Eisenstein | Peter Sonn |
Rosalinde | Eva Mei |
Dr. Falke | Markus Werba |
Frank | Michael Kraus |
Adele | Daniela Fally |
Principessa Orlofskaya | Elena Maximova |
Alfred | Giorgio Berrugi |
Dr. Blind | Kresimir Spicer |
Frosch | Paolo Rossi |
Ida * | Anna Doris Capitelli |
Direttore | Cornelius Meister |
Regia | Cornelius Obonya |
Co-regista | Carolin Pienkos |
Scene e costumi | Heike Scheele |
Luci | Friedrich Rom |
Coreografia | Heinz Spoerli |
Video | Alexander Scherpink |
Maestro del coro | Bruno Casoni |
Corpo di ballo del Teatro alla Scala | Frédéric Olivieri |
una donna | Marta Romagna |
un uomo | Massimo Garon |
tre uomini della csárdás | Federico Fresi |
Maurizio Licitra | |
Salvatore Perdichizzi | |
coppia solista | Beatrice Carbone e Massimo Garon |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala | |
* Solista dell'Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala |
Finalmente "Die Fledermaus" alla Scala. Operetta alla Offenbach? Dramma giocoso alla Mozart? Opéra-comique leggera con dialoghi o una pièce sul ballo?
Onestamente ci interessa poco far distinzioni, mentre ci piace di più sottolineare che l'opera è la messa in scena di un ballo e dell'universo della Vienna di fine '800. Un ballo dove l'erotismo si mescola al ritegno e all'eleganza del gesto, dove il gesto stesso è insieme casto e sensuale. L'azione è avviata dalla vendetta del Pipistrello, il dottor Falke, che fa agire il desiderio di ubriachezza, di seduzione e di evasione. Si scopre così un altro volto della società viennese, la più conservatrice d'Europa, che sotto la maschera del perbenismo e della moralità nasconde altarini ben speziati. La società borghese, così come l'aristocrazia imperiale, si traveste al ballo come gli attori sulla scena di un teatro. Il teatro diviene una imitazione della vita, satira della società che si presenta in modo ambiguo. Vi si osserva anche l'agonia di una monarchia che, avendo orrore della noia e della routine, cerca di distrarsi dal peso esistenziale e dalla morte. La musica diviene una scappatoia dalla “paura della vita”, vista come la malattia della civilizzazione, come dirà di lì a poco Freud. E allora? Allora si danza, si corteggia, si fa l'amore, si brinda e ci si ubriaca per dimenticare la scarsa libertà di espressione, la debole iniziativa economica e la crisi derivante dalle guerre.
Con la messa in scena di Cornelius Obonya coadiuvato da Carolin Pienkos ci si diverte, forse più come farsa che non come un'opera comica. Qualche gags, certamente, ma senza troppi effetti per rispetto alla finezza narrativa. Lo charme viennese tuttavia si perde un po' per strada ma il pubblico ha mostrato di gradire e questo noi lo registriamo con simpatia. Ambientata in una località montana austriaca tra immagini proiettate di splendide montagne e trasposta ai nostri giorni, dove imperano i nuovi arricchiti della modernità, più russi che non aristocratici austriaci, come l'oligarca Orlofskaya, che durante la festa domina gli altri protagonisti da un trono da vera zarina. Le scene di Heike Scheele, anche responsabile dei costumi, e le luci di Friedrich Rom risultano funzionali a questa idea di base. Nel primo atto, una villa elegante tutta vetri panoramici, con nel giardino un albero di Natale con luci festose e persino un omino di neve. Nel secondo atto, un salone delle feste in casa della Orlofskaya con ampie scalinate e gallerie superiori, dove sono esibiti trofei di caccia (teste di cervo) a sottolineare l'attività preferita dagli uomini, con evidenti allusioni, anche se nessuno dei propositi di conquista e soprattutto d'adulterio vengono portati a termine. Il terzo atto, nella prigione, celle ampie con sempre le vedute mozzafiato sulle montagne austriache innevate e un ingresso rotante come in un albergo a cinque stelle, una galera per ricchi, insomma. I protagonisti recitano tutti con grande naturalezza, qua e là con un quid di enfasi in più, come nel caso di Rosalinde, qui assai propensa a cedere sia ad Alfred sia a Falke, suoi passati spasimanti o ad Adele, aspirante attrice che non perde occasione per esibire bellezza e doti canore invidiabili. Paolo Rossi (Frosch) fa del cabaret, recitando in italiano e lanciandosi in un monologo politico gustoso con accenno anche ad una canzone da balera. I dialoghi sono un bel miscuglio: tedesco, italiano e francese. Il regista lo giustifica con la confusione del mondo attuale globalizzato in cui non si sa mai in che lingua rivolgersi all'interlocutore. Sono distraenti invece il balletto durante l'ouverture, nella coreografia di Heinz Spoerli, per quanto illustri il desiderio sensuale che suscita Rosalinde in tanti potenziali amanti e gli acrobati, pur bravi, nel bel mezzo del valzer lento ”Brüderlein, brüderlein”, tutto da gustare con il solo udito, magari stuporoso, per la qualità musicale, in cui l'ebbrezza alcolica fa scomparire le differenze sociali in una illusione da sogno ideale. Da applauso invece il corpo di ballo, diretto da Frédéric Olivieri, nell'esecuzione al secondo atto della polka schnell op.324 Unter Donner und blitz.
A noi è piaciuto il direttore Cornelius Meister che concerta con buona elasticità ritmica, cercando un equilibrio tra sensualità e malizia, tra ironia e nonchalance, tra amarezza e struggimento, anche se non sempre lo realizza con tutta la leggerezza e l'eleganza necessarie. Nell'ouverture con tanti motivi di danza e dinamiche dalle impercettibili variazioni riesce a calibrare indugi, crescendo e accelerando con brio appropriato. E in genere i duetti e i terzetti aprono e chiudono con un'allegria spensierata e contagiante, come nell'allegro con brio del tema dello champagne, che chiuderà l'opera con vivacità, a rotta di collo. Quello champagne che ha rischiato di fuorviare i “cuori” e che invece riconduce gli uni verso gli altri con un festoso inno alla bella vita. Ma non sono disconosciuti nemmeno i tanti momenti di lirismo, magari non del tutto delicati ma morbidi e vaporosi: come nell'andantino “Doch meine frau”, dove Eisenstein saluta la moglie con tenerezza e dolcezza sincera; nel sognante tema dell'oblio “glücklich ist, wer vergisst” a ritmo di polka-mazurka o nel valzer moderato “Mit mir” assai seducente. Così come seducente, dolce, ipnotico da letargia voluttuosa suona il già citato “Brüderlein, brüderlein” a ritmo di valzer lento che ha tutte le caratteristiche di una berceuse.
Tra i cantanti, di cui abbiamo apprezzato la verve attoriale come già detto, ci pare giusto evidenziare le performance delle donne, decisamente meglio a fuoco degli uomini.
La Rosalinde di Eva Mei è una donna fascinosa, che sa tutto su come conquistare gli uomini e che pretende rispetto da un marito un po' troppo “farfallone”. Passa da un cantabile voluttuoso “Beruh'ge endlich diese Wut” alla desolazione patetica del tema del pianto di Rosalinde al momento del saluto al marito che si illude vada di filato in galera. Si abbandona alle nuances del tema dell'oblio di “Glücklich ist, wer vergisst” e poi diviene assai brillante nei couplets a ritmo di polka, per poi di nuovo affidarsi al ritmo del valzer per un vaporoso “Mit mir” doppiato da “im tête à tête”. Nel duetto con Eisenstein al secondo atto si lancia in un finale scoppiettante con colorature che non hanno nulla da invidiare a quelle appena esibite dalla finta Olga (Adele). Ma è nella Csárdás, canto popolare ungherese del XVIII secolo influenzato dalla tradizione tzigana, che strappa gli applausi più convinti, con souplesse ritmica, sospiri, ornamenti espressivi e portamenti intrisi di melanconia e nostalgia patriottica struggente, per poi lanciarsi nella gioia selvaggia sul tema Friska che conclude una bella interpretazione. Se proprio vogliamo trovare un neo lo indicheremmo nei Do, un po' stiracchiati, che concludono il primo atto e nella stessa danza ungherese.
L'esuberante cameriera Adele dal temperamento d'artista e dalla verve tipica del personaggio da vaudeville è interpretata da Daniela Fally. Inizia con colorature incerte e poco fluide ma poi si riscatta con l'aria del riso che battezza la sua nuova carriera d'attrice. Il cantabile è sciorinato con maliziosi ammiccamenti seguito da un canto brillante in cui roulades, picchettati e trilli trovano la via di convincerci come i discreti sovracuti. Nei couplets del terzo atto impersona tre diversi personaggi: l'ingenua con qualche ammiccamento sorridente, la regina pomposa e impettita in stile cadenzato e la coquette, in cui tutte gli articoli del virtuosismo canoro vengono esposti con maestria.
Elena Maximova è Orlofskaya, in questa messa in scena una oligarca russa annoiata dalla sua stessa ricchezza, più virago abituata a comandare che dandy fin-de-siècle, bizzarra certo e meno ambigua nell'abbandonare le convenzioni borghesi, che qui al cospetto di arricchiti miliardari sembrano davvero pii ricordi. La voce da mezzosoprano corre bene nei centri, anche se i gravi ci sembrano un tantinello esibiti, l'interprete è autoritaria e priva di colori ma il personaggio ha la sua dignità, in linea con l'idea registica. Si mette in mostra con i suoi couplets, dal tocco folkloristico e dall'accompagnamento in parte sincopato, con il canto esotico che si rifà allo jodel, non solo forma popolare legata alle montagne austriache ma pare anche nel vicino Caucaso.
Gli uomini, chi più chi meno, “cantano” esibendo fin troppa voce, magari emessa allo stato brado, disconoscendo i tanti chiaroscuri necessari per mettere in luce e bene a fuoco le tante diverse personalità.
Peter Sonn è Eisenstein, assai geloso dell'amatissima moglie ma anche “cacciatore” impenitente. Il suo “Doch meine frau” avrebbe bisogno di qualche tenerezza in più nel saluto alla moglie, che omaggia invece con una citazione dalla Butterfly: “Addio fiorito asil” azzeccata in questa esibizione caricaturale un po' grossolana; il gioco di seduzione messo in campo per la moglie mascherata è corretto nel canto ma privo della appropriata sensualità nell'esibizione di cromatismi discendenti da seduttore appassionato. Ma bisogna riconoscergli che il disvelamento in prigione, tutto musicato sul tema della vendetta, è quanto meno assai gustoso, con tutta l'esuberanza attoriale.
Giorgio Berrugi presta voce da tenore, una caricatura di tenore, al narciso esibizionista Alfred, spasimante di Rosalinde. La serenata d'amore all'apertura dell'opera manca di supplesse e di nonchalance, poi però le tante citazioni da opere del melodramma: Un ballo in maschera, Traviata, Fedora, Barbiere di Siviglia, e di seguito nel terzo atto Fanciulla del West e addirittura Aida sono divertenti, magari senza pretendere che siano musicalmente perfette.
Il Falke di Markus Werba è un vero Mefistofele. Raggira l'amico Eisenstein vendicandosi della burla da lui subita precedentemente, declinando tutti gli ammennicoli della seduzione: calmare l'inquietudine (Eisenstein deve trascorrere un periodo in galera per evasione fiscale), simulare una vera amicizia, blandirne la personalità e vincerne le esitazioni e produrre il desiderio per una bella festa mascherata, magari condita da qualche conquista femminile. La voce è anche qui troppo esibita, soprattutto ne soffre il già citato “Brüderlein, brüderlein”, senza mezzavoce suadente, sensuale e ipnotica tanto necessaria per evocare e instillare negli invitati quella familiarità tra le persone in una formula utopica in cui tutti vivono fraternamente e si lasciano andare all'amore libero. Un seduttore senza scrupoli dovrebbe sapere che può convincere meglio gli incerti commensali con le mezze parole intrise di dolcezza che non con i proclami.
Michael Kraus impersona il personaggio mattacchione del direttore del carcere Frank descritto alla perfezione dal proprio tema saltellante e finto marziale.
Divertente risulta anche Kresimir Spicer nel ruolo di Blind, l'avvocato, che si slancia nel sillabato rossiniano, gioiosamente assurdo nella evidente esasperazione del “Recurrien, appelliren, reclamiren...”
Disinvolta la Ida di Anna Doris Capitelli.
Il pubblico non ha decretato un trionfo allo spettacolo, ma sicuramente ha apprezzato con applausi per tutti.
La recensione si riferisce alla recita del 19 gennaio 2018.
Ugo Malasoma