Marco Taralli | Psalmus pro humana regeneratione, Cantata sacra per soli, coro e orchestra |
nuova commissione della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste elaborazione del testo a cura di Don Thompson |
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Carl Orff | Carmina Burana |
Direttore | Alessandro Cadario |
Soprano |
Ágnes Molnár |
Controtenore | Jake Arditti |
Baritono | Domenico Balzani |
Maestro del coro | Francesca Tosi |
Orchestra del Teatro Verdi di Trieste | |
Orchestra e Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste Coro del Teatro Nazionale Sloveno di Maribor (direttore Zsuzsa Budavari Novak) Coro di voci bianche "I Piccoli Cantori della Città di Trieste" (direttore Cristina Semeraro)
In collaborazione con il Teatro Nazionale Sloveno di Maribor |
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La stagione sinfonica del Teatro Verdi di Trieste si è chiusa – certo, c’è ancora la recita di oggi pomeriggio alle 18 – con l’esecuzione di due composizioni corali. Una, Carmina Burana di Carl Orff, a dire poco conosciuta quando non addirittura inflazionata. L’altra, Psalmus pro humana regeneratione, era invece una proposta nuova di zecca.
Si tratta infatti di un lavoro su commissione del Teatro Verdi affidato a uno dei più noti e poliedrici compositori contemporanei, Marco Taralli, le cui opere sono comparse con una certa frequenza anche tra le recensioni di OperaClick. Qui, per esempio, si parla di un’altra sua composizione di genere musicale diverso, su libretto del collega e amico Alberto Mattioli.
Nel comunicato stampa diramato dal teatro, Taralli dichiara a proposito del suo lavoro – dedicato a Papa Francesco - che
“Nel comporre questa cantata, ho di volta in volta assecondato la natura meditativa e riflessiva di una determinata parte del testo, o viceversa usato la musica per “descriverne” in termini musicali il significato emotivo più immediato. Tra questi due estremi, mi si è aperta un'infinita gamma di possibilità, che solo un testo sacro ti permette di esplorare. E in questo senso, ritengo che un testo Sacro sia molto più versatile di un libretto d'opera. Il punto centrale, nel comporre per il “sacro”, resta sempre l’uso del Coro, il suono e la versatilità del quale ti permettono davvero di mettere " in scena" gli aspetti più intimi dell'animo umano”.
Il testo, in inglese, latino e italiano a cui si fa riferimento sono le Sacre Scritture e un lacerto del Cantico delle creature.
Definita Cantata sacra per soli, coro e orchestra, Psalmus pro humana regeneratione appare imponente nell’architettura musicale e probabilmente ostica – nel senso che l’ascolto andrebbe approfondito – di primo acchito, nonostante una certa familiarità di tinte orchestrali che mi hanno ricordato, a tratti, compositori del Novecento quali Bernstein e Penderecki (nell’impiego delle percussioni) e al contempo i grandi classici nei fugati.
Interessante l’uso del Coro, come nel Barocco e prima ancora nella tragedia greca, che assurge spesso alla parte di protagonista e testimone degli eventi allo stesso tempo. I solisti (controtenore, soprano e baritono) a loro volta sono impegnati in terzetti e brevi arie.
Suggestiva l’aria del soprano, introdotta dall’arpa e ben interpretata da Ágnes Molnár. Bene anche Domenico Balzani, dalla voce timbrata e sonora, mentre il controtenore Jake Arditti, di buona musicalità, ha spesso sofferto del denso ordito orchestrale e nei terzetti si sentiva poco.
Considerata la complessità dell’opera e l’ovvia emozione dell’esordio, ho trovato buona la prova dei cori e addirittura brillanti le voci bianche.
In mancanza di precedenti trovo difficile valutare la direzione di Alessandro Cadario, elegante e composto sul podio, mentre l’Orchestra del Verdi, di là di qualche sbavatura, è sembrata come sempre scintillante.
Il pubblico, numeroso come mai quest’anno, ha tributato un bel successo al nuovo lavoro di Taralli, anche se qualche chiamata al proscenio mi è sembrata un po’ stiracchiata.
Nella seconda parte della serata Carl Orff nella sua composizione più famosa, Carmina Burana.
Scrivevo, nella recensione di un paio di mesi fa in occasione dell’apertura del Festival di Lubiana, che
Carmina Burana è una cantata scenica in cui si alternano alcuni componimenti poetici che risalgono al Medioevo, rielaborati e trasfigurati dal compositore tedesco. Il debutto avvenne a Francoforte, nel 1937, in piena epoca nazista. La pagina è particolarmente conosciuta per l’uso (e abuso, mi verrebbe da dire) che è stato fatto del primo brano (O Fortuna), più volte proposto nella colonna sonora di film, spot televisivi e quant’altro.
In realtà l’opera è una grandiosa composizione di musica corale e i testi, per lo più almeno misconosciuti quando non incompresi del tutto, ne sono parte fondamentale.
E proprio da una considerazione sui testi partirei nella mia breve disamina. Voglio dire che dal momento che si è scelto di intraprendere Carmina Burana in forma concertante e non scenica, sarebbe stato importante – come peraltro nella Cantata di Taralli – che ci fossero i sottotitoli o almeno un flyer, perché altrimenti certi accenni di recitazione dei cantanti, Arditti o l’incontenibile Balzani nella fattispecie, diventavano incomprensibili.
Detto questo, se da un lato la parte vocale ha soddisfatto sia per quanto riguarda i solisti che il coro, ho trovato meno convincente la direzione di Cadario, che è sembrata troppo sbilanciata su dinamiche vigorose e bombastiche in una pagina musicale che già di suo non è propriamente sommessa in alcune parti.
L’Orchestra del Verdi non si è fatta pregare e il risultato è stato che in alcuni momenti i decibel erano davvero troppi e il suono arrivava dritto in un magma sonoro indistinto.
Tutto ciò non ha scosso minimamente il pubblico, che ha tributato un vero e proprio trionfo a direttore, solisti e a tutti i maestri del coro, elencati in locandina, opportunamente presenti sul palco.
Paolo Bullo