Riccardo | Rachael Jane Birthisel* |
Leonora | Erica Cortese* |
Erminio | Raffaele Pe |
Doralice | Federica Livi* |
Flaminio | Francesco Castoro |
Cornelia | Nico Franchini |
Rodimarte | Patrizio La Placa* |
Rosina | Suzana Nadejde* |
Direttore | Jacopo Raffaele |
Progetto teatrale | Eco di fondo |
Scene | Stefano Zullo |
Costumi | Sara Marcucci |
Ensemble barocco del Festival della Valle d’Itria | |
In collaborazione con l'Accademia del Belcanto "Rodolfo Celletti" e con l'Accademia delle Belle Arti di Bari | |
*Allievi dell'Accademia del Berlcanto "Rodolfo Celletti" |
"Il fondatore, il capostipite, il maggiore, il vecchio, il padre o anche il padreterno: tanto, con maggiore o minore bonomia, è stato detto o è possibile dire di Alessandro Scarlatti": così, con felice sintesi, Piero Mioli descrive colui che è unanimemente considerato tra i massimi rappresentanti della scuola “napoletana” ed una delle figure di maggiore spicco dell’opera italiana tra Monteverdi e Rossini. Unica commedia messa per musica tra i suoi lavori, “Il trionfo dell’onore”, su libretto di Francesco Antonio Tullio, andò in scena per la prima volta a Napoli, al teatro dei Fiorentini, il 26 novembre 1718.
L’accoglienza del pubblico fu molto calorosa, e il titolo ebbe diciotto repliche in quella stessa stagione. Nonostante quel successo l’opera non venne più ripresa per oltre due secoli. Venne rappresentata a Londra nel 1938, mentre in Italia si dovette attendere il 1941 quando, al teatro dei Rozzi di Siena, ci fu la prima messinscena “moderna” con la direzione di Antonio Guarnieri. Carlo Maria Giulini la incise nel 1950, e più recentemente è stata rappresentata a Palermo nel 2001 e a Pisa nel 2015.
Ma prima di approdare al Festival della Valle d’Itria, dove è andata in scena con grandissimo successo alla Masseria Palesi di Martina Franca per la serie “l’Opera in masseria”, questo gioiello di sorprendente modernità, che si richiama al mito del “Don Giovanni”, aveva già avuto il suo battesimo in terra d’Otranto nell’ottobre 2006, quando fu rappresentato al Teatro Paisiello di Lecce per la stagione della Camerata Musicale Salentina.
Questa in breve la vicenda ambientata in Toscana. Riccardo Albenori ed il suo compagno Capitan Rodimarte Bombarda sono due ufficiali che amano l’avventura della guerra e le donne. Riccardo ha sedotto ed abbandonato Leonora, una ragazza seria, che ha creduto ai suoi giuramenti di amore eterno, mentre stava già corteggiando Doralice, anche lei da subito innamorata, al punto di voler lasciare Erminio, suo promesso sposo e fratello di Leonora. Le due ragazze si recano a Pisa, dove ambedue cercano l’amato Riccardo, ignare di essere rivali e capiscono di essere state ingannate tutte e due.
Per Doralice il caso si fa ancora più spinoso perché arriva Erminio che è furioso quando viene a sapere del tradimento compiuto nei confronti di sua sorella e viene per giunta a scoprire l’infedeltà della sua fidanzata. Contemporaneamente si allacciano altri amori ed alla fine, quando Riccardo, ferito da Erminio, riconosce i suoi errori chiedendo umilmente perdono a Leonora, tutte le coppie si ritrovano e applaudono con “lieto grido il trionfo dell’onore”.
Rendere quest’opera in maniera fruibile per lo spettatore moderno non era affatto facile né scontato. Impresa perfettamente riuscita invece all’allestimento ideato dalla compagnia teatrale Eco di fondo, composta da Giacomo Ferraù, Giulia Viana e Libero Stelluti.
La storia era ambientata in un piccolo paese del Mezzogiorno a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, con Leonora incinta prima di essersi sposata, una condizione davvero difficile per la donna sino a pochi decenni fa. E con la corte della masseria trasformata nella piazza del paese dove non mancavano ovviamente la chiesa, il bar e la novità rappresentata dalla ferrovia. Il grande merito di questa messinscena è stato dunque quello di aver dato dignità a chi ha contribuito a creare la commedia musicale. Il racconto in musica si afferma in maniera perentoria con l’opera buffa del Settecento, di fatto la progenitrice del musical. E questo allestimento, nella sua freschezza, sembrava veramente quello di un musical moderno.
Un notevole apporto al successo della serata è venuto poi dal direttore Jacopo Raffaele (che ha anche revisionato il manoscritto autografo) alla guida dell’ottimo Ensemble barocco del Festival della Valle d’Itria, formazione che ha impiegato strumenti originali. La sua è stata una lettura vibrante ma all’occorrenza pronta a rendere al meglio le parti più scopertamente melodiche e malinconiche della partitura. Ottimo anche il cast per espressività e senso del ritmo. Otto personaggi, quattro comici e quattro seri, e quattro coppie, due comiche e due serie.
A ricoprire il ruolo di Erminio è stato il controtenore Raffele Pe, fra le voci più apprezzate del repertorio barocco, che ha confermato la sua bravura grazie ad una tecnica di prim’ordine, un’intonazione perfetta ed un fraseggio sempre appropriato alla situazione.
Molto bravo il tenore Francesco Castoro, un misurato e divertente Flaminio, irresistibile nei duetti con l’altro validissimo tenore Nico Franchini (che lo scorso aprile aveva interpretato molto bene l’abate poeta nell“Andrea Chenier” rappresentato al Petruzzelli), nella parte “en travesti” di Cornelia: entrambi accomunati da una presenza scenica formidabile.
Gli altri cinque protagonisti erano tutti allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, ad iniziare da Rachael Jane Birthisel nella parte en travesti di Riccardo. Soprano dalla voce non potente ma perfettamente modulata e a suo agio in tutti i registri, è mancata forse in un’interpretazione più spavalda del suo ruolo.
Con un timbro caldo e pastoso il mezzosoprano Erica Cortese si è immedesimata molto bene nella parte di Leonora, dando pieno risalto anche a quei momenti in cui era richiesto un canto di agilità.
Una Doralice giovanile, civettuola e solare è stata il soprano Federica Livi, perfettamente a proprio agio nel registro acuto e sopracuto e con una linea di canto molto accurata. Il mezzosoprano Suzana Nadejde si è imposta nei panni di Rosina per il timbro gradevole e soprattutto per una verve comica particolarmente vivace e moderna, in un ruolo che comunque non presentava particolari difficoltà.
L’unica voce grave maschile apparteneva al baritono Patrizio La Placa, che si è distinto nella parte di Rodimarte grazie ad una voce piena, molto duttile e ad una efficacissima vis scenica che ha reso al meglio la maschera del “miles gloriosus” a cui si ispira il personaggio da lui interpretato.
La recensione si riferisce alla serata del 22 luglio 2018.
Eraldo Martucci