Violetta Valéry | Ekaterina Bakanova |
Flora Bervoix | Ana Victoria Pittis |
Annina | Marta Pluda |
Alfredo Germont | Leonardo Cortellazzi |
Giorgio Germont | Simone Del Savio |
Gastone | Antonio Garès |
Barone Douphol | Dario Shikhmiri |
Marchese d'Obigny | Patrizio La Placa |
Dottor Grenvil | Adriano Gramigni |
Giuseppe | Leonardo Sgroi |
Un domestico | Nicola Lisanti |
Commissionario | Antonio Corbisiero |
Direttore | Enrico Calesso |
Regia | Francesco Micheli |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Alessio Rosati |
Light designer | Daniele Naldi |
Regista collaboratore | Valentino Villa |
Assistente scenografo | Elena De Leo |
Assistente costumista | Giulia Giannino |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino | |
A Firenze era stato promesso (o minacciato, a seconda dei gusti e degli umori personali) che alcune recenti produzioni sarebbero state destinate a una riproposizione per un numero imprecisato di volte. A pochi giorni dalla prima della ripresa della Carmen con la regia di Leo Muscato, al Teatro del Maggio viene allestita nuovamente la Traviata che costituì il pannello conclusivo della “trilogia popolare” verdiana del tricolore ideata da Francesco Micheli.
Sulla parte visiva si rimanda a quanto scritto in occasione del debutto dello spettacolo, precisando che, a distanza relativamente breve dal debutto, lo stesso non pare guadagnare da una seconda visione, a volte rivelatrice di alcuni significati reconditi, ma che in questo caso mette ancora più in evidenza la gratuità di alcune idee in una regia comunque non sgradevole, anche se non esattamente memorabile.
La bacchetta di Enrico Calesso è garbata, non priva di eleganza, anche se poco fantasiosa e non troppo precisa nel primo atto, nel corso del quale, oltre alla tensione della prima, sembra cogliersi una presa di misure con le conseguenze dell'avvenuta sostituzione del tenore previsto per il ruolo di Alfredo. La direzione pare più compatta nei due atti successivi ed è comunque sempre equilibrata nel rapporto tra buca e palcoscenico. Sono conservate le cabalette di tenore e baritono, ma tagliate tutte le riprese, pure quelle del soprano, che si rivela essere l'elemento catalizzatore della serata.
Non che Ekaterina Bakanova costituisca una rivelazione, visto che già si fece ammirare a Firenze nell'ottobre del 2017 come Magda nella Rondine e che recentemente ha lasciato intravedere bei numeri anche a Wexford nel Bravo di Mercadante, impegnata (pure lì...) nel ruolo di Violetta. Ma emergere come Violetta verdiana è più arduo, non solo per la complessità del ruolo, ma anche per l'inflazione di interpreti del passato e del presente tra cui farsi largo. È quindi una gradita sorpresa ascoltare un'interprete tanto personale in una recita che si immaginava di routine e destinata a un pubblico relativamente meno smaliziato rispetto a quello di altre occasioni fiorentine.
Voce dal colore peculiare, che si è irrobustita e che è più che mai penetrante e ben proiettata, fraseggio originale, cura negli accenti, personalità da vendere che si unisce all'affascinante figura e solidi fiati (che le consentono un gioco di rubati particolarmente intrigante nel primo atto) contribuiscono a creare una Violetta di forte presa, che difatti riscuote un successo addirittura trionfale al termine della rappresentazione.
Le è valido partner Leonardo Cortellazzi, il quale, previsto per una sola recita, è subentrato al previsto e indisposto Antonio Poli. Lo strumento dal relativo fascino timbrico e dal corpo più consistente al centro che nella zona acuta, piuttosto secca, è comunque ben esteso (viene eseguito anche il do al termine della cabaletta) ed è controllato con gusto. Ciò gli consente di ben figurare come interprete di Alfredo analogamente a quanto gli capita nei ruoli, spesso frequentati, delle opere di epoche precedenti (era nel cast addirittura della Dafne di Marco da Gagliano).
Per il tenore, insomma, non l'onore delle armi per avere salvato la recita, ma una buona prova. Altrettanto buono il Germont di Simone Del Savio, dal bel colore baritonale, corretto nel canto, paterno e umano negli accenti, che, anche se un po' convenzionali, sembrano più curati rispetto alla sua già discreta prova all'aperto del cortile di Palazzo Pitti nel 2016. Entrambi i protagonisti maschili riscuotono un notevole successo personale da parte del pubblico presente.
L'Orchestra e il Coro sono al loro consueto standard e tutte le parti di fianco sono ben curate, con interpreti in larga parte provenienti dall'accademia e tutti un poco acerbi ma più che dignitosi e preparati, dal Barone di Dario Shikhmiri, al Marchese d'Obigny di Patrizio La Placa, al Gastone di Antonio Garès, al Dottor Grenvil di Adriano Gramigni. Ana Victoria Pitts è sempre una veemente Flora, Marta Pluda una partecipe Annina. Il cast è adeguatamente completato da Leonardo Sgroi (Giuseppe), Nicola Lisanti (Un domestico) e Antonio Corbisiero (Commissionario).
Teatro non esaurito, ma con discreta presenza di pubblico con una vera invasione di giovani ed educati studenti, più silenziosi e composti di tanti più attempati habitué che in altre più pompose serate infestano questo e altri teatri d'opera chattando su luminosi smartphone, scartocciando caramelle o abbeverandosi compulsivamente e rumorosamente con bottigliette di plastica, con ovvia predilezione per i pianissimi orchestrali.
La recensione si riferisce alla prima del 29 novembre 2018.
Fabrizio Moschini