Il Conte Rodrigo/Goitacà | Dongho Kim |
Americo | Massimiliano Pisapia |
Ilàra | Svetla Vassileva |
La Contessa di Boissy | Elisa Balbo |
Iberé | Andrea Borghini |
Gianfèra | Daniele Terenzi |
Guaruco | Marco Puggioni |
Tapacoà | Michelangelo Romero |
Lion/Tupinambà | Francesco Musinu |
Direttore | John Neschling |
Regia | Davide Garattini Raimondi |
Scene | Tiziano Santi |
Luci | Alessandro Verazzi |
Costumi | Domenico Franchi |
Coreografie | Luigia Frattaroli |
Maestro del coro | Donato Sivo |
Orchestra e coro del Teatro Lirico di Cagliari |
“Prima rappresentazione in Italia”; “opera unica nel suo genere”; “monumentale inno all’amore e alla libertà”: non sono stati lesinati i titoli roboanti per annunicare “Lo schiavo” di Carlos Gomes, titolo inaugurale del cartellone del Teatro lirico di Cagliari, ed ennesima “opera da riscoprire” proposta come apertura della stagione, in ossequio ad una radicata tendenza destinata, alla lunga, a risolversi in una consolidata (e prevedibile) routine.
Sul piano del marketing, si può parlare di un’altra scommessa vinta, considerata l’attenzione dedicata alla premiere cagliaritana dalla stampa nazionale. Sul piano più squisitamente musicale, prevale invece la sensazione di assistere ad un’opera certamente interessante, caratterizzata da qualche aria impegnativa e da alcune seducenti melodie, ma nel complesso più idonea a fungere da titolo di contorno per un programma impegnativo come quello varato dal Teatro cagliaritano per la stagione entrante (composto da pietre miliari del melodramma come Tosca, Don Giovanni, Attila e Macbeth) che da biglietto da visita da proporre in occasione della serata inaugurale.
Apertamente ispirato agli stilemi dell’opera italiana tardo-ottocentesca, “Lo schiavo” altro non è se non un drammone destinato a risolversi in un falò di buoni sentimenti, tutto incentrato sull’amore impossibile tra il feudatario Americo e l’indigena Ilara, sulla protervia del Conte Rodrigo, sui tormenti dello schiavo Iberè, chiamato a guidare l’insurrezione contro gli invasori portoghesi. Avvalendosi delle scene di Tiziano Santi, dei costumi di Domenico Franchi, delle luci di Alessandro Verazzi e delle coreografie di Luigia Frattaroli, Davide Garattini Raimondi ricostruisce il Brasile del 1567 con una regia di buon effetto, che alterna trovate interessanti (suggestive le scene di massa collocate nella fattoria o nella foresta; davvero azzeccata la scelta di posizionare i figuranti nel foyer, quasi a voler accompagnare gli spettatori verso il cuore del dramma che si svolge in sala) a soluzioni meno convincenti (come la ghigliottina che sovrasta il salone della Contessa di Boissy, o l’ancor meno comprensibile gabbia che cala sui protagonisti in occasione della scena finale).
Sotto il profilo dell’esecuzione, il direttore brasiliano John Neshling – scelto anche alla luce della sua profonda conoscenza delle partiture di Gomes – fatica non poco a trovare la giusta quadratura tra orchestra e palcoscenico, con i cantanti a tratti sovrastati dal muro di musica che, sin dalle prime battute, si eleva dal golfo mistico. Nei panni di Americo, Massimiliano Pisapia conferma pregi e difetti messi in mostra in occasione delle sue precedenti esibizioni cagliaritane: timbro suadente, buona musicalità e un vibrato largo sempre più percepibile quando la voce si proietta verso l’acuto, con il “Fermate!” inziale che risuona più stentoreo che imperioso. Discorso analogo può proporsi per Svetla Vassileva, interprete esperta, intelligente e sensibile, e dunque capace di dare vita ad una credibile Ilara, al netto di qualche smagliatura nei pianissimo della romanza del quarto atto.
Elisa Balboè stata una delle note più liete della serata, risolvendo con sicurezza la parte (piccola, ma impervia perché molto acuta e tutta concentrata nel solo secondo atto) della Contessa di Boissy. Ottimo il Conte Rodrigo di Dongho Kim, basso profondo dalla voce scura e ben timbrata, dunque particolarmente adatta al ruolo del feudatario schiavista e del padre dal cuore di pietra. Andrea Borghini propone un Iberè giocato più sulla dimensione intimistica dell’uomo sospeso tra sogni d’amore e fedeltà alla parola data che su quella energica e furiosa del capopopolo chiamato a porsi alla testa di una turba in rivolta: una scelta che rende la prova del baritono senese apprezzabile più nell’esecuzione del “Sogni d’amore, speranze di pace” che in quella dei duetti e dei concertati.
Sempre apprezzabile la prova del coro diretto da Donato Sivo, Daniele Terenzi (Gianféra), Francesco Musinu (Lion/Tupinambà), Marco Puggioni (Guaruco), Michelangelo Romero (Tapacoà) completano la locandina di questa prima rappresentazione italiana de “Lo schiavo”: un’altra scommessa vinta, almeno sul piano del marketing.
La recensione si riferisce alla prima del 22 febbraio 2019.
Carlo Dore jr.