Guillaume Tell | Roberto Frontali |
Arnold Melchtal | Dmitry Korchak |
Walter Furst | Marco Spotti |
Melchtal | Emanuele Cordaro |
Jemmy | Anna Maria Sarra |
Gesler | Luca Tittoto |
Rodolphe | Matteo Mezzaro |
Ruodi | Enea Scala |
Leuthold | Paolo Orecchia |
Mathilde | Nino Machaidze |
Hedwige | Enkelejda Shkoza |
Un chasseur | Cosimo Diano |
Guillaume Tell storico | Alberto Cavallotti |
Direttore | Gabriele Ferro |
Regia | Damiano Michieletto |
Scene | Paolo Fantin |
Costumi | Carla Teti |
Lighting designer | Alessandro Carletti |
Maestro del coro | Piero Monti |
Orchestra e Coro del Teatro Massimo | |
Allestimento del Teatro Massimo |
Non si dovrebbe aprire una recensione parlando del pubblico convenuto in teatro per assistere allo spettacolo in questione. Eppure nel caso specifico del Guillaume Tell, titoloscelto dal Teatro Massimo di Palermo per inaugurare la stagione 2018, la premessa è d’obbligo. Tra improbabili mises, pellicce tirate fuori dall’armadio nonostante la serata tiepida, melomani accorsi anche da lontano per assistere alla prima rappresentazione in città dell’ultimo capolavoro operistico rossiniano in lingua originale, la sala del Basile risultava piena nella quasi totalità dei posti. Peccato che ad alcuni abbonati fosse concesso di entrare in sala sia durante l’ouverture che a spettacolo iniziato dopo ognuno dei due intervalli previsti, e che quegli stessi abbonati, per riguadagnare il loro posto in platea, dovessero costringere ad una sorta di ola estemporanea i malcapitati spettatori seduti in poltrone più laterali. Per non parlare del reiterato malcostume di scappar via ancor prima del riaccendersi delle luci e della comparsa alla ribalta degli artisti. Evidentemente le quattro ore e quindici erano risultate tanto indigeste da provocare la fuga.
In realtà quanto si è visto non giustificava nessun comportamento di tal fatta (speriamo che ciò sia di monito per le maschere solitamente molto solerti e professionali), dal momento che questa produzione, andata in scena originariamente alla Royal Opera House di Londra nel 2015, ed acquistata dal teatro palermitano, è parsa viva e palpitante sin dal levarsi del sipario. Il team creativo guidato da Damiano Michieletto, con i suoi abituali collaboratori Paolo Fantin autore di un impianto scenico di grande forza, Carla Teti per i costumi e Alessandro Carletti per lo splendido disegno luci, ha infatti presentato un progetto di lineare inventiva, facilmente leggibile e pienamente rispettoso del libretto.
Che Rossini non fosse un rivoluzionario nell’animo è cosa nota, eppure per la sua ultima opera musicò un soggetto che parlava di oppressione, del tentativo di strappare ad un popolo radici, tradizioni, senso di appartenenza, così facendo descrivendo i “corsi e ricorsi” insiti nella storia dell’umanità. Tutto ciò diventa per Michieletto la centralità dello spettacolo, in una dimensione priva di precise connotazioni temporali (giacchè i tentativi di sopraffazione attraversano tutte le epoche), all’interno del quale trova spazio un altro dei temi dell’opera, la forza della Natura. Quella stessa Natura benigna e rassicurante, simboleggiata dal giovane albero sul palcoscenico, sarà vilipesa dall’irruzione degli invasori austriaci. Il gigantesco albero sradicato, che dal secondo atto e lungo tutto l’arco temporale dominerà la scena, diventerà via via la sombre foret di Mathilde, il luogo dove i delegati dei tre cantoni si uniranno per combattere l’oppressore e la piazza di Altorf. Nel finale l’equilibrio e l’armonia turbati dall’oppressore austriaco si ristabiliranno per mano di un bimbo sapientemente illuminato e intento a piantare un piccolo albero, a sancire la libertà riconquistata.
Il Guillaume Tell secondo Michieletto sviluppa anche il tema dei legami familiari esaminati attraverso il rapporto genitori-figli. Jemmy legge i fumetti che narrano le avventure dell’eroe nazionale svizzero identificandolo con il padre, mentre Arnold risove i conflitti interiori tra fedeltà alla patria e amore per Mathilde nel ricordo del padre ucciso.
La recitazione dei cantanti e delle masse corali, come sempre avviene nelle regie di Michieletto, è oltremodo curata per un progetto che, nell’ampio respiro della partitura, si può considerare pienamente riuscito per la sua forza dirompente senza alcuna distorsione o trasgressione. Le danze del terzo atto sono qui snodo fondamentale nella drammaturgia. Attraverso una scena di sopraffazione da parte della soldataglia nei confronti di una giovane costretta a subire violenza, Guillaume assurge infatti al ruolo di vero capopopolo. Non c’è niente di volgare né di gratuito nello stupro che innesca il meccanismo del tiro alla mela. D’altronde lo stesso Leuthold nel primo atto riferisce di aver ucciso un soldato per difendere l’onore della figlia, sono inspiegabili quindi le polemiche che tale scena suscitò a Londra in occasione della prima.
Dal podio, in una buca rialzata per scrupolo filologico a ricrearne l’esatta profondità dell’epoca di Rossini, Gabriele Ferro persegue la sua convinzione del Tell come opera ancorata al classicismo di Spontini, laddove essa sfugge invece ad una netta collocazione, situandosi più sul crinale che divide l'ideale neoclassico del bello dagli empiti protoromantici. Nel rispetto dell’architettura formale, manca tuttavia quel soffio vitale, quella tensione drammatica che non troviamo già nell’ ouverture, in una parabola che si compie senza afflato nel sublime finale pur sottolineato con grande maestria da Michieletto e dai suoi collaboratori. La mano del concertatore si abbatte inoltre sulla monumentale partitura con tagli volti probabilmente ad adattare la durata dello spettacolo alla soglia di sopportazione del pubblico palermitano. Via dunque le danze del primo atto, che pure il regista aveva sapientemente reso nella originaria produzione londinese, l’aria di Jemmy e il terzetto Mathilde, Hedwige e Jemmy.
In direzione opposta a questa visione neoclassica va invece Roberto Frontali, le cui frequentazioni rossiniane risalgono agli inizi della carriera, che affronta il ruolo con piglio verdiano. Il suo Guillaume è uomo di solidi principi, il buon padre di famiglia lacerato tra gli empiti barricadieri e il mantenimento di una vita familiare tranquilla. Sferzante nel duetto con Arnold del primo atto e poi risoluto nel finale secondo, mette in mostra un declamato intenso, benché nell’arioso Sois immobile sia penalizzato dall’anemico sostegno dell’orchestra.
L’Arnold di Dmitry Korchak sfuma e tratteggia un personaggio che via via assume consapevolezza e maturità, dando quindi una maggiore tridimensionalità ad un ruolo spesso risolto con la sola ricerca di acuti e sovracuti sparati a raffica. Il timbro è bello e l’emissione morbida, nonostante il tenore esordisca con una certa cautela nel primo confronto con Tell, e la prestazione si risolve in un continuo crescendo sia pure con una certa fragilità alle quote estreme previste dalla sua scena del quarto atto.
Ottima è inoltre l’interazione con la Mathilde di Nino Machaidze. Il soprano georgiano può contare su un bel colore brunito e un buon legato. Nell’occasione sfoggia inoltre un’interessante capacità di accentare e di snocciolare una coloratura non immacolata ma efficace, come dimostrato nell’aria del terzo atto fortunatamente sopravvissuta ai tagli di questa edizione.
Onore e merito al Teatro Massimo per aver scelto un cast di comprimari di tutto rispetto laddove comprimari non sono affatto né l’imponente Furst di Marco Spotti, né il raggelante Gesler di Luca Tittoto, entrambi forti di una linea di canto solida e perfettamente timbrata. Buona anche la prova del Pescatore di Enea Scala venuto in soccorso dell’indisposto Pietro Adaini previsto in origine, ed ottime la dolente Hedwige di Enkelejda Shkoza e una svettante (sia fisicamente che in acuto) Anna Maria Sarra nel ruolo di Jemmy. Completavano la compagnia di canto Emanuele Cordaro, Melchtal presente in scena anche dopo la morte a risolvere i contrasti interiori del figlio, Matteo Mezzaro Rodolphe e Paolo Orecchia Leuthold a ribadire l’omogeneità dell’ensemble dominato dal solito preparatissimo coro agli ordini di Piero Monti.
La recensione si riferisce alla prima del 23 Gennaio 2015.
Caterina De Simone