica complessiva di lancinante bellezza che definire storica non è retorico.
Con una nota conclusiva. L'esito sancisce il livello raggiunto dai complessi scaligeri sotto la direzione di Riccardo Chailly (e spiace per Christian Thielemann che ha rinunciato a dirigerli: ci perde lui!) Quale che sia il futuro, chiunque abbia a succedergli, la gratitudine, i meriti acquisiti sul campo (ultimi anni di totale identificazione, dalla Salome in epoca di pandemia e Quinta di Beethoven in poi, nell'opera ed in concerto) e, appunto, il livello attuale, esigono ed impongono la nomina a Direttore Emerito a Vita. Si proceda, subito. E' un atto dovuto. Anzi, naturale. Ineludibile
marco vizzardelli
PS1 - Quello di ieri sera sarebbe stato il mio unico ascolto, per doveri di lavoro che impongono il rientro in Alto Adige i prossimi giorni. Sarei dovuto partire questo pomeriggio, ma il riascolto si impone. Partirò domani all'alba, ma anche questo è un atto dovuto e voluto e di gratitudine alla bellezza dei Gurre-Lieder in se stessi e a quella della stratosferica lettura-esecuzione!
PS2 - La conclusione dei Gurre Lieder, il sorgere del sole, è di una bellezza assoluta. Richiede sulla nota conclusiva che riverbera meravigliosamente in aria, un istante di dovuto silenzio, prima di tornare a terra. Ieri sera non l'abbiamo avuto, e questa mania dell'applauso compulsivo immediato per far capire che ci siamo accorti che è finita, è una pessima abitudine. Un istante di silenzio prima della giusta esultanza, vi prego, stasera, pubblico del Turno C dei concerti scaligeri: siete, di solito, i più consapevoli fra i tre turni. Siatelo. Grazie,
Schoenberg "apre" il Novecento, secolo di drammi di vita e rivoluzioni artistiche, con questo divino affresco quasi indefinibile (opera, cantata, oratorio laico-religioso, fiaba-leggenda? Tutto!) che dall'identità ancora tonale e melodica si proietta nel futuro che lo stesso autore scriverà.
Organismo di suoni della Natura e dello Spirito, una "struttura di suoni e colori" allo stesso tempo fluida e definita. Baluiginii di tinte che si fanno corpo musicale, per narrare la leggenda (e qui culmina tutta una tradizione) : tutto è costruito sui suoni, Natura e Poesia. Di tutta questa materia Chailly è interprete allo stesso tempo lucidissimo e identificato, la governa eppure vi entra portandola ad un grado di bellezza sonora, sfumature (prima parte) e poi incandescenza (tutta la seconda parte, fino alla luce totale dell'inno al sorgere del sole).
E come un "organismo di Natura in musica" suona e narra, stupefacente, l'Orchestra della Scala. Giustamente premiata ad Amsterdam nei mesi scorsi dall'Award per l'opera, pone la sua natura, la sua stessa "teatralità", ed il calore di un suono di morbidezza e tinte calde che ne fanno l'identità unica, a totale servizio dell'impresa. E' un ascolto sensazionale e andrebbero citati tutti proprio tutti. Facciamo qualche nome: le due file, sterminate ed eccezionali, dei legni, al cuore il clarinetto vellutato di Fabrizio Meloni. La tromba dorata di Marco Toro. L'intera favolosa sezione percussioni. Luisa Prandina e le due colleghe arpe, uno splendore. La tenerezza del suono del violino di Francesco De Angelis. Gli archi tutti, segnatamente l'episodio fantastico dei celli. Gli ottoni oggi una vera squadra compatta e sicura (l'era-Chailly). Ma tutti, davvero.
I cori della Scala e della Radio Bavarese danno bellissimo contributo poetico-timbrico anche se (non è colpa loro nè di alcuno) la pure preziosa e benvenuta scatola acustica (che fu essenziale nell'Ottava di Mahler) manda un po' indietro e "schiaccia", in alto sotto il soffitto nella struttura, le voci specie maschili, ma la Scala è come è, ha dei limiti strutturali forse insormontabili.
I cantanti, nell'ordine: il favoloso sprechgesang, nell'immaginifico "bestiario" della seconda parte, di Michael Volle che compie un miracolo dichiaratoci da Chailly stesso: "quasi mai, nell'esecuzione di quel passo straordinario dei Gurre Lieder, la voce cantante-parlante riesce ad andare in sincrono con l'orchestra sottostante. Volle, fenomenale, ci riesce a perfezione". Vero, e del resto parliamo di una leggenda vivente del canto. Okka von Damerau, splendida densità vocale e poetca nel lungo, divino lamento della prima parte. Andreas Schager-Waldemar, nella voce i segni di una carriera gloriosa ma, intatti, il canto sulla parola e la dizione consapevole del testo. Norbert Ernst, vicalità penetrante ed incisiva come Klaus Narr. La grande Camilla Nylund, pur nella bellezza del timbro non pare nel miglior momento, intenzioni non pareggiate da una vocalità non più (o non ora) fermissima. Ma è un dettaglio, in una esecuzione e lettura poetica complessiva di lancinante bellezza che definire storica non è retorico.
Con una nota conclusiva. L'esito sancisce il livello raggiunto dai complessi scaligeri sotto la direzione di Riccardo Chailly (e spiace per Christian Thielemann che ha rinunciato a dirigerli: ci perde lui!) Quale che sia il futuro, chiunque abbia a succedergli, la gratitudine, i meriti acquisiti sul campo (ultimi anni di totale identificazione, dalla Salome in epoca di pandemia e Quinta di Beethoven in poi, nell'opera ed in concerto) e, appunto, il livello attuale, esigono ed impongono la nomina a Direttore Emerito a Vita. Si proceda, subito. E' un atto dovuto. Anzi, naturale. Ineludibile
marco vizzardelli
PS1 - Quello di ieri sera sarebbe stato il mio unico ascolto, per doveri di lavoro che impongono il rientro in Alto Adige i prossimi giorni. Sarei dovuto partire questo pomeriggio, ma il riascolto si impone. Partirò domani all'alba, ma anche questo è un atto dovuto e voluto e di gratitudine alla bellezza dei Gurre-Lieder in se stessi e a quella della stratosferica lettura-esecuzione!
PS2 - La conclusione dei Gurre Lieder, il sorgere del sole, è di una bellezza assoluta. Richiede sulla nota conclusiva che riverbera meravigliosamente in aria, un istante di dovuto silenzio, prima di tornare a terra. Ieri sera non l'abbiamo avuto, e questa mania dell'applauso compulsivo immediato per far capire che ci siamo accorti che è finita, è una pessima abitudine. Un istante di silenzio prima della giusta esultanza, vi prego, stasera, pubblico del Turno C dei concerti scaligeri: siete, di solito, i più consapevoli fra i tre turni. Siatelo. Grazie,
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
Presenti alla terza replica, che presumiamo essere stata la maggiormente rodata, evidenziamo che la proposta di Riccardo Chailly dei "Gurrelieder" alla Scala è storica, in quanto avviene circa mezzo secolo dopo la precedente. Per il resto non abusiamo di questo aggettivo inutilmente, dato che ogni proposta va contestualizzata e messa in relazione con la personale esperienza di ascolto e di osservazione della partitura che, in questo specifico nostro caso, comporta due passate esperienze con l'immenso ciclo di Schoenberg, dal vivo, delle quali non riferiamo gli interpreti, perchè non li poniamo volutamente in confronto, ma che entrambe ci sono sembrate più riuscite.
In particolare e nello specifico rileviamo due cose: Riccardo Chailly nella sua nota, o che dovrebbe essere tale, registrazione dei primi anni 80, quando non era ancora trentenne, con i complessi della Radio di Berlino, rilasciò una delle tante versioni di riferimento del ciclo di Schoenberg per trasparenza, incandescenza, affettuosità, sottigliezza nell'accompagnamento dei lied più intimistici della prima parte circonfusa di palpitazioni quasi schubertiane, unitamente a una compagnia di canto (non utilizziamo a caso questo termine: i Gurrelieder andrebbero intesi, nella preparazione e nella concertazione col canto, sono Lieder, soprattutto come un'opera) eccezionale, con i culmini della prova di Hans Hotter come recitante vocale di assoluta perizia, di un Jerusalem che, al netto di qualche acuto “duro”, porgeva pathos e fraseggio magistrali, di una Suzanne Dunn dal timbro dolcissimo e insieme puramente innocente da autentica colomba d’amore, di una Fassbaender morbida e angosciata come voce della natura.
La seconda cosa che rileviamo è che di tale perfezione, nella recita di ieri sera alla Scala, è rimasta un'eco: riuscitissima, ma pur sempre un'eco. Troviamo che il maestro Chailly abbia reiterato, identiche, alcune sue felicissime intuizioni dell’epoca (la veemenza e l'incandescenza dei due lieder dell'incontro degli amanti "Ross mein ross, was schleichst du so trag!" e il successivo "Sterne jubeln, das Meer, es leuchtet", la tensione avviluppante nel tempo mosso dell'epicedio funebre della Colomba del Bosco, culminante nel finale con il pizzicato profondo dell'ultima nota dell'arpa ad avvolgere e gravare plumbea come rintocco funebre per l'intera sala, l'accompagnamento ed il dialogo con la voce recitante dell'immenso Volle), ma in linea di massima ha inteso dare una dimensione troppo sinfonica al lavoro di Schoenberg, quasi da gigantesco poema d’orchestra con le voci immerse nel suono strumentale. Difficile dalla nostra posizione in seconda galleria, davanti, centrali, dove assai di rado un cantante viene “coperto”, intercettare non solo le parole, ma l'intera linea di canto, ad esempio, di Camilla Nylund (Tove) il cui timbro sarebbe perfetto per il ruolo e la parte (come lo era quello di Suzanne Dunn dell'incisione), ma i cui suoni solo ogni tanto affioravano, più come semplice macchia di colore che, come dovrebbe essere, asse portante compartecipe, tra i marosi orchestrali, più spesso risultandone immersi. Stessa sorte per Norbert Ernst (Klaus-Narr), che di suo suggeriva una chiave moralistica nel personaggio inedita, per quanto intuivamo, ma anche nella circostanza si trattava di suoni episodici che raggiungevano le nostre orecchie. Viceversa si andava molto meglio con Schager (Waldemar) e, soprattutto, Volle: gli unici a tener testa all'esuberanza sonora del podio e/o verso i quali dal podio è stata impostata una concertazione più attenta agli equilibri sonori. Sfumature, trasparenze e ricorsi a pianissimo sono stati più intenzionali che fattuali, la dinamica restando sempre tra un mezzo piano e il fortissimo più schiantante.
Peccato capitale la presenza di intervallo tra la prima e le rimanenti due parti di una cantata che andrebbe eseguita di fila, al massimo con la pausa necessaria per l'ingresso del coro e dei cantanti. Orchestra al meglio delle sue possibilità, cori molto lontani, soprattutto il maschile, per una collocazione di necessità virtù (altrove si sacrificano le prime file di platea per dare spazio a questi immensi organici).
Grande successo e acclamazioni.
Grazie per l'ospitalità.
In particolare e nello specifico rileviamo due cose: Riccardo Chailly nella sua nota, o che dovrebbe essere tale, registrazione dei primi anni 80, quando non era ancora trentenne, con i complessi della Radio di Berlino, rilasciò una delle tante versioni di riferimento del ciclo di Schoenberg per trasparenza, incandescenza, affettuosità, sottigliezza nell'accompagnamento dei lied più intimistici della prima parte circonfusa di palpitazioni quasi schubertiane, unitamente a una compagnia di canto (non utilizziamo a caso questo termine: i Gurrelieder andrebbero intesi, nella preparazione e nella concertazione col canto, sono Lieder, soprattutto come un'opera) eccezionale, con i culmini della prova di Hans Hotter come recitante vocale di assoluta perizia, di un Jerusalem che, al netto di qualche acuto “duro”, porgeva pathos e fraseggio magistrali, di una Suzanne Dunn dal timbro dolcissimo e insieme puramente innocente da autentica colomba d’amore, di una Fassbaender morbida e angosciata come voce della natura.
La seconda cosa che rileviamo è che di tale perfezione, nella recita di ieri sera alla Scala, è rimasta un'eco: riuscitissima, ma pur sempre un'eco. Troviamo che il maestro Chailly abbia reiterato, identiche, alcune sue felicissime intuizioni dell’epoca (la veemenza e l'incandescenza dei due lieder dell'incontro degli amanti "Ross mein ross, was schleichst du so trag!" e il successivo "Sterne jubeln, das Meer, es leuchtet", la tensione avviluppante nel tempo mosso dell'epicedio funebre della Colomba del Bosco, culminante nel finale con il pizzicato profondo dell'ultima nota dell'arpa ad avvolgere e gravare plumbea come rintocco funebre per l'intera sala, l'accompagnamento ed il dialogo con la voce recitante dell'immenso Volle), ma in linea di massima ha inteso dare una dimensione troppo sinfonica al lavoro di Schoenberg, quasi da gigantesco poema d’orchestra con le voci immerse nel suono strumentale. Difficile dalla nostra posizione in seconda galleria, davanti, centrali, dove assai di rado un cantante viene “coperto”, intercettare non solo le parole, ma l'intera linea di canto, ad esempio, di Camilla Nylund (Tove) il cui timbro sarebbe perfetto per il ruolo e la parte (come lo era quello di Suzanne Dunn dell'incisione), ma i cui suoni solo ogni tanto affioravano, più come semplice macchia di colore che, come dovrebbe essere, asse portante compartecipe, tra i marosi orchestrali, più spesso risultandone immersi. Stessa sorte per Norbert Ernst (Klaus-Narr), che di suo suggeriva una chiave moralistica nel personaggio inedita, per quanto intuivamo, ma anche nella circostanza si trattava di suoni episodici che raggiungevano le nostre orecchie. Viceversa si andava molto meglio con Schager (Waldemar) e, soprattutto, Volle: gli unici a tener testa all'esuberanza sonora del podio e/o verso i quali dal podio è stata impostata una concertazione più attenta agli equilibri sonori. Sfumature, trasparenze e ricorsi a pianissimo sono stati più intenzionali che fattuali, la dinamica restando sempre tra un mezzo piano e il fortissimo più schiantante.
Peccato capitale la presenza di intervallo tra la prima e le rimanenti due parti di una cantata che andrebbe eseguita di fila, al massimo con la pausa necessaria per l'ingresso del coro e dei cantanti. Orchestra al meglio delle sue possibilità, cori molto lontani, soprattutto il maschile, per una collocazione di necessità virtù (altrove si sacrificano le prime file di platea per dare spazio a questi immensi organici).
Grande successo e acclamazioni.
Grazie per l'ospitalità.
Ultima modifica di commentimusicali il 19 set 2024 14:08, modificato 3 volte in totale.
- michele_gallo_55
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
Tra i compositori le abiure pare non siano state infrequenti _ oggi meno visto che la religione è "passata di moda".mascherpa ha scritto: ↑17 set 2024 15:03Segnalo che nel programma di sala dello spettacolo veneziano in cartellone questa settimana è contenuta una breve intervista a Nuria Schönberg Nono con un gustoso racconto dei rapporti tra suo padre e la sua nonna materna, che per un breve periodo abitò con figlia, genero e nipoti nella stessa casa di Los Angeles. La vecchia Viennese le diceva "tuo padre cambia religione come ci si cambia la camicia", e questi replicava di non sopportare che gli mancasse di rispetto...
Purtroppo mi sembra che, diversamente da qualche tempo fa, i programmi di sala della Fenice non siano piú resi liberamente disponibili nel sito del teatro poco dopo la fine delle recite, ma che possano essere consultati solo «su richiesta». Quelli piú recenti sono ritornati ad essere di buona qualità, sebbene ancora lontani dal livello altissimo dell'epoca Chiarot.
Arnold ha seguito non molti anni dopo , certo per un suo differente percorso, le orme del suo amico Mahler.
A proposito di temi collegati al culto religioso, non mi può uscire dalla mente il fatto che ci sia un nesso tra lo Sprachgesang importato qui in musica da Schönberg ed il salmodiare, vecchio di millenni, del culto ebraico. E questo a conferma del legame radicale che sussiste tra canto e preghiera, ma questo è un altro discorso.
Questi Gurre_lieder personalmente mi stanno lasciando un segno, non penso di essere il solo.
Questo gigantismo ostentato _ fascino al quale il M.stro Chailly non sembra sfuggire _ è di richiamo ancora oggi, come per la cinematrogafia sono quasi sempre di richiamo le grandi produzioni ricche di effetti speciali, molto per la grossa misura di sorpresa che sanno indurre, indipendentemente dal livello di qualità e di compiutezza del contenuto (per esempio della trama musicale prima dell'orchestrazione) che passa in second'ordine.
Un peccato non assistere a queste produzioni quando si presenta l 'occasione, anche se si può sentire più odore di zolfo che aromi apollinei . Personalmente dell'autore preferisco altro.
Ultima modifica di michele_gallo_55 il 19 set 2024 15:38, modificato 7 volte in totale.
MGL
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
A me non è piaciuto granché.
Ho trovato l'orchestra molto monotona, tanto volume, poco suono, le diverse sezioni degli archi timbricamente indistinguibili, non un rubato, Chailly che si limita a girare la manopola del volume.
Ad eccezione della von Dammerau cantanti tutti parlanti e inudibili nel registro medio grave anche per il frequente fracasso orchestrale, Coro non pervenuto.
U
Ho trovato l'orchestra molto monotona, tanto volume, poco suono, le diverse sezioni degli archi timbricamente indistinguibili, non un rubato, Chailly che si limita a girare la manopola del volume.
Ad eccezione della von Dammerau cantanti tutti parlanti e inudibili nel registro medio grave anche per il frequente fracasso orchestrale, Coro non pervenuto.
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- mascherpa
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Re: Schönberg _ Gurre_lieder ed altro
Non ho assistito a questa realizzazione dei Gurrelieder e quindi non posso, né intendo dirne nulla.
Sul "non pervenire" del coro ho però un ricordo molto preciso: sentii per la prima volta il pezzo dal vivo nel 1973, alla Scala. Dirigeva un Mehta ancora relativamente giovane (aveva trentasette anni), che in un'intervista aveva sottolineato come fosse difficile ottenere nei Gurrelieder un buon equilibrio tra orchestra e coro. Il mio posto d'abbonamento era quell'anno in platea piuttosto davanti, mi pare in quinta fila, e... il coro non mi pervenne; anzi non lo vedevo nemmeno.
Mi ha colpito quindi il ricorrere, piú di mezzo secolo dopo, della stessa impressione in un altro ascoltatore e in un teatro che, comunque, ha subito modifiche tali che ne hanno indubbiamente alterato anche l'acustica.
Al di fuori d'ogni valutazione sulla maestria dei diversi direttori, mi pare sia opportuno chiedersi se l'unica buona ragione per eseguire pezzi con organici cosí enormi nei teatri d'opera non sia per caso di carattere logistico, cioè legata alla capienza della buca coperta piú, almeno in parte, il palcoscenico, capienza senza dubbio maggiore che nella maggior parte delle sale da concerto.
Si ce que je dis ne vous plaist pas, je ne scais qu'y faire. C'est moi, pourtant, qui exprime la vérité (JC, d'après GTdL)
τί μοι σὺν δούλοισιν;
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