Programma interamente mozartiano e dall'impaginazione piuttosto curiosa quello presentato da Michele Campanella al folto pubblico del Teatro Verdi di Firenze: due concerti tra i più noti del Salisburghese preceduti entrambi da un brano solistico poco battuto a fare quasi da "hors-d'oeuvre" al "piatto forte".
Diceva Giulini che nel Mozart sinfonico si possono ritrovare con i loro caratteri i personaggi delle sue opere: Zerlina, il Commendatore, Leporello e così via. Poche volte come questa ci sentiamo di dar ragione all'illustre direttore, messi davanti ad un programma di una intera serata che sembra voler comprendere le varie sfaccettature della poetica mozartiana.
Accomunati dall'epoca di composizione, l'anno 1786, i due concerti per strumento solista e orchestra in programma, dai caratteri molto diversi, possono essere annoverati tra i più luminosi raggiungimenti del Salisburghese: elegantissimo, lirico e brillante il primo (ma con uno straordinario movimento centrale di abbagliante intensità), molto più profondo e drammaticamente sbalzato oltre che ammirato da Beethoven il Concerto K 491, scritto nella tonalità "seria" di do minore, ricchissimo di colori strumentali e di meditativa profondità.
Il crescendo emozionale nell'impaginazione del programma è stato voluto da Michele Campanella che ha confessato al pubblico di aver proposto lui tale "scaletta" all'ORT per questa serata (il concerto ha avuto luogo anche a Piombino, Figline Valdarno, Empoli e Viareggio) che lo vede anche in veste di direttore. I concerti pianistici di Mozart storicamente sono da sempre stati eseguiti anche senza un direttore sul podio, o col primo violino o col pianista che dirige e dà gli attacchi: e forse anche con una certa civetteria Campanella nel programma di sala si definisce "pianista e concertatore". Personalmente sono dell'idea che anche nei concerti di Mozart e soprattutto in quelli della maturità siano necessari sia un pianista che un direttore di sua fiducia con cui possa interagire, e che possa rendere più fluida e foriera di risultati l'opera del solista, anche se la relativa esiguità numerica dell'orchestra può facilitarne il compito di concertazione.
Campanella come direttore (o concertatore) non appare né migliore né peggiore di altri suoi colleghi, ha inevitabilmente un approccio abbastanza istintivo alla parte orchestrale, trova certo anche oasi di ricercatezze strumentali nei tempi lenti che sono i più accuratamente concertati, e risulta un po' sbrigativo anche se abbastanza efficace nei tempi veloci.
In questa serata fiorentina la posizione un po' "rinunciataria" dello strumento solista quasi affogato nell'orchestra e col solista che dà le spalle al pubblico, seppur quasi inevitabile, è sembrata condizionarne un po' anche i risultati artistici, infatti a momenti il suono del pianoforte appariva sovrastato da alcuni strumenti dell'orchestra come se fosse concertante. Invece avremmo preferito un maggior rilievo dello strumento solista che avrebbe potuto anche ripercuotersi sul versante interpretativo, visto che di idee pianistiche Campanella è molto ricco, col suo pianismo lirico, col suono sempre accuratissimo, espressivo e di gran fascino. Nel complesso abbiamo un Mozart maturo anche se forse latita un poco l'aspetto un po' più dionisiaco, ma ciò non impedisce al pianista napoletano di giocare le sue carte migliori nel K 491, trovando accenti più incisivi anche come solista, mentre la parte orchestrale si dipana anche qui con qualche eccessiva ridondanza di piani sonori.
L'Orchestra della Toscana si è piuttosto ben comportata, il pubblico era molto folto, e per la cronaca si segnala qualche telefonino dispettoso e tre fuori-programma.
La recensione si riferisce al concerto del 30 gennaio 2018.
Fabio Bardelli