Simon Boccanegra | Željko Lučić |
Amelia Grimaldi (Maria Boccanegra) |
Serena Farnocchia |
Jacopo Fiesco (Andrea) | Vitalij Kowaljow |
Gabriele Adorno | Wookyung Kim |
Paolo Albiani | Boris Pinkhasovich |
Pietro | Alexander Milev |
Un capitano dei balestrieri | Long Long |
Una serva di Amelia | Alyona Abramowa |
Direttore | Bertrand de Billy |
Regia e scene | Dmitri Tcherniakov |
Costumi | Elena Zaytseva |
Luci | Gleb Filshtinsky |
Responsabile della ripresa | Anna Brunnlechner |
Maestro del coro | Sören Eckhoff |
Bayerisches Staatsorchester | |
Chor ed Extrachor der Bayerischen Staatsoper |
Presentato il 3 giugno 2013, ripreso nella primavera e nell’autunno dell’anno seguente con un totale di tredici rappresentazioni sempre sotto la direzione musicale di Bertrand de Billy, l’allestimento monacense del Simon Boccanegra curato per la regia e le scene da Dmitri Tcherniakov, per i costumi da Elena Zaytseva e le luci da Gleb Filshtinsky, è ora ritornato tre sere a cavallo di novembre e dicembre, con un cast vocale in parte risalente alla prima (Simone e Fiesco), in parte alle rappresentazioni d’ottobre-novembre 2014 (Amelia e Gabriele) e in parte nuovo (Paolo Albiani, Pietro e i due personaggi minori). Ci siamo recati alla prima di queste repliche, domenica 26 novembre, e non esitiamo a dire che, con una certa sorpresa, siamo usciti da teatro entusiasti come poche altre volte nella nostra sessantennale “carriera d’ascoltatore” d’opera. La trasposizione scenica operata da Tcherniakov in un fine Novecento non precisamente definito dal punto di vista geografico, ci è sembrata vicina, tra quelle di lui che conosciamo, al Boris Godunov berlinese del 2006. Non sono inediti i criteri drammaturgici adottati, che sottolineano l’intreccio tra istituzioni politiche e poteri malavitosi, ma del tutto convincenti ci sono apparsi i risultati. Il regista russo ha mostrato una profonda comprensione del mondo emotivo verdiano, e anche in questo caso si può essere indotti a parlare di «Boris mediterraneo» come fece la critica parigina quando, molti decenni fa, Claudio Abbado e Giorgio Strehler rappresentarono l’opera al Palais Garnier. Sobri riassunti dell’azione, trilingui nel programma di sala, tedeschi e inglesi nei soprattitoli durante le brevi pause tra un quadro e l’altro, indirizzano l’attenzione dello spettatore ai gangli drammatici della vicenda, sottolineandone alcuni aspetti (primo fra tutti l’intuizione che, dalle parole di Simone, Amelia ha d’essere figlia di questo anche prima ch’egli se ne convinca). Tra i punti particolarmente felici della regia desideriamo ricordare la naturalezza del frapporsi d’Amelia tra Gabriele e il padre nel finale del prim’atto e la scelta di non lasciar morire Simone sulla scena, ma di farlo uscire con la mente disfatta dal veleno di Paolo, così come ci è apparso molto significativo il contrasto tra il mondo colorato in cui s’era mossa l’ascesa giovanile di Simone e che gli ritorna alla mente in alcune occasioni, e il grigiore asettico in cui, doge, spera d’esercitare in modo magnanimo e benefico il potere.
Ma, come sempre a nostro gusto e parere, è la realizzazione musicale che decide del valore d’uno spettacolo. Non sappiamo come Bertrand de Billy abbia diretto quest’opera nel 2013 e nel 2014, ma non esitiamo a riconoscere che, per un precedente ascolto a Vienna e per qualche registrazione discografica di cui abbiamo conoscenza, non avremmo mai previsto una serata al calor bianco, capace di provocarci dall’inizio alla fine una partecipazione così intensa. Il controllo dello straordinario Bayerisches Staatsorchester e del palcoscenico è stato ideale; i colori e le dinamiche hanno creato un quadro teso e severo, il pessimismo verdiano ne è emerso lacerante, al punto di farci esclamare, già durante l’intervallo, che non avremmo mai creduto di poter ascoltare di nuovo quest’opera eseguita così bene e con un suono così idiomatico, per di più proprio in area musicale germanica (forse questo è dipeso, come ci è stato detto, dall’assenza d’esecuzioni wagneriane e straussiane tra la generale e la prima sera, ma non va neppure dimenticato che, secondo non pochi Tedeschi, Monaco nient’altro sarebbe che “la più settentrionale delle città italiane”…).
A questa “riuscita totale” ha contribuito in modo determinante una compagnia di canto di cui non ricordiamo da decenni l’uguale. I due “veterani” dello spettacolo, Željko Lučić (Simone) e Vitalij Kowaljow (Fiesco) hanno affrontato questa ripresa con grande impegno e, per fortuna loro e nostra, in una splendida forma vocale. Il Doge del baritono serbo è ricchissimo di sfumature; la capacità di controllare dinamicamente ira ed entusiasmi rendono la prima più temibile e i secondi venati d’incoercibile dolore; la dizione italiana e la comprensione del significato della nostra lingua sono perfetti. Il controllo dei fiati e dell’emissione, la mimica facciale e la gestualità danno un risalto indimenticabile a questa parte sublime ma priva di "pezzi chiusi" strappapplausi. Non meno efficace il basso russo Kowaljow nel ruolo dell’aristocratico sconfitto e clandestino; di particolare rilievo il suo terz’atto, che comunica la consapevolezza d’essere definitivamente fuori gioco anche nel momento in cui sembra ricuperare un ruolo di primo piano.
Già presenti nella precedente ripresa dello spettacolo, tre anni fa, i due “giovani”, Serena Farnocchia, unica artista italiana del cast, e il tenore coreano Wookyung Kim. Eravamo già rimasti impressionati molto favorevolmente dall’Amelia del soprano camaiorese tredici anni fa a Trieste, ma con gioia riconosciamo che in questo lasso non breve di tempo tutto nella sua interpretazione è cresciuto sia vocalmente, sia interpretativamente. Le difficoltà dell'ostica aria di sortita appaiono sùbito risolte in tutta sicurezza, l’integrazione nell’insieme stupisce per la diversità di toni e accenti che la Farnocchia sa trovare nelle diverse situazioni. Il gioco scenico è di raro prestigio, nulla è sopra le righe e tutto convince. Dobbiamo risalire di quasi mezzo secolo per trovare ricordi di questo personaggio interpretato con uguale maestria. Una sorpresa totale, in senso positivo, è stato Wookyung Kim, che non avevamo mai sentito cantare. Interprete dei repertori di Mozart e Verdi, ma anche del Narraboth straussiano, questo tenore è sembrato dare ragione a chi vede in Gabriele Adorno il personaggio di Verdi più vicino al tipo del Heldentenor. Di questo, Kim ha infatti dimostrato di possedere tutta la pienezza e facilità dello squillo, unite però a un buon gusto e a una finezza del porgere che denotano la frequentazione di ruoli vicini al bel canto e un’oculata gestione del mezzo vocale. Un grande piacere per mente e orecchi i suoi duetti e dialoghi con il soprano; dovutamente accolto da un’ovazione il grande assolo e ottima la riuscita del terzetto che conclude il second’atto dell’opera.
I “nuovi” del cast, oltre al tenore cinese Long Long (Capitano) e al mezzosoprano russo Alyona Abramowa (Serva d’Amelia), entrambi membri dell’Opernstudio der Bayerischen Staatsoper ma già ricchi d’esperienza in ruoli di maggiore rilievo e qui del tutto a loro agio nelle loro parti, sono stati il petroburghese Boris Pinkhasovich, Paolo Albiani, e l’ucraino Alexander Milev, Pietro. Il personaggio del vilain appare veramente “spinto da un demone”: i suoi due ariosi colpiscono per espressione, correttezza vocale, varietà di sfumature, disperata coscienza dell’inutilità del male. Anche Milev, vocalmente impeccabile, ha saputo dare il dovuto carattere al suo personaggio.
Successo entusiastico. Gli applausi molto prolungati delle circa duemila e cento persone che gremivano completamente il Nationaltheater hanno meritatamente coinvolto l’orchestra e gli impressionanti Chor und Extrachor der Bayerischen Staatsoper preparati da Sören Eckhoff, costringendo gli artisti a ripresentarsi al proscenio ancora un’altra volta dopo che s’erano congedati dal pubblico. Lunga vita a questo allestimento, con l’augurio che la maggiore istituzione lirica bavarese possa riunire di nuovo una compagnia così straordinaria! Si dice, non senza ragione, che una critica dovrebbe sempre contenere qualche elemento negativo, a garanzia d’obiettivo distacco, ma in questo rarissimo caso non sappiamo proprio trovarne.
La recensione si riferisce allo spettacolodel 26 novembre 2017.
Vittorio Mascherpa