Admeto | Marlin Miller |
Alceste | Carmela Remigio |
Eumelo | Ludovico Furlani |
Aspasia | Anita Teodoro |
Evandro | Giorgio Misseri |
Ismene | Zuzana Marková |
Un banditore / Oracolo | Armando Gabba |
Gran sacerdote d’Apollo / Apollo | Vincenzo Nizzardo |
Direttore | Guillaume Tourniaire |
Regia, scene e costumi | Pier Luigi Pizzi |
Light designer | Vincenzo Raponi |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice | |
Maestro del Coro | Claudio Marino Moretti |
“Tu m’ami, e te non ami!”: nel grido disperato di Admeto, all’apprendere che la stessa Alceste morirà per serbarlo in vita, per la famiglia e per il popolo, riesiede l’essenza stessa del dramma.
Alceste, come le dueIfigenie e Orfeo ed Euridice, è una sublime riflessione sulla morte in chiave tutta illuminista, ove la Ragione è impiegata come strumento primo di comprensione e non di controllo sulle azioni. Già la tragedia euripidea, o più correttamente dramma satiresco, della quale il libretto di de’ Calzabigi segue le tracce, pone con sublime introspezione il problema dell’utilità del sacrificio estremo, gratuito ed incondizionato. Alceste è sposa e madre prima che regina; la famiglia è il nucleo primo del popolo inteso come collettività e l’amore per essa si estende al tutto: dall’ οἰκία alla πόλις. Il sacrificio è dunque perfettamente naturale, quasi un passo obbligato in nome di un supremo bene comune.
La dicotomia con Admeto, straziato dal gesto di Alceste ma egoisticamente felice di sopravvivere, scorre lungo tutto il dramma: il re di Tessaglia è politico prima che marito e padre. Su tutto Apollo, il cui volere segue una logica ferrea ed al contempo è terreno di prova per i sentimenti e le debolezze umane. Non a caso Alceste, dopo il sacrificio estremo, sarà resa dal dio ai suoi affetti più per le invocazioni del figli, degli amici e del popolo che non per la disperazione esagerata di Admeto.
È bella l’Alceste nella prima versione, in italiano, che vide la luce a Vienna nel 1767. Musica e parola si fondono a sostenere il dramma; le arie, non più a se stanti, come nella tradizione barocca, sono logica conseguenza dei recitativi accompagnati: il rigore trionfa sullo stupore, l’introspezione sul virtuosismo, l’azione è caratterizzata, ci si perdoni l’ossimoro, da una staticità dinamica.
Pier Luigi Pizzi, che firma come sempre l’allestimento nella sua interezza, coglie perfettamente l’essenza dell’opera e la rende alla scena sotto forma di omaggio al Neoclassicismo. Il bianco predomina nelle scene, dando vita con pochi elementi architettonici ad uno spazio fisico che diviene luogo della mente, astratto e straniante. I richiami alle grandi tombe di Canova, prima ancora che ai grandi bassorilievi dei sarcofagi neoattici, sono evidenti nella disposizione del coro in lunghe teorie o in gruppi nei quali il movimento appare fluido ed al contempo cristallizzato. Gli spazi si arricchiscono di pochi particolari che via via li caratterizzano: una statua di Apollo, due cipressi argentei e spogli, un letto. Anche i protagonisti divengono a loro volta gruppi scultorei nel loro abbracciarsi lieve e nelle pose dolenti.
Belli i costumi, nei quali il bianco si unisce al nero: himatia vaporosi per Ismene e le donne, chitoni per gli uomini ed il peplo per Alceste.
Assai ben concepito il light design di Vincenzo Raponi, teso conferire ulteriore tridimensionalità alle scene.
Ad un allestimento del tutto convincente corrisponde un’esecuzione musicale di grande livello.
Guillaume Tourniaire, alla testa di un’orchestra in grande spolvero, mostra di cogliere con acume l’apollinea purezza della partitura e la rende all’ascolto con un rigore che si coniuga con belle morbidezze liriche. I tempi sono moderatamente serrati, ma comunque capaci di aprirsi in fascinosi abbandoni lirici. Le scelte dinamiche, così come quelle agogiche, sono stringenti e tese a conferite un condivisibile equilibrio narrativo.
Nel ruolo eponimo Carmela Remigio mostra ancora una volta di appartenere a quella ristretta cerchia di interpreti capaci di porsi con intelligenza e personalità al servizio della musica. La sua Alceste palpita di mille colori, è madre e sposa, ma prima di tutto è donna con piena coscienza di sé. La linea di canto è di abbagliante nitore, il fraseggio ricco, la comprensione del personaggio in ogni suo aspetto risulta pressoché totale.
Nel complesso convincente Marlin Miller, Admeto appassionato, il quale tuttavia sembra, soprattutto sul finale, soffrire un po’ la tessitura del ruolo, tutta scritta sul passaggio.
Zuzana Marková si conferma interprete sensibile e disegna un’Ismene di bello spessore drammaturgico coniugato con un canto limpido e partecipe.
Molto buono ci è parso l’Evandro di Giorgio Misseri, preciso nel fraseggio e vario negli accenti.
Corrette le voci bianche di Ludovico Furlani, Eumelo, e Anita Teodoro, Aspasia.
Completano con onore il cast Armando Gabba, nel doppio ruolo del Banditore e dell’Oracolo, e Vincenzo Nizzardo, Apollo e Gran Sacerdote d’Apollo.
Ottima la prova del coro, ben preparato da Claudio Marino Moretti e lungamente impegnato.
Successo pieno per tutti, con ovazioni per la Remigio e Pizzi.
Alessandro Cammarano