Il Duca di Mantova | Giuseppe Gipali |
Rigoletto | Luca Micheletti |
Gilda | Ruth Iniesta |
Sparafucile | Abramo Rosalen |
Maddalena | Anna Malavasi |
Giovanna | Giada Frasconi |
Il Conte di Monterone | David Babayants |
Il Cavaliere Marullo | Min Kim |
Matteo Borsa | Antonio Garés |
Il Conte di Ceprano | Shuxin Li |
La Contessa di Ceprano | Marta Pluda |
Un usciere | Vito Luciano Roberti |
Un paggio | Maria Rita Combattelli |
Direttore | Renato Palumbo |
Regia | Francesco Micheli |
Ripresa da | Benedetto Sicca |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Alessio Rosati |
Luci | Daniele Naldi |
Riprese da | Alessandro Tutini |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino |
Il Teatro del Maggio ripropone il Rigoletto allestito da Francesco Micheli, seconda tappa della trilogia verdiana presentata a Firenze nel settembre dello scorso anno e forse il meno discutibile dei tre spettacoli, pur prestando comunque il fianco a serie riserve. Non tornerò a parlare della parte visiva, per la quale rimando alla recensione che scrissi in occasione della prima del 15 settembre 2018. Mi limiterò a segnalare il buon lavoro svolto da Benedetto Sicca nel ricostruire la regia, operando qua e là qualche lieve tocco atto a snellire il flusso di immagini che mi è sembrato scorrere con maggiore fluidità. Ricordo per dovere di cronaca gli altri collaboratori e cioè la scenografa Federica Parolini, il costumista Alessio Rosati, il responsabile delle luci (ottimamente riprese da Alessandro Tutini) Daniele Naldi.
A Fabio Luisi succede adesso Renato Palumbo e il cambio non si può dire sempre vantaggioso. Il direttore veneto è un buon musicista, conosce l’opera come le sue tasche e forse per questo si sente in diritto di intervenire sul tessuto musicale con scelte talvolta un po’ bizzarre. I tempi sono per lo più veloci, talvolta frenetici, ma non si può negare che in più di un momento riesca a creare episodi di corrusca drammaticità (ad esempio il terzetto Gilda, Sparafucile, Maddalena, pur con qualche eccesso di sonorità) o a cogliere con sensibilità le tinte notturne, tenebrose e inquiete, dell’inizio del terzo atto. Però le scelte agogiche sono quanto meno eccentriche con repentini cambi di marcia che non solo mettono spesso in difficoltà i solisti, ma creano pure una certa schizofrenia espressiva; probabilmente anche voluta per disegnare un dramma in cui un protagonista nevrotico, disturbato emana il suo disagio su quanto gli sta intorno. In questo modo vengono però particolarmente penalizzate le pagine più intime e delicate; Veglia o donna scorre via fredda e meccanica, Caro nome “palpita” pochino, Parmi veder le lagrime scarseggia di colori (anche per colpa del tenore). L’esecuzione è integrale e vengono accolte quasi tutte le varianti e le puntature di tradizione, anche quando non sarebbe il caso. E qui vengono a galla i limiti del concertatore. Che senso ha far eseguire al tenore quasi tutti gli acuti non scritti quando questi non sono la sua tazza di tè, o far eseguire al baritono la variante sul sol acuto a difende l’onor col risultato di un suono tutt’altro che brillante. Tra l’altro il protagonista di questa edizione il sol 3 ce l’avrebbe e pure buono, solo che, ingabbiato nella conduzione precipitosa di Palumbo, tende a forzare (non solo sulla singola nota) e si salva per l’estro, la qualità della voce, il temperamento istrionico.
Luca Micheletti è un caso piuttosto atipico nel panorama lirico. Trentaquattrenne, nato da una famiglia dedita al teatro da generazioni, ha iniziato a calcare il palcoscenico fin da giovanissimo, partecipando a spettacoli di vario genere anche come attore e regista a fianco di nomi illustri del teatro di prosa (Luca Ronconi, Umberto Orsini) o del cinema (Marco Bellocchio). Si è avvicinato all’opera per caso tre anni fa chiedendo al tenore Mario Malagnini lezioni necessarie ad un impegno che prevedeva anche esibizioni canore. Incoraggiato ad approfondire lo studio del canto si è trovato in brevissimo tempo in prima fila nell’agone lirico dopo l’impegno come Jago verdiano al Ravenna Festival e al Teatro del Giglio di Lucca (vedi recensione di Fabrizio Moschini). A questo è seguito, tra le altre cose, il debutto nel ruolo del Conte d’Almaviva nelle Nozze di Figaro dirette da Riccardo Muti, mentre si appresta a esordire nella regia lirica con Carmen. Una figura dunque a dir poco eclettica che si è trovata a fare il suo ingresso al Teatro del Maggio nientemeno che come Rigoletto. Ci troviamo di fronte indubbiamente a mezzi vocali e a una personalità di primo piano. Il dominio del palcoscenico è assoluto e all’artista bresciano si può solo rimproverare un certo compiacimento narcisistico che in un personaggio come il gobbo verdiano (anche se qui non gobbo) può apparire controproducente. La sensazione che ho avuto al mio primo impatto con questo interessantissimo cantante-attore è che il giovane baritono, così giovane anche di esperienza operistica, abbia bisogno di essere guidato da grandi personalità sia registiche sia musicali, per filtrare certi eccessi di temperamento soprattutto dal punto di vista vocale, specialmente in un ruolo monstre come Rigoletto, uno dei più complessi del repertorio verdiano (e non solo). Intendiamoci: la prova di Micheletti è già di alto livello e la mia non vuole essere una critica ma solo uno stimolo a crescere, perché sono certo che l’artista bresciano potrebbe raggiungere risultati sorprendenti se riuscirà a limare certe intemperanze e curare maggiormente una linea di canto già al momento attuale di alto profilo.
Altro elemento degno del massimo interesse che ho già avuto modo di ascoltare più volte è Ruth Iniesta (Gilda). Il soprano spagnolo è in possesso di mezzi vocali piuttosto estesi, ben timbrati e capaci di espandersi facilmente in una sala di dimensioni ragguardevoli come quella del Teatro del Maggio. Appare un poco a disagio a causa dei tempi precipitosi di Palumbo nel primo duetto col padre. Dà il meglio di sé nel secondo e soprattutto nel terzo atto, anche grazie a buone doti espressive che le consentono un’incisività non comune tra le interpreti del personaggio, unita a una delicatezza di tratto che rende toccante la scena finale.
Il Duca di Mantova è un ruolo assai bastardo. Richiede freschezza di timbro, voce agile, slancio, capacità di alleggerire il suono con nonchalance, accento piccante, eleganza, languore senza cadere troppo nel sentimentale (Parmi veder le lagrime). Sono rari i tenori che l’abbiano tenuto in repertorio a lungo. Giuseppe Gipali ha quarantaquattro anni e veleggia verso i vent’anni di carriera, ma soprattutto ha aggiunto al suo repertorio ruoli più pesanti di quello del libertino verdiano. È sempre stato un cantante corretto, musicale ed ancora oggi si tratta di un artista affidabile. Però non trovo questo ruolo tra i più adatti, a questo punto della carriera, alla sua vocalità. Gli manca la brillantezza del suono, la flessibilità, lo scatto necessari. Una prova dignitosa comunque.
Abramo Rosalen ha voce sonora e complessione adeguata per rendere il nero sicario. Canta anche piuttosto correttamente; solo il fatidico fa grave al termine del duetto con Rigoletto risulta deboluccio.
Ben risolta la Maddalena di Anna Malavasi dalla buona proiezione vocale, dal giusto colore e dalla ineccepibile musicalità. Adeguata anche scenicamente, nonostante le sciocche evoluzioni a cui la costringe la regia.
Manca un poco di incisività il Monterone di David Babayants, mentre Min Kim, già presente nella scorsa edizione, è un Marullo dalla voce ben timbrata e dalla buona disinvoltura scenica.
Anche Giada Frasconi faceva parte del cast originario di questa produzione e si conferma una Giovanna affidabilissima.
Completano la distribuzione con professionalità Antonio Garés (Matteo Borsa), poco udibile dalla platea perché costretto a cantare le sue frasi nella parte più alta dello spazio scenico, Shukin Li (Conte di Ceprano), Marta Pluda (La Contessa), Vito Luciano Roberti (Un usciere), Maria Rita Combattelli (Un paggio).
Buona prova dell’Orchestra e del Coro del Maggio Musicale Fiorentino, quest’ultimo diretto da Lorenzo Fratini.
Successo per tutti, particolarmente intenso per Ruth Iniesta e, soprattutto, per Luca Micheletti, al quale vengono tributati grandi applausi e grida di approvazione. Buona accoglienza anche per Renato Palumbo punteggiata da qualche sparuta contestazione.
La recensione si riferisce alla serata del 16 novembre 2019.
Silvano Capecchi